Giustizia per un ragazzo assassinato pianto greco per il Diavolo di Oreste Del Buono

G lettere AL GIORNALE Giustizia per un ragazzo assassinato; pianto greco per il Diavolo Il killer semilibero dopo un anno e mezzo Ha diritto un padre di sapere perché suo figlio (Lucio Cecchetti) è stato ucciso, mentre si stava chinando a raccogliere gli occhiali del suo assassino (Gaetano Falcetta) che precedentemente gli aveva spaccato le gomme dell'auto con un coltello? Mio figlio chiede la verità. Come padre non posso accettare che il rito abbreviato del nuovo codice penale elaborato e messo in pratica da persone intelligenti, quali ritengo siano, possa degradare a tal punto la giustizia che si è permessa di mandare a casa in semilibertà dopo solo un anno e sei mesi un assassino ritenendolo soggetto pacifico e non pericoloso. Renzo Cecchetti, Terni Fininvest, che sportivi i giornalisti sportivi Complimenti ai giornalisti sportivi della Fininvest, per la lamentevole e miope trasmissione di mercoledì sera dopo la finale di Coppa Campioni. Capisco che la delusione era grande, ma è stato un autentico pianto greco, con i nostri, accasciati sulla spalla degli altri «poveri diavoli» milanisti (i calciatori), a sviluppare ossessivamente un unico tema: «Perché il Milan ha perso?». Non una carrellata sulla formazione francese, non un accenno ai singoli, che so io, alla forza fisica di quel Boli che solo il carro attrezzi riesce a spostare: è salito al cielo e nemmeno Rijkaard è riuscito a contrastarlo. Solo alla fine, salutando i telespettatori, Piccinini ha detto sportivamente (l'aveva già fatto Berlusconi, ma a denti strettissimi) «onore al Marsiglia». Poi una manciata di fotogrammi finali, per qualche secondo, dedicati alla consegna della Coppa al clan di Tapie. Carlo Magni, Napoli Donatella e il disagio di esistere Carissima Donatella di 16 anni che hai scritto in merito alla lettera della signora Ferro sul suicidio, vorremmo, con questa nostra, esprimerti la nostra opinione a riguardo di quella famosa lettera che, a nostro parere, non voleva né difendere né giustificare il suicidio ma, solamente, esprimere una condizione di disagio nei confronti dell'attuale sistema di vita che non ha più rispetto della dignità di nessuno. La tua giovane età conta solo in parte perché molti altri la pensano come te e sono solo le esperienze e gli ambienti in cui una persona vive a far aprire gli occhi e a far capire che la retorica che si fa quando si dice che è l'uomo a essere indegno della vita oppure che il suicidio è un affronto alla «disponibilità» umana, in certe situazioni e in certi ambienti di vita, non ha riscontri reali. Siamo tutti capaci a condannare le idee altrui se non fanno parte di ciò che l'opinione comune ritiene lecito e giustificabile e, in fondo, è proprio per questo motivo che la signora Ferro ha ragione, perché se la gente imparasse a rispettare maggiormente i sentimenti di ciascun uomo, la vita non provocherebbe tutto il disagio che, invece, dimostra di provocare. Warner Marsico, Paola Onesto Torino Vita e morte nero su bianco Come già troppe volte ha fatto in passato, la signora Negrello (lettera del 13 maggio), alla vigilia di un nuovo momento legislativo, ritorna a far sentire la sua voce in materia di prelievi d'organo. Ancora una volta la signora vorrebbe dare a credere che non esista adeguata e sufficiente garanzia della certezza della morte, quando è univer- salmente riconosciuto dalla scienza medica che non è così. Infatti per accertare in modo inequivocabile lo stato di morte, differenziandolo da qualunque tipo di coma con precisione scientifica e senza ombra possibile di dubbio, gli specialisti dispongono oggi di accurate e amplificate registrazioni elct¬ troencefalografiche, e anche di vere e proprie «fotografie» dell'arresto del flusso vitale ottenibili con l'angiografia cerebrale, o altre metodiche. Nero su bianco come si diagnostica la polmonite, la malattia delle coronarie e il morbo di Alzheimer, così si può ora diagnosticare la morte: e questa diagnosi è assolutamente inequivocabile perché la sua immagine radiografica non ha nulla a che vedere con quelle che si ottengono nel coma in tutti i suoi gradi e le sue manifestazioni, perché il coma è ancora vita come ogni medico non ha mai dimenticato. Questa è scienza angiografica, non fumo. Ogni volta che la signora si è fatta promotrice di denunce contro sanitari che avessero operato il prelievo di organi, la magistratura non ha mai ravvisato alcun estremo perché ci fosse legittimo luogo a procedere contro di essi. La signora Negrello ostacola procedure e maturazioni di opinione che sarebbero in grado di sottrarre per sempre a una qualità di vita scadentissima le centinaia e migliaia di persone che formano i numeri delle liste di attesa del nostro Paese. Serie interminabili di soggetti che sono costretti a cercare una via di uscita all'estero affrontando oneri familiari ed economici pesantissimi, sostenibili solo dai più agiati e quindi socialmente discriminanti. L. Viora, Torino specialista in Anestesia e Rianimazione, Medicina legale responsabile Ufficio