Gli USA con gli occhi a mandorla

Al potere i cittadini di origine asiatica con gli occhi a mandorla NEW YORK ASIA sta conquistando lAmerica non solo dall'esterno, con l'esportazione delle sue merci, ma dall'interno, con lo successo sociale anche straordinario degli americani di origine asiatica. E' probabile che il prossimo sindaco di Los Angeles sia per la prima volta un cinese, il democratico Michael Woo, appoggiato personalmente dal presidente Clinton. Di ascendenza cinese è anche Connie Chung, che sarà la prima donna a condurre, accanto al mitico Don Rather, il telegiornale della sera della Nbc. Non è azzardato immaginare che un giorno non troppo lontano un «asian-american» - un cinese, un giapponese, un coreano - possa aspirare alla Casa Bianca. Gli asiatici stanno bruciando le tappe: si integrano rapidamente nella società americana, conquistano i gradini alti e medio-alti della gerarchia sociale e in certi settori cruciali (la ricerca, la scienza) stanno addirittura soppiantando gli americani di origine europea. Il teorico dell'avvento degli asiatici ai vertici dell'America è Francis Fukuyama, il politologo di origine giapponese che qualche anno fa suscitò scalpore con un controverso libro sulla caduta del comunismo vista come l'inizio della «fine della storia». In conferenze e articoli (l'ultimo e il più elaborato dei quali è apparso sulla rivista Commentary), egli va sostenendo che la destra americana sbaglia se teme che l'immigrazione dal Terzo Mondo possa deprimere i «valori» tradizionali dell'America: la famiglia, l'operosità, il civismo. Al contrario, saranno proprio i nuovi venuti a rinsaldare queste vacillanti virtù. E, di tutte le immigrazioni, quella asiatica ha le carte meglio in regola per guidare la rinascita dell'America. Per capire il senso di questa orgogliosa rivendicazione, occorre ricordare che gli asiatici hanno sofferto storicamente le peggiori discriminazioni in America. Nonostante avessero accettato di svolgere i lavori più duri e ingrati (lo scavo delle miniere, la costruzione delle ferrovie), i cinesi furono bersaglio di feroci violenze nell'Ottocento, con frequenti linciaggi nelle strade di Los Angeles e di San Francisco. L'isteria collettiva sul «pericolo giallo» indusse il Congresso a vietare per molti anni ogni ulteriore immigrazione, con il' Chinese Exclusion Ad del 1882, al quale nel 1907 si aggiunsero le leggi che ridussero drasticamente l'immigrazione giapponese, e nel 1917 un bando ancora più esteso che colpiva tutti gli asiatici. Per non parlare dell'evacuazione coatta durante la seconda guerra mondiale dell'intera popolazione di origine nipponica lungo la costa del Pacifico: 112 mila persone. Basti pensare, per un confronto, che soltanto 800 tedeschi e circa 200 italiani furono internati per ragioni di sicurezza. Nei documenti del Pentagono, i giappo- nesi venivano definiti «una razza nemica» e «stranieri di una terra diversa». Acqua Spassata. Le famiglie giapponesi sono state nel frattempo risarcite per l'ingiustizia subita. E ora Francis Fukuyama può duellare brillantemente con Pat Buchanan e Peter Brimelow (due fautori della chiusura delle frontiere Usa) sostenendo che l'America non è una «nazione cristiana», come vorrebbe definirla la destra del partito repubblicano, perché l'identità nazionale americana non è stata mai legata all'etnicità e alla religione, bensì ai concetti di libertà ed eguaglianza «che in teoria sono aperti a tutti i popoli». Basta dunque con la storia che i wasp, cioè i discendenti dei coloni anglosassoni, bianchi e protestanti, siano i soli, veri e autentici custodi dei cosiddetti valori culturali dell'America. Con il mito anglosassone, Fukuyama ci va giù pesante. Comincia col rilevare che la Gran Bretagna - la grande genitrice dell'America bianca primigenia - si è fatta superare, nella classifica dei redditi procapite, da un Paese latino come l'Italia. E se continua così rischia di essere scavalcata anche da Grecia e Portogallo. «Gli operai inglesi sono i meno istruiti, i più dipendenti dall'assistenza pubblica e i più immobili socialmente nel mondo industrializzato». Come dire che l'ascendenza britannica, l'anglicità, è già di per sé una fonte di debolezza culturale, se non proprio genetica. I wasp americani gli appaiono altrettanto imbastarditi. E' la loro decadenza - dice il nostro nippo-americano -, è il loro sfrenato liberalismo che hanno generato tutti i mali che ora gli ideologi di destra, wasp anch'essi o sedicenti tali, vanno denunciando. L'educazione permissiva, la rivoluzione sessuale, il femminismo, la celebrazione degli stili di vita alternativi, l'elogio della «diversità», il divorzio facile e le famiglie sfasciate: tutti questi fenomeni che la destra (e anche Fukuyama, che è un robusto conservatore) considera disruptive, disgreganti, non possono essere addebitati ai poveri immigranti del Terzo Mondo. Questi. malanni sono nati «nel cuore stesso della ben consolidata comunità bianca e anglosassone». Chi esalta oggi i valori della contro-cultura? Risposta: le élite bianche di