«Salve sono l'ebreo errante» L'eroe di F & L esiste davvero

il caso. Silvera vive a Milano, si è «materializzato» in questi giorni con un libro il caso. Silvera vive a Milano, si è «materializzato» in questi giorni con un libro «Salve, sono l'ebreo errante» L'eroe di F & L esiste davvero N fantasma si aggira da qualche anno nel nostro mondo letterario. Si chiama David Silvera, lo hanno inventato Frutterò e Lucentini, per dare finalmente un nome all'antico personaggio dell'ebreo errante, protagonista del loro romanzo veneziano L'amante senza fissa dimora (1986). C'è solo un particolare, di cui i due scrittori non avevano tenuto conto. Silvera esiste veramente. E si è materializzato in questi giorni, come autore di un libro che si intitola L'ebreo narrante, appena uscito da Frassinelli. Il suo nome completo è Miro Silvera, ma fin dalle prime pagine l'autore parla del proprio bisavolo, che si chiamava David Silvera, come l'amante di F & L, e di uno zio, David Silvera pure lui, esponenti dell'antichissima comunità ebraica di Aleppo, in Siria. Il sospetto, inevitabile, che fosse un nom de piume, si è dissipato al primo controllo. Miro Silvera c'è, in carne e in sangue: nato nel 1942 a Aleppo come i suoi antenati, emigrato bambino in Italia, dove ha raggiunto gli altri Silvera, già radicati a Milano. Nel suo libro - gustosissimo, bisogna dire subito - racconta tante storie famigliari di ebrei erranti con quel gusto di accennare a una vicenda e di lasciarla in sospeso tipico della tradizione narrativa ebraica («Quando Dio cancella, significa che scriverà»). La scena si sposta nei tempi e nei luoghi, da Gerusalemme alla Spagna dei marrani, dal Cairo a Livorno, da Leningrado a Dachau; e c'è anche «una sosta malinconica a Venezia», in dicembre, come sarebbe piaciuto proprio all'amante senza fissa dimora, che c'era arrivato un mese prima, in veste di guida turistica. Ma F & L, di questo Silvera reale, hanno mai conosciuto l'esistenza? Lucentini, che aveva pensato al nome per il romanzo, nega. «Mai sentito - dice -. Non sapevo neppure che ci fossero dei Silvera in Italia». Il no- me confessa di averlo ripreso da un verso di Eliot, in Gerention, una poesia del 1920, dove si parla della «casa in rovina» e dell'ebreo che «si rannicchia al davanzale, generato in qualche taverna di Anversa, a Londra cencioso e spiantato». Dice Lucentini: «Eliot lo chiama Mr Silvero, ma io l'ho trasformato in Silvera perché non sapevo se Silvero fosse nome ebraico. L'ho proposto a Carlo, lo ha approvato subito». Frutterò conferma, il nome funzionava. E la scoperta di questo Miro Silvera che vive a Milano? I due sono incuriositi, ma non sorpresi, per loro non è un'esperienza nuova. Pochi mesi dopo l'uscita del romanzo, hanno ricevuto una lettera da Israele. «Sono David Silvera, faccio la guida turistica a Gerusalemme, come il vostro protagonista. Se verrete nel mio Paese, sarò lieto di guidarvi io», c'era scritto. F & L non sono ancora andati in Israele, ma hanno risposto che terranno conto della promessa. Sanno che, prima o poi, si imbatteranno nei loro personaggi. Nella loro vita devono avere già intravisto parecchi cattivi Garrone, qualche coppia di sorelle Tabusso, almeno un avvocato Baravalle, quello che, nel Palio delle contrade morte, dice la immortale battuta piemontese: «Mi ascolti a me, Maggioni: quando uno ha la faccia da picio, è un picio». Ma Anna Carla Dosio, la protagonista della Donna della domenica, Frutterò confessa di averla materialmente incontra¬ ta: con gran dispetto di Lucentini, che non riteneva possibile esistesse il nome: «Ce lo eravamo inventato noi, per avere una combinazione nuova con due nomi consueti, e un cognome breve, torinese». Invece si è presentata a Frutterò in un salotto, con nome e cognome. Era bella, come la donna impersonata da Jacqueline Bisset nel film di Comencini? Frutterò non vuole fare confronti. Ricorda una donna di classe, «un po' àgée», in un ambiente di alta società, come quello dove avevano collocato la loro storia. Più imbarazzante, per lui, è stato l'incontro con la marchesa Salimbeni, in un ritrovo aristocratico di Siena. Salimbeni è uno dei due personaggi che, nel Palio delle contrade morte, arriva da Roma, a uccidere un fantino. La signora non si era per nulla divertita di quella omonimia, e glielo ha ricordato subito. «Di un mio parente lei ha fatto un assassino», gli ha detto di fronte a tutta la «haute». Anche Lucentini si è dovuto subire le sue, da parte di monsignor Zeri, uno dei personaggi di A che punto è la notte. Che lo ha chiamato al telefono, lo ha inchiodato per qualche minuto chiedendogli se non si vergogna va di aver trascinato un ecclesiastico come lui in quella vi cenda. Lucentini stava per reagire quando ha sentito, dall'ai tra parte, una grande risata, che tradiva l'interlocutore. Era Fe derico Zeri, naturalmente. Giorgio Calcagno Già altre volte i due scrittori avevano incontrato nella realtà un loro personaggio: l'ira della marchesa Salimbeni, la classe della vera «Donna della domenica» Una scena del film «La donna della domenica», con l'attrice Jacqueline Bisset. Sopra, Frutterò e Lucentini. In alto, Miro Silvera