In centomila per gridare «Firenze non si arrenderà»

Il presidente Scalfaro sui killer «Da qualunque parte vengano li travolgerà la loro violenza» In centomila per gridare «Firenze non si arrenderà» la rabbia in piazza FIRENZE DAL NOSTRO INVIATO Se ci fosse un urlo, in questo silenzio, chissà dove arriverebbe. Invece, si sentono i passi per le strade, scalpiccii confusi, come se fossimo in chiesa, e quelli che vanno non hanno parole, > non hanno altra voce che questa, forse. «Sono stato a pregare come sono capace, pensando a quello studente annientato da quella cieca ferocia», dice Oscar Luigi Scalfaro. All'ombra di questi palazzi, la storia ha lasciato amore e morte, da sempre, da quando vive Firenze. Clara Matassini tira giù la saracinesca della gioielleria: «Abbiamo visto la guerra, l'alluvione e ora la bomba. E cosa c'è di diverso?». Certo, tutte le volte questa città ha dovuto combattere una violenza cieca. La signora Clara, con i capelli d'argento, si tiene stretta alla sorella e viene avanti nella strada piena di luce. Non troppo lontano da qui, continua a scorrere un fiume di anime. Centomila sono, il giorno dopo, nel cuore della città. «Ho ammirato la compostezza, la serietà di questo popolo», ripete il presidente Scalfaro, nella sala di Leone X, a Palazzo Vecchio, in mezzo ai giornalisti. Volano i colombi sui tetti di coppi e di tegole, mentre passa la gente, sfilano gli stendardi e i volti, sotto al sole, spezzati dalle ombre, come in un quadro antico dalle tinte forti. Qui davanti, dove l'autobomba ha colpito l'arte e la vita, accan- to a questo cratere affondato nelle viscere della città, qui davanti è rimasto un cartello: «Ero con te Caterina quando tuo padre nel caos ti portava a dormire nel silenzio». Adesso, non c'è un alito di vento e nella chiesa di San Firenze, San Filippo e Immacolata un organo suona il Magnificat di Bach. C'è solo Patrick Reeves, sull'ultimo banco, con una piccola telecamera in mano, la bocca spalancata, la camicia madida di sudore, e gh occhi fissi sul mosaico, lassù. «Spiritus Domini rapuit Philippum». Davvero Firenze è un mondo fatto di ritratti, di immagini. Poco più in là, nella piazza Santa Croce, sono arrivati i centomila, con gli stendardi, e solo adesso si mettono a scandire dei nomi. «Ca-te-ri-na, Ca-te-ri-na». «Nadia, Na-dia». Le due bambine uccise. Assieme a loro, la folla invoca i nomi di altri martiri, e chiama Falcone e Borsellino fra gli applausi. Poi, mentre sul palco sta per cominciare a parlare Sergio D'Antoni, il segretario della Cisl, c'è come un brusio che sale e si trasforma in un coro, alto e forte. «Firenze, Firenze», grida la gente, e fra quella marea di volti, ondeggia e avanza nel cuore della piazza lo stemma della città ferita e squassata. «Se i vili assassini, se le belve feroci volevano raggiungere l'obiettivo della paura e della rassegnazione, noi rispondiamo che non abbiamo né paura né rassegnazione», grida adesso Sergio D'Antoni. Prima di lui, aveva parlato Pietro Larizza {qualche fischio, qualche contestazione: socia-lista, socialista): «C'è tutta Firenze, tutta la Toscana, tutto il Paese a questa manifestazione che reagisce alle bombe con la testimonianza di una nazione che vuol rispondere all'estremo tentativo di assalire lo Stato democratico. Mafia, terrorismo, strategia della tensione hanno un comune denominatore: la morte dei cittadini indifesi causata da criminali in assoluta libertà che possono girare nel Paese con quintali di esplosivo». Due volte, nella piazza Santa Croce gremita, Firenze sembra commuoversi. Quando il sindaco Giorgio Morales dice: «Ricostruiremo tutto, ma non potremo rendere la vita alle due bambine, alle persone assassinate». E poi quando il leader della Cgil Bruno Trentin cita Falcone e Borsellino: «Sono stati questi leali servitori dello Stato i primi bersagli. Adesso, è il popolo indiscriminatamente». Poco lontano da Santa Croce, mentre sventolano le bandiere rosse e salgono gli applausi, la gente sfila a Palazzo Vecchio. Molti fanno crocchio sulle scale, perché a metà della salita, da un finestrone, s'intravedono gli Uffizi e i vigili del fuoco che lavorano attorno al luogo della strage, vicino al cratere. Ci sono negozi e bar tutti chiusi, per quattro ore di sciopero. E i turisti inglesi, fermi sulle scale, cercano i giornalisti per protestare: «Quel¬ la dello sciopero è una decisione sbagliata. Bisogna dare l'impressione che tutto è come prima. Anche da noi in Inghilterra, a Londra, mettono le bombe, ma nessuno sciopera, noi non fermiamo la città». Lì di fronte, dove c'è l'ingresso dell'Accademia dei Georgofili, il presidente Franco Scaramuzzi è assediato dai cronisti inglesi e lui spiega che «i vigili del fuoco stanno portando giù i libri che si sono salvati». E dice «la memoria storica...», e la voce s'incrina, le mani tremano e i giornalisti lo guardano come chi capisce quel dolore. In Comune, c'è l'elenco dei senzatetto: sono 81, e 29 di questi sono stranieri, quasi tutti americani ospiti dell'albergo Quisisana, che confina sul retro con la Torre del Pulci e nel quale sono state ambientate alcune scene del film «Camera con vista». Il giorno dopo, in questa città attonita, il cammino della sofferenza ha davvero tanti volti. Anche quello del Presidente della Repubblica, Oscar Luigi Scalfaro, che arriva a Firenze nel pomeriggio pieno di sole. «Sono qui per dire la mia fede profonda nella libertà e nella democrazia. E non ho dubbi che la libertà e la democrazia vinceranno. Costoro, qualunque volto abbiano e da qualunque parte vengano, saranno travolti dalle loro violenze». E ancora: «Hanno avuto il coraggio e la sfrontatezza di aggredire il patrimonio culturale, la ricchezza più profonda, intima, valida, vera, del nostro popolo. Ho arnmirato la compostezza, la serietà di questo popolo. Non ho parlato: questi sono fatti di fronte ai quali vale più meditare che parlare». Poi, le ultime parole, prima di partire: «Gli attentatori avevano uno scopo in mezzo a chissà quali altri: dare la sensazione che la democrazia e le istituzioni sono instabili. Proprio oggi è un anno dal mio giuramento. Abbiamo vissuto momenti duri, dalla guerra alle lotte per la libertà, li abbiamo vissuti, superati e vinti. I mah possono vincere una tappa, ma non arrivano mai al traguardo». E' quasi sera, quando il Presidente lascia Firenze. E' di nuovo silenzio. Pierangelo Sa pegno Il presidente Scalfaro sui killer «Da qualunque parte vengano li travolgerà la loro violenza» In basso a sinistra piazza Santa Croce, a Firenze, ieri gremita di folla. Qui accanto il presidente Scalfaro con il sindaco Giorgio Morales