E il prete invoca la pena di morte

E il prete invoca la pena di morte I Rabbia e lacrime ai funerali delle vittime E il prete invoca la pena di morte Ma la nonna di Nadia: «Solo Dio può decidere» FIRENZE DAL NOSTRO INVIATO Giù, per le colline, il buon Dio deve aver tracciato i disegni del cuore. E prima di benedire i suoi morti, anche don Pilade getta un'occhiata in faccia ai cipressi e ai pini che nascondono le cascine e il lavoro della gente, come se potesse abbracciare tutto e fingendo che tutto sia uguale, in questo attimo almeno, la morte e la vita. Povero don Pilade che mescola le lacrime alle gocce di sudore, sotto al sole di maggio, davanti alle balze coperte di olivi, nel profumo dei campi rasati. «C'è questo dono del Cielo, e c'è questo dolore», dice come se volesse spiegare a se stesso il senso di un mistero che esiste assieme al mondo. Per questo, forse, il vecchio parroco dall'aria mite alla fine confessa che «si può ammettere la pena di morte», lasciando di stucco. Perché si è arreso al dolore, perché si è arreso al buio, perché nei tempi che verranno questo mistero gli dovrà apparire ancora più grande. Certo, ci sono stati dei giorni e delle lune che la vita sembrava fatta di altre cose. Guardate, dice l'uomo con i baffi. Su per la stradina fra gli ulivi salgono i bambini, con i mazzi di fiori e i vestiti nuovi della festa, e vengono avanti nel silenzio del paese, nel grande silenzio della gente, davanti al cancello del camposanto. «Guardate, guardate». Eppure, ci sono stati dei giorni che non c'era bisogno di queste cose. «Verranno», soffia don Pilade, «verranno moménti migliori». Anche se adesso ci sono solo angosce e dolori, «perché questi sono i nostri tempi». Che si può mai fare, padre? E il vecchio parroco con la sua tonaca nera e il colletto bianco, risponde lasciandosi scappare quasi quelle parole: «In certi casi, si può ammettere la pena di morte». Come chiedono i commercianti del centro, dov'è scoppiata la bomba? «Beh, ci sono momenti di emozione che vanno capiti. Sono sfoghi. Dichiarazioni che hanno un valore relativo». E lei, invece, perché dice che certe volte ci vuole? «Io sto con l'insegnamento della Chiesa: e in certi casi è ammessa, non richiesta, sia chiaro, la pena di morte. Io concordo con la Chiesa, con la sua morale». Ma sarà questo il mondo dei giusti? Un mondo di dolore costretto a gridare vendetta? Eppure, Lucia Nencioni, la nonna di Nadia e Caterina, piange sommessa: «Che cosa vuoi che serva odiare? Per forza si perdona, aiuta a tirare avanti». Dal libro della Sapienza, legge un fedele, davanti alle quattro salme, nella Chiesa di San Carlo: «Le anime dei giusti sono nelle mani di Dio. Nel giorno del loro giudizio risplenderanno e il Signore regnerà sempre su di loro». E, fra le panche, c'è chi china lo sguardo. Com'è strano, il terzo giorno dopo la bomba. I bambini che mandano bacini alle bare, i bimbi che ricordano i giochi della Regina e della Duchessa, consolandosi «perché ora Nadia non ne aveva più voglia»; gli uomini e le donne di Firenze che si coprono le facce di lacrime senza nemmeno un sospiro; e i turisti che guardano e si commuovono e chissà se sanno, se capiscono o se solo restano come colpiti da questa tensione e da questo coraggio. E mai un urlo, mai un grido di rabbia o di ribellione, in questa città che noi abbiamo visto esplodere per Baggio, che noi abbiamo visto arrabbiarsi per niente. Mai un segno di disperazione, di debolezza. Oggi, per la prima volta, Firenze ha pianto, ma è come se le lacrime non potessero essere più trattenute, e ha pianto a lungo, dolente, commossa, fuori dalla chiesetta di San Carlo, per le strade, dietro al piccolo corteo funebre che passava sommerso dagli applausi. E continua a piangere, ora, fra le colline dove comincia il Chianti, alla Romola, dove sono venuti a riposare sotto la terra i corpi senza vita della famiglia Nencioni, un vigile urbano, una casalinga e due figli di 9 anni e di 50 giorni. Quattro croci che non hanno un senso. Anche il vecchio pre¬ te, per trovarlo, avrà cercato mille parole nel Vangelo. E durante la messa, nella chiesetta