«Una cura rapida per gli Uffizi feriti» di Renato Rizzo

Viaggio nel museo devastato dall'esplosione: non potrà rinascere prima di un mese Viaggio nel museo devastato dall'esplosione: non potrà rinascere prima di un mese «Una cura rapida per gli Uffizi feriti» //governo ha stanziato 30 miliardi «I danni sono più gravi del previsto» FIRENZE DAL NOSTRO INVIATO L'inferno profuma di pulito ed ha i pavimenti spazzati di fresco: la Galleria degli Uffizi, il giorno dopo, tenta di cancellare le tracce del disastro e della disperazione. Ma i quadri mitragliati dalle schegge di vetro sono coperti da lenzuoli bianchi e sembrano catafalchi. E le opere, accatastate come in un fantasmagorico magazzino dell'Arte, hanno lasciato sulle pareti i lividi di occhiaie vuote. Ho viaggiato per due ore dentro questo inferno bianco per il sole che scende dai lucernai sfondati: itinerario in una Galleria diventata un imbuto chiuso perché la sala del Buontalenti, che fungeva da uscita per il pubblico, è seriamente danneggiata e, sino a quando non verrà risistemata, nessun visitatore potrà ammirare la più prestigiosa raccolta d'arte del mondo. Sui tempi per realizzare questo intervento che si annuncia complesso nessuno vuole azzardare date precise: «Da un paio di settimane a un mese - dice la direttrice degli Uffizi, Anna Maria Petrioli Tofani -. Se tutto andrà nel migliore dei modi pensiamo di aprire ai visitatori una delle tre ali del museo, quella di Levante. Qui sistemeremo gran parte dei dipinti tolti dalle sale». In questo modo circa il novanta per cento del prodigioso patrimonio della Galleria potrà essere esposto. E si calcola già, sin d'ora, il numero dei turisti che potranno accedervi: non certo i settemila che, fino a martedì scorso, costituivano la punta massima di presenze giornaliere, «ma almeno cinquemila». Bisogna far presto, bisogna riaprire. Nelle pieghe di ogni giorno che passa c'è un rischio spaventoso: quello che il sovrintendente ai beni artistici e storici, Antonio Paolucci, definisce l'effetto Egitto. «Molte agenzie di viaggi americane hanno, in questi mesi, annullato tour alle piramidi proprio per il timore di attentati. E, oggi, anche l'Italia rischia di diventare il Paese delle bombe e le ripercussioni sulla no- stra immagine turistica potrebbero essere devastanti». C'è chi, però, come il sovrintendente ai beni ambientali e architettonici, Domenico Valentino, tempera l'ottimismo e, forse, involontariamente, genera una polemica: tra quanti chiedono a gran voce un'apertura pronta come risposta civile del Paese all'attentato e quanti, invece, studiano il problema con meno filosofia e maggior rigore tecnico: «I guasti sono più seri di quanto credessimo e, in queste condizioni, saranno necessari almeno trenta giorni di lavoro». E iniziamo il percorso in questo ex santuario dell'arte dove le pareti vuote di diciotto sale trasmettono rabbia e pena. E' un museo orribilmente azzoppato anche negli impianti che devono salvaguardare la vita dei capolavori: non c'è elettricità, è andata distrutta la rete di condizionamento dell'aria, sono saltati gli apparecchi per umidificare gli ambienti e garantire elasticità a tele e a tavole lignee vecchie di secoli. Si controllano gli igrometri: il tasso di umidità, pur con finestre divelte e lucernai polverizzati, è ottimale. Ma domani? Nella prima sala, quella che ospita la Madonna Rucellai di Duccio, ecco il simbolo del disastro: «David festeggiato dai fanciulli» di Giambattista Spinelli, praticamente nascosto da un bianco collage di cerotti in carta giapponese. Dietro ogni foglietto, una ferita che i restauratori dovranno rimarginare. E viene in mente quanto, poche ore prima, ha confidato Paolucci: «Quell'opera non sarà mai più la stessa anche dopo il restauro. Tornerà integra, certo, ma sarà come un uomo che ha perduto una gamba e deve camminare con un arto artificiale». Così come il gigantesco «Enrico IV alla Battaglia di Ivry» di Rubens: i 25 metri quadrati di tela sono costellati di sfregi. Si può passare dalla poesia dell'arte ferita alla prosa dell'arte svalutata? Ci aiuta il professor Paolucci: «Questo quadro, sul mercato, poteva valere attorno agli ottanta miliardi. Una volta ritelato, il suo prezzo scenderà del 10-20 per cento. Per non parlare delle perdite definitive: i tre dipinti andati distrutti erano stimati attorno ai due miliardi». E la visita prosegue. La sala del Botticelli è diventata un impressionante deposito di quadri ammassati su strutture di tubi Innocenti. Tra questi, anche il miracoloso Tondo Doni di Michelangelo. Passo dopo passo si arriva nell'area di Ponente, quella dove l'onda d'urto ha divelto infissi, strappato pesanti vetri antiproiettile, gettato all'aria i pannelli trasparenti dei lucernai. Ed ecco il quadro più impressionante di tutto il museo. E' nella sala del Dosso ed ha come cornice un'immensa vetrata in pezzi spalancata su palazzi semidiroccati e tetti divelti. E', questo, il cuore della strage. Lì c'era l'Accademia, la Torre del Pulci, gli uffici del catalogo e dell'esportazione della sovrintendenza con i grandi computers in cui, da dieci anni, s'immagazzinavano dati su tutte le opere d'arte di Firenze. «Occorreranno almeno quindici miliardi per restaurare tutto il complesso - è il commento di Antonio Paolucci ed altri trenta-trentacinque per risanare le trenta opere danneggiate e le strutture degli Uffizi». E ieri il Consiglio dei ministri ha stanziato 30 miliardi per la ricostruzione degli Uffizi. Strutture fragili e, forse, a rischio: è il caso del pavimento della sala della Niobe che poggia su un grande arco investito dall'esplosione. Si spera che le lesioni siano solo superficiali: i tempi per la rinascita del museo, altrimenti, potrebbero allungarsi ben oltre il mese. Renato Rizzo Tele ammassate distrutti gli impianti elettrici Il trattamento delle opere danneggiate dallo scoppio all'interno della Galleria degli Uffizi

Luoghi citati: Egitto, Firenze, Italia