De Mita nei guai accusato di concussione
Finanziamenti alle imprese nel dopo terremoto in cambio di posti di lavoro per gli amici Finanziamenti alle imprese nel dopo terremoto in cambio di posti di lavoro per gli amici De Mita nei guai, accusato di concussione Il leader de: rinuncio all'immunità, subito dai giudici NAPOLLNon soldi, ma posti di lavoro: è questa la buccia di banana sulla quale è scivolato l'ex segretario della de Ciriaco De Mita. Il leader della sinistra democristiana, al quale la Guardia di finanza ha già arrestato un fratello e un cognato, fa parte da ieri mattina della folta schiera dei politici sotto inchiesta per la ricostruzione post-terremoto: un fiume di circa sessantamila miliardi, che in tredici anni si è disperso in mille rivoli sotterranei. Questa volta, però, non si parla di tangenti, ma di assunzioni. Almeno cinquanta, che sarebbero state imposte dall'ex presidente del consiglio ai titolari delle fabbriche interessate ad ottenere i finanziamenti pubblici in Campania. Le presunte raccomandazioni sono costate la prima informazione di garanzia a De Mita, indiziato di concorso in concussione continuata e aggravata. De Mita andrà oggi dai giudici e rinuncerà all'immimità parlamentare. Un altro avviso di garanzia per lo stesso reato è stato inviato a Elveno Pastorelli, direttore generale del ministero della Protezione civile, all'epoca dei fatti responsabile dell'ufficio speciale per l'erogazione dei finanziamenti. I provvedimenti portano le firme dei sostituti procuratori di Napoli Arcibaldo Miller e Ugo Ricciardi, che indagano sui tanti misteri del dopo-terremoto. I magistrati, però, non si sono limitati a aprire un'indagine sul conto di De Mita: hanno anche chiesto e ottenuto che il gip, Raffaele Marino, emettesse quindici ordini di custodia cautelare. In prigione sono finiti funzionari del Banco di Napoli e dell'Italtecna, un nutrito gruppo di industriali, il sindaco di un Comune irpino e uno stretto collaboratore di De Mita, Ennio Pensa. Tutti insieme avrebbero contribuito a convogliare miliardi sulle industrie incriminate. De Mita avrebbe fatto il pieno delle raccomandazioni nell'arco di cinque anni fino al '92, poco prima delle elezioni politiche, quando a Milano già infuriava Tangentopoli. Il messaggio lanciato agli imprenditori sarebbe stato questo: se volete fondi pubblici per aprire le vostre fabbriche dovete assumere i nostri amici. Così la «Sesi» di Palomonte (Salerno), la «Tunit Sud» di Napoli e la «Gardenplast» di Calitri (Avellino) avrebbero dovuto assumere cinquanta «amici». In compenso, le pratiche per la richiesta dei finanziamenti sarebbero andate avanti. La «Gardenplast», che produce oggetti in plastica, ha avuto un contributo di quasi 8 miliardi. Alla «Tunit Sud», industria della gomma, lo Stato ha concesso 15 miliardi 157 milioni. La «Sesi», impresa specializzata anch'essa in lavorazioni plastiche, ha ottenuto poco più di 9 miliardi: 3 anni fa la commissione parlamentare guidata da Scalfaro accertò che la costruzione della fabbrica era appena iniziata. A sbloccare i finanziamenti avrebbero pensato Elveno Pastorelli, il segretario di De Mita, Ennio Pensa, l'ex sindaco di Calitri, Aldo Frasca, e il segretario della Cisl di Avellino, Giuseppe Solimene, ex dirigente Inps. Gli ultimi tre, arrestati, rispondono di concorso in concussione continuata. Solimine è finito in manette anche per estorsione: ha imposto ad un costruttore di ristrutturargli la casa gratis. Pastorelli, sospettato come De Mita di essere il regista dell'operazione «lavoro sicuro», smenti- sce. Dice che al leader de lo lega una lunga amicizia: «Siamo stati compagni di scuola e di tressette, e questo rapporto mi ha portato solo qualche svantaggio. Ho fatto il pompiere tutta la vita, da 35 anni aiuto la gente colpita da calamità. Non ho mai avuto a che fare con il mondo politico, non ho mai ricevuto benefici. Ma domani il mio nome sarà su tutti i giornali, e nessuno mi restituirà la dignità». Lo scandalo della ricostruzione post-terremoto non si sarebbe consumato solo con l'imposizione dei posti di lavoro nelle industrie. Un altro capitolo è intitolato a una truffa compiuta dalle imprese che dovevano mostrare solidità se volevano ottenere i fondi pubblici per aprire. Molte di quelle società erano scatole vuote, che con la complicità di funzionari di banca risultavano in regola. Avrebbero chiuso tutti e due gli occhi Luigi Naccarato, Eduardo Feraldo, Rocco Festa e Mario Di Divitis, dirigenti e consulenti del Banco di Napoli. Sono finiti in prigione per truffa. Stessa sorte è toccata a Enrico Macchioni e Aldo Granelli dell'Italtecna, altro ente preposto al controllo dei finanziamenti. Fulvo Milone Elveno Pastorelli
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