spoglia (un* altare, un organo e una croce), ha cercato una risposta e ha ricordato Gesù: «Amatevi come io vi ho amato. Così ho vinto il mondo». E così fa ora Lucia Nencioni, stretta fra le braccia di un'amica: «Me li hanno presi tutti, Pasquina, me li hanno presi tutti». E dice, a chi glielo chiede: «La morte non si augura a nessuno. Nemmeno a queste persone che hanno distrutto la vita degli innocenti. La morte la decide solo il Signore. E' questo che ci rende più forti di loro». Il piccolo cimitero sta affacciato in cima al dosso, con i cancelli aperti e le umili croci di legno sui mucchi di terra. Angela, Fabrizio, Caterina e Nadia Nencioni adesso sono sepolti lì, sot- to un tappeto di fiori, quattro umili croci di legno che spuntano fra garofani, iris, gladioli, gigli, rose, nell'ombra «del cimitero che si allunga lentamente. La strage degli Uffizi finisce così, in questo sabato di maggio e di sole caldo, mentre sfilano i volti del dolore per abbracciare il vecchio prete, che si commmuove e singhiozza ogni volta che qualcuno gli dice di tornare, qui, fra queste colline disegnate dal buon dio: «Io vi ringrazio perché m'avete fatto sentire uno di voi». Dal libro della Sapienza: «Preziosa è agli occhi del Signore la morte dei giusti». Davvero, padre? «Oooh, mio Dio. Nadia me la ricordo, aveva occhietti vispi che mi guardavano, era una bambina molto intelligente. C'era la famiglia, una settimana fa, al battesimo di Caterina. Che bella giornata, quel giorno, come un quadro che non si dimentica più, che è troppo bello per dimenticarlo. C'era una nota, pensandoci ora... Tutto questo può non avere un senso. E' terribile. Però, vede, quello che mi dà forza è il dolore di questa gente, che è forte, sereno». Nella Messa, con la voce spezzata, don Pilade ha chiamato gli attentatori «questi tali», semplicemente così. «Perché più di questo non avrei potuto dire. E poi i parenti mi avevano chiesto di non parlare della strage». E lei, padre, che cosa direbbe mai a questi tali? «Vogliamoci bene. Adoperiamo questo potenziale...». Ma se lei si trovasse nel confessionale uno che le dice di aver messo quella bomba, che cosa farebbe? «Bisogna vedere quatè la condizione personale dell'individuo. Se c'è pentimento sincero». Padre, ma qual è la cosa più brutta che ha visto? «Ho visto il passaggio della guerra. Ero seminarista, ho visto morti e feriti, ho visto anche la paura. E l'altra notte ho rivisto qualcosa di quei giorni. Ero alzato, perché le mie ore sono sempre molto piccole. E non fu un colpo. Fu un rombo. Un fulmine con la forza di mille tuoni. E la luce, tutto illuminato. E poi corro alla finestra con la spolverina e le ciabatte, e quando mi affaccio non c'è più niente. Tutto buio, solo il buio». Tre giorni fa. Adesso il sole manda una luce che scalda gli ulivi, i prati, le strade tutt'attorno. Il piccolo cimitero s'è riempito di fiori, mentre Bonnie Pericci cerca la gonna della mamma, e alza il broncio per ricordare Nadia: «Era simpatica, brava, molto affettuosa. Giocavamo qualche volta a nascondino, molte volte a regina e duchessa». Un signore si piega, per parlarle meglio: e lo giocherete ancora? «No. Perché praticamente mi ha detto che a lei gli era venuta a noia di giocare alla duchessa». E ne inventerete un altro? «Chissà, con il tempo, forse. Adesso non ci riusciamo. Se ci passerà». Ecco, padre. Fa un caldo che sembra estate, fra le colline del Chianti! E c'è una luce che riflette barbagli, lontano, verso Firenze. Dalle lettere di San Paolo: «Fratelli, colui che ha resuscitato il Signore Gesù resusciterà anche noi». Verranno giorni migliori, verranno. Padre Pilade piange di nuovo: «Il Signore dice: vi cambierò il cuore. Da un cuore di pietra a un cuore di carne». Perché cominci a battere. E' vero? Pierangelo Sapegno I bambini: «Ciao amica senza te non giocheremo più a Regina e a Duchessa» I parenti: «Solo il perdono è la consolazione che ci fa andare avanti» I Due momenti dei funerali delle vittime In alto a destra la piccola Nadia Nencioni, nove anni, spazzata via insieme alla sua famiglia dalla bomba

Luoghi citati: Firenze, San Paolo