Stampa Consiglio Regionale Piemontese Ass. Italiana Donatori di Organi I «lazzaroni» pagano di tasca Boro In merito alle dichiarazioni rilasciate dall'ag. se. Nicolosi Giovanni, apparse nell'articolo intitolato «Noi non siamo eroi da film. Le scorte: con la mafia è un gioco a scacchi» a firma di Paolo Guzzanti (La Stampa, 24 maggio), il personale delle scorte della questura di Palermo stigmatizza l'inopportunità del termine «lazzaroni» impropriamente usato. Tale affermazione, come riferisce lo stesso collega, non è stata mai proferita. Ciò nonostante è vero che da parte del Dipartimento della P. S. non si provvede a elargire nessuna indennità per sopperire alle spese per il vestiario civile in favore degli agenti delle scorte. Gli stessi sono costretti a presentarsi in servizio con giacca e cravatta, mentre risulta che il comando generale dell'Arma dei carabinieri e la Guardia di Finanza, oggi, più attenti ai problemi del personale dipendente, già corrisponde ai propri addetti alle scorte un'indennità e buoni vestiario. Inoltre, il Dipartimento della P. S. fornisce analoghi buoni vestiario e un'indennità al personale della polizia di Stato impegnato per scorte e altro presso la Camera dei Deputati e il Senato della Repubblica. Quindi, i «lazzaroni», oltre a rischiare la vita devono mettere mani al proprio portafogli per presentarsi in servizio in modo decoroso e consentire così di far fare bella figura ad una amministrazione matrigna. Emilio ColeUa ispettore p.le della P. di S. consigliere nazionale S. A. P. in servizio all'Ufficio Scorte «Non ho mai usato quel termine» Leggo con una certa amarezza l'articolo apparso domenica su La Stampa sulle scorte di Palermo, in cui Paolo Guzzanti usa una chiacchierata informale per trasformare le mie parole in una intervista che non ho mai autorizzato. In particolare mi interessa precisare di non avere mai usato il termine «lazzaroni» per indicare quei colleghi che sono costretti a vestire in maniera sportiva, visto che lo Stato non ritiene di pagare la giacca e la cravatta. Gianni Nicolosi agente scelto Risponde Paolo Guzzanti: L'agente Nicolosi ha perfettamente ragione: ho usato quanto lui mi ha raccontato per dare un quadro esauriente sul problema delle scorte a Palermo. Il termine «lazzaroni» non è stato mai da lui usato, ma mi sembrava che esprimesse in maniera sintetica quanto lui voleva dire. Di ciò mi scuso. RISPONDE O.d.B. Caro OdB, le ho già scritto una volta sull'argomento e, signorilmente, lei non mi ha risposto. Le ripeto la domanda, aggravata da quanto è successo nel frattempo. Ma lei la trova una cosa veramente seria Mani pulite? Siamo in un periodo in cui i magistrati sembrano non riuscire a tener la bocca chiusa. A turno, prorompono in dichiarazioni per lo meno incaute, salvo poi, se ci sono contestazioni, a rimangiarsele, dando la colpa di tutto ai giornalisti. Non pensi che mi sia scoperto una innaturale simpatia per la stampa, ma si esagera col giochino... Ciro Pozzi, Milano G ENTILE signor Pozzi, allora è tornato a Milano da Roma? E ci si ferma oppure no? Non mi dirà che è venuto per fare il suo dovere elettorale? E se sì, mi può dire per chi ha il coraggio di votare? No, non lo faccio per eludere una risposta scottante, ma ci terrei proprio a saperlo. Lo chiedo a tutti. Anche alle facce sui cartelloni affissi in giro. Qualcuno mi rispondesse a tono. Ma, insomma, veniamo a noi. Sì, è vero, la turnazione allo spiffero è continua a Palazzo di Giustizia di Milano. Parlano proprio tutti e poi smentiscono o almeno rettificano proprio tutti. Anche il procuratore aggiunto di Milano Gerardo D'Ambrosio, coordinatore di Mani pulite, non è riuscito a stare zitto e ha detto: «Mani pulite è finita». E' seguita la smentita e la rettifica di come an- Mani o gudelG pulite erra olfo? dasse interpretata una simile dichiarazione. E' finita, ma solo politicamente. Ovvero non nel senso che sia finita veramente. Ma nel senso che non sia affatto finita, sebbene con le confessioni di Cesare Romiti e di Carlo De Benedetti sia stato messo a punto l'ultimo tassello, e lo scenario sia ormai limpido: de e psi, i due partiti di maggioranza, si finanziavano attraverso meccanismi illeciti basati sulla corruzione e per attivare questi meccanismi avevano occupato tutti gli spazi di potere, e così erano entrati in contatto con tutti gli altri partiti disposti a trattare. Insomma, è chiarissimo. Naturalmente, non è altrettanto semplice. La faccenda è più complessa, ma come fanno ad arrivarci i giornalisti che sono tenuti all'oscuro di quasi tutto e hanno una possibilità di controllare la veridicità delle notizie che gli vengono somministrate addirittura inferiore a quella messa a disposizione degli inviati speciali durante la guerra del Golfo? L'unica impressione valida che siamo in grado di trarre da tanto affanno è che l'intenzione di arrivare comunque a una conclusione ci sia, ma che non si riesca a immaginarne una accettabile. E che allora, si moltiplichi tutto come il debito pubblico. Oreste del Buono Mani pulite o guerra delGolfo?

Luoghi citati: Milano, Palermo, Roma, Torino