Ore 1,04: apocalisse a Firenze

Ore 1,04: apocalisse a Firenze L'esplosione provocata da un'autobomba imbottita con 100 chili di tritolo Sotto le macerie, cinque vittime (fra cui due bambine) e ventinove feriti Ore 1,04: apocalisse a Firenze «Il boato, poi una fiammata di trenta metri» FIRENZE DAL NOSTRO INVIATO La fiammata, raccontano, è sprizzata verso l'alto per trenta metri, come una diabolica mano protesa. Si è ritirata strappandoci via anche gli ultimi brandelli d'illusione: cinque morti, ventinove feriti, una famiglia annientata. L'autobomba che l'altra notte ha devastato gli Uffizi, polverizzato i vetri di Palazzo Vecchio, aperto crepe nel Corridoio Vasariano, ha sfregiato l'Italia. Vogliono terrorizzarci tutti, ormai non c'è più dubbio. Le cautele che s'erano sgranate per ore alla ricerca di una qualsiasi altra ricostruzione, di ogni possibile aggancio alla fatalità, si sono dissolte man mano che sul cuore e simbolo della nostra storia si spandeva l'acre odore del Tnt. Era tritolo miscelato a pentrite: almeno cento chili d'esplosivo stivati in un furgone rubato poche ore prima, e che qualcuno aveva piazzato proprio sotto gli Uffizi, a ridosso di un torrione medioevale. Di quel torrione adesso restano solo macerie, di quel furgone un paraurti annodato che pende come uno sberleffo da un lampione di Piazza dell'Accademia. C'era gente, l'altra notte, intorno a Palazzo Vecchio. Parecchi giovani, qualche gruppo di turisti tenuto sveglio da una serata tiepida. Quasi tutti, per fortuna, a passeggiare verso Piazza della Signoria o sull'altro versante di quest'isola d'arte, il Lungarno degli Archibusieri. Di addentrarsi verso il budello di via Lambertesca, e più ancora in via de' Georgofili, una stradina che taglia a sinistra appoggiandosi agli Uffizi, non c'era motivo. E' stata una fortuna, o quest'oggi nel raccontare la strage che ha dato il via alla nuova strategia della tensione conteremmo molti cadaveri in più. Il boato ha fatto tremare il cuore dell'arte italiana esattamente alla 1,04. Fra chi ha visto l'esplosione sono pochissimi quelli che adesso lo possono raccontare. Francesco Cellino, un vigile, ricorda vagamente due donne che barcollavano gridando in francese: «Une bombe, une bombe...». Fabrizio Nencioni e la sua famiglia, probabilmente l'hanno solo sentita. L'auto (un furgone «Fiorino» rubato poco dopo le 19 dinanzi alla stazione di Santa Maria Novella) era piazzata proprio accanto alle fondamenta del torrione nel quale, al terzo piano, lui abitava con la famiglia. La Torre del Pulci, sede dell'Accademia dei Georgofili, da più di due secoli simbolo di un'illuministica volontà di miglioramento, rivolta all'agricoltura, ma non solo. Dell'Accademia, la moglie di Nencioni, Angela Fiume, era custode. Domenica scorsa la coppia aveva festeggiato il battesimo della più piccola delle due figlie, Caterina, nata appena un mese e mezzo fa. La cifra umana di questa strage simbolica, di questo attentato a un'immagine di arte e cultura che si è voluta lordare, si rapprende tutta intorno a quel fagottino. Erano ormai le 4 di notte, la zona era stata transennata, Piazza della Signoria annegata dal blu dei lampeggiatori e dal rosso delle auto dei pompieri, quando dalle macerie della torre è stata estratta la prima vittima. Un corpicino avvolto in una camicetta bianca, portato via- a braccia da un pompiere che pareva impazzito. Pochi metri di corsa, scavalcando i calcinacci verso un'ambulanza che attendeva nel Piazzale degli Uffizi, un'altra luce blu che comincia a lampeggiare, l'urlo di una sirena. Pochi metri. Poi nient'altro. E' stata una scena surreale, un attimo di totale sospensione dall'inferno che era intorno. Gianni De Domenico era stato chiamato lì col suo piccolo escavatore. Ha visto l'ambulanza bloccarsi dopo pochi secondi, la sirena tacere. Dall'interno, i vetri opachi lasciavano intuire la sagoma di un medico che tentava un intervento affannoso. Era un massaggio cardiaco. Ancora qualche minuto poi l'ambulanza ha spento ogni luce e si è accostata silenziosa verso il marciapiede, in at¬ tesa che arrivasse il medico legale. Gli altri componenti della famiglia Nencioni sono stati estratti uno dopo l'altro dalla montagna di macerie, bianchi come mummie, e in uno strano, inverso ordine d'età. Dopo Caterina, la neonata, è toccato ai resti di Nadia, la sorella di otto anni. Poi, alle 4,40, a quelli di Angela Fiume. Il corpo del capofamiglia è stato recuperato per ultimo, insieme con un pacchetto di foto. Erano appena di cinque giorni fa: mostravano le allegre scene di un pranzo di battesimo. Per riconoscere l'altra persona rimasta uccisa sono state necessarie molte, penose ore di rico¬ gnizione. Se