Hollywood, gli intellettuali e i giornalisti bianchi di New York, mentre gli immigranti messicani e coreani si ag¬ grappano alla famiglia e alla tradizione. «Il vero pericolo - incalza Fukuyama - non è che le élite bianche possano essere corrotte dalle abitudini e dalle pratiche degli immigranti dal Terzo Mondo, ma piuttosto che siano gli immigranti a essere traviati dalle élite bianche». Risolto questo problema, e cioè che i «valori» non sono patrimonio di un solo gruppo sociale, e tantomeno dei wasp, e che anche altri gruppi, come gli ebrei e gli asiatici, possono esserne legittimi titolari, si pone un secondo interrogativo: quali gruppi etnico-culturali sono oggi i più capaci di rilanciare le antiche virtù dell'America? Fukuyama spende parole di comprensione per tutti gli immigranti, anche per i latinos provenienti dal Messico e da Cuba, ma alla fine confessa fin troppo esplicitamente che sono gli asiatici i suoi favoriti. Cinesi, giapponesi, coreani, vietnamiti (un po' meno i filippini): ecco gli eredi dei. wasp. Seri, efficienti, pragmatici, dotati di rigore e di senso etico, insomma i gruppi meglio attrezzati, intellettualmente e moralmente, per restituire all'America la perduta identità. Perché, a detta di Fukuyama, bisogna smetterla di coltivare il cosiddetto «multiculturalismo», cioè la dottrina secondo la quale tutte le culture hanno pari valore e dignità. Bisogna invece ristabilire l'egemonia della cultura americana che veniva impo- sta a precedenti generazioni di immigranti. Lo stesso vale per la lingua: gli immigranti devono imparare l'inglese e non pretendere (come fanno alcuni gruppi ispanici in California, a Miami, a New York) di introdurre in America isole di bilinguismo. Se gli asiatici costituiscono la model minority, la minoranzamodello, è proprio perché la loro straordinaria capacità di integrazione si manifesta a livello culturale. I bambini asiatici hanno voti più alti della media. Il 75% di essi completa la high school (la scuola media superiore) contro il 66% della media nazionale. Pur rappresentando appena il 3% della popolazione americana, gli asiatici sono presenti nelle buone università in percentuali che in certi casi, per esempio a Berkeley (California), raggiungono il 33%. Posso portare una piccola testimonianza personale. Conosco un signore italiano che, avendo una figlia adottiva di origine coreana, vorrebbe farle frequentare la Harvard University. Il curriculum scolastico della figlia è molto brillante e dovrebbe garantirle l'ammissione. C'è però un rischio: che i funzionari dell'admission office di Harvard vengano a sapere che, pur essendo una cittadina italiana, la ragazza è coreana di nascita. «E allora me la respingono - impreca il mio conoscente - perché gli asiatici sono ormai troppo numerosi nelle università americane, e gli altri gruppi, bianchi e neri, cominciano a protestare». Nelle facoltà scientifiche più difficili e impegnative, per esempio ingegneria, si incontrano sempre meno americani bianchi e sempre più cinesi e giapponesi. Anche negli istituti di ricerca, il numero di asiatici è impressionante. E nel campo della ricerca applicata basti citare un solo dato: nella Silicon Valley, ossia nel cuore pulsante dell'industria elettronica, lavorano oggi 12 mila ingegneri di origine cinese. La molla profonda dell'ambizione, il segreto di questa scalata sociale degli asiatici è la forza della famiglia. Se mettiamo a confronto la media famiglia americana con la famiglia cinese, giapponese o coreana, le differenze balzano agli occhi: le coppie asiatiche divorziano meno, fanno più figli, accudiscono i genitori, mantengono stretti rapporti con l'insieme dei parenti. Oltre che una fonte di sicurezza psicologica, queste famiglie-clan sono poderose strutture economiche perché svolgono sovente un'attività indipendente, di natura quasi sempre commerciale, in base al principio confuciano secondo il quale «è meglio essere la testa di un pollo che la coda di un bue». Prendiamo i coreani. Sono immigrati negli ultimi trenta anni, ma basta fare una passeggiata nelle strade di New York per accorgersi che gestiscono quasi tutti i negozi ortofrutticoli, riuscendo a tenerli aperti notte e giorno. Come si è visto un anno fa durante i disordini di Los Angeles, questo successo provoca forti tensioni razziali. I neri, per esempio, accusano i coreani di aver sottratto loro posti di lavoro e possibilità di avanzamento sociale. Ma il fat to è che alla popolazione nera mancano i tre punti di forza sui quali si regge un negozio coreano: una famiglia numerosa e compatta nella quale tutti lavorano, la voglia di lavorare in turni di 16 e anche 18 ore al giorno e l'appoggio di clan etnico-familiari - piccole banche, a tutti gli effetti - per finanziare l'avviamento dell'impresa. Si spiega allora perché la destra americana, sul problema dell'immigrazione, si sia spaccata. L'ala più intransigente vorrebbe chiudere le porte a tutti gli immigrati dal Terzo Mondo, per proteggere l'America «dall'imbarbarimento». E' interessante che Fukuyama e gli altri oppositori, