Berlinguer bestseller d'estate di Pierluigi Battista

Il numero due della Fiat è dal 18 maggio nel registro degli indagati dei giudici di Milano Berlinguer, bestseller d'estate La grande corsa a invocare 41leader pei I SALISCENDI DELLA MEMORIA AROMA DESSO, sulla prima pagina del manifesto, lo dipingono con l'aureola. Lassù in Paradiso, ritto sulla nuvoletta, il furibondo San Berlinguer del vignettista Vauro si rimbocca le maniche per ridiscendere in questa valle di lacrime e rifilare quattro sganassoni ai detrattori d'un tempo che soltanto in questi ultimi giorni di Tangentopoli, a nove anni esatti dalla sua morte, rendono tardivo omaggio al vessillifero della «questione morale» e dell'«austerità», al simbolo vivente della «diversità» comunista. «Aveva ragione lui», ammettono in coro industriali e politici, avversari ed eredi, tutti stretti in un abbraccio rituale davanti all'icona di Enrico Berlinguer. «Aveva ragione» quel sardo fragile e testardo che in una sera di giugno del 1984 s'accasciò sul palco e a nulla valsero i solleciti soccorsi del fedelissimo Tonino Tato. «Aveva ragione» da vendere quell'uomo minuto con il colletto della camicia troppo largo, le spalle curve e i capelli dritti come aculei che negli ultimi anni di vita partì lancia in resta nell'apocalittica maledizione scagliata contro la corruttela dei «partiti che non fanno più politica» mettendosi al servizio di interessi «talvolta anche loschi». Cesare Romiti riconosce che c'era del vero nell'«assillo» con cui il segretario del pei soffriva «il degrado morale di questo Paese». Ciriaco De Mita ricorda che Berlinguer «due, tre giorni prima di morire ha voluto vedermi» come se una comune preoccupazione nei confronti dell'«andazzo» dominante unisse il leader irpino e il capo dei comunisti italiani. Il giornale di Eugenio Scalfari riesuma ampi stralci dell'intervista con cui «Enrico parlò a Repubblica». Achille Occhetto, oberato dal peso degli ottanta e passa «casi isolati» che coinvolgono esponenti della Quercia nella melma di Tangentopoli, ricorda con rabbia «la scandalosa campagna che fu condotta allora contro il segretario del pei» per dire che gli eredi legittimi del partito di Berlinguer non c'entrano col «blocco di forze»; che in Italia ha gettato le basi del malaffare politico. E sugli schermi del Tg3 Alessandro Curzi suona la grancassa della nostalgia: una sequenza inter minabile di immagini che immortalano il sorriso di Berlin- guer e tutto un languido ritornare «con la mente e con il cuore» a quel meeting dell'Eliseo, anno di grazia 1977, in cui il segretario del pei lanciò la parola d'ordine dell'«austerità». Scusaci, Enrico. Per la verità, le scuse vennero formulate una prima volta già all'indomani della morte di Berlinguer. Le lacrime amare del popolo comunista a piazza San Giovanni, l'aereo di Pertini messo a disposizione per trasportare a Roma (con gran disappunto di Claudio Martelli) la salma del leader del pei, la sfilata degli avversari, Almirante compreso, che vanno in pellegrinaggio a Botteghe Oscure per omaggiare il Nemico caduto in trincea, il plebiscito che nelle elezioni europee del 1984 premia il pei e lo porta al primo posto. Ma che sfilza di no all'austerità berlingueriana. No degli intellettuali, Asor Rosa e Cacciari in testa, che sentono odore di pauperismo e di savonarolismo e restano perplessi di fronte alla prospettiva di mettere il saio agli italiani. No di tutti coloro, socialisti craxiani in testa, che diffidano di quell'uomo che col compromesso storico sembra intenzionato a stritolare senza pietà le forze intermedie. No del movimento del '77 che nei cortei non risparmia invettive contro il leader del pei che è «come un ravanello, rosso fuori e bianco di cervello» e sbertuccia con belati irridenti il povero «Bee-BeeBee Berlinguer». All'opinione pubblica moderata non dispiace affatto quell'uomo piccolo e curvo che a Mosca sfida gli orsi della nomenklatura brezneviana e diffonde il Verbo dell'euro-comunismo e in Italia fa fronte comune contro il terrorismo. Poi, repentina e traumatica, la svolta. Berlinguer che arringa gli operai davanti ai cancelli di Mirafiori scalda i cuori dei suoi ma scava un fossato tra il pei e tutti gli altri. Enrico che scatena la guerra santa contro l'orco Bettino fa appello alla «pasta diversa» dei comunisti italiani, esalta nel pei un senso di orgogliosa superiorità ma umilia chi sta fuori dal recinto sacro di Botteghe Oscure e che viene trattato come un corrotto appe- stato per il solo fatto di non essere illuminato dalla pura «moralità» comunista. «Aveva ragione lui», dicono adesso. Ma allora, quando entrava nel congresso socialista di Verona, il leader comunista veniva accolto da un'assordante salva di fischi con Craxi che dal palco avallava l'inospitale accoglienza dei suoi dicendo che lui non si univa al coro sol- tanto perla sua incapacità di fischiare. E invece lo adoravano, i suoi. Gongolavano quando Roberto Benigni prendeva in braccio il loro leader neanche fosse un ragazzino. Dopo la sua morte, Berlinguer resta l'oggetto dell'inconsolabile rimpianto della base, con le sezioni che acquistano interi stock della biografia che a Enrico dedica Peppino Fiori, con i militanti che piangono quando Antonello Venditti dedica a Berlinguer un omaggio musicale. Arrivano i giorni della crisi, con i berlingueriani doc che si dividono nella tempesta che dà vita al pds e con il nemico odiatissimo, Francesco Cossiga, che usa il ricordo del cugino per misurare l'abissale distanza con gli «zombie coi baffi» che ne hanno raccolto l'eredità. Ci voleva Tangentopoli per sancire la riabilitazione postuma. E i reprobi che agitano il santino di Berlinguer per riscattare l'immagine del leader del pei; «Aveva ragione lui». Che riposi in pace. Pierluigi Battista Quando Benigni 10 prese in braccio e quando nel 77 i cortei gli facevano 11 verso: Bee-bee-bee La «diversità» pei eicantidiVenditti Berlinguer e la vignetta di Vauro sul «manifesto»

Luoghi citati: Bee, Italia, Mosca, Roma, Verona