la famiglia del torrione era rimasta schiacciata, l'altro, che abitava di fronte, sul lato opposto del vicolo, era finito carbonizzato dalla spaventosa fiammata dell'esplosione. La conferma è giunta solo a sera: si chiamava Dario Capolicchio, aveva 22 anni, veniva da Sarzana. Era il ragazzo di Francesca Cheli, fiorentina. Erano a letto. In qualche modo, col suo corpo disteso lui l'ha protetta, ma forse non a sufficienza. La ragazza è in pericolo di vita per lesioni interne e ustioni al volto. Con lei, il più grave fra i feriti è un uomo di 60 anni cui hanno dovuto estrarre un occhio spappolato dalle schegge. Ma davvero l'elenco delle vittime di questa infamia può fermarsi a poche decine di nomi? Piero Luigi Vigna, procuratore di Firenze e fra i massimi esperti sull'incrociarsi dei terrorismi nostrani, scuote la testa. Le vittime siamo anche tutti noi. Gabriele Chelazzi, uno dei suoi sostituti, aggiunge emozionato: «Questa è una strage senza obiettivo tattico, una strage autosufficiente». Un'azione, intende dire, carica di autonoma, terrificante efficacia distruttiva anche in una strategia del terrore di cui finora è chiaro solo l'allucinante crescendo. Sì, poiché tutto il resto è buio. Della strage di via Lambertesca, al momento, si ignorano del tutto matrici e obiettivi, e a noi stessi, in una prima, forzatamente rapida serie di contatti con investigatori fra i più attenti, è accaduto di sentirci rispondere con accenni contemporanei ed egualmente vagi a una pista mafiosa, una serbo-bosniaca collegata alle recenti minacce del generale Mladic di esportare il terrorismo, una islamico-integralista, riconducibile alla medesima area. E perfino una nuova, .anzi- vecchissima: tutta italiana, criminale sì ma non in senso mafioso, che sarebbe in qualche modo espressione dei frammenti di un vecchio apparato. Sì, parliamo proprio di loro: di quelle aree, o sezioni, o clan che sotto la copertura dei servizi segreti hanno fatto e disfatto nell'incredibile serie di stragi irrisolte di cui proprio in questi giorni, dopo la sepoltura dei fascicoli su Piazza della Loggia, si è tornati a snodare la litania. Fino a questo momento, della strage che ha ufficialmente segnato l'inizio del nuovo terrorismo in Italia, si sono capite solo due o tre cose, a loro volta riconducibili a un precedente di cui si è compreso ben poco. La tecnica usata in via Lambertesca si direbbe sorprendentemente simile a quella adoperata dai misteriosi attentatori di via Fauro, a Roma. Perfino quanto all'autobomba i dubbi paiono ripetersi. Potrebbe darsi, dicono esperti romani, che anche alla base della Torre del Pulci l'esplosivo fosse stato piazzato non dentro, ma sotto l'auto. Anche qui, anche adesso tutto sembra legato alle vaghe linee di un identikit che rappresenta un giovane bruno, magro e nervoso che qualcuno ha visto allontanarsi da via Lambertesca con una busta in mano pochi minuti prima dell'esplosione. Ultima, tenue traccia quella legata alla composizione dell'esplosivo: la miscela fra tritolo e pentrite lascia pensare al «semtex», di produzione cecoslovacca. Ma è purtroppo vero che dai magazzini cechi tonnellate di quel miscuglio si sono diramate verso l'Europa e il Medio Oriente per finire nelle mani delle organizzazioni più varie. In questo inizio d'estate che l'altra sera, a Firenze, si annunciava dolcissimo per farsi d'un tratto torrido, la sola certezza che purtroppo possiamo nutrire è che la catena di attentati non si concluderà qui. Se volevano infliggere un duro colpo a quel che resta di positivo dell'immagine italiana, forse ci sono riusciti. Il panorama di Piazza della Signoria, ieri pomeriggio, rappresentava in maniera quasi plastica l'atmosfera di stupore sospeso creata dall'ultima tragedia. Intorno agli Uffizi vigili del fuoco, mucchi di calcinacci, pareti sventrate a rivelare il rosso vivo dei mattoni, e una polvere sparsa nell'aria come nebbia soffocante. Pochi metri più in là, dietro le transenne, qualche centinaio di fiorentini che assistevano senza una parola. Più dietro, dai tavolini del bar «Rivoire», torme di turisti delusi per la mancata visita al museo che commentavano: «Incredibile, questa Italia. Quando ce ne andiamo?». Giuseppe Zaccaria Vicino al cratere uno scenario spettrale Palazzi sventrati e ovunque montagne di polvere L'attentato ha devastato le sale degli Uffizi e ha polverizzato i vetri di Palazzo Vecchio Primo identikit di un presunto killer I vigili del fuoco scavano fra le macerie vicino al cratere provocato dall'autobomba [foto ansai A fianco soccorritori al lavoro nel luogo dove è avvenuta l'esplosione A sinistra quello che resta dell'Accademia dei Georgofili e della Torre del Pulci (foto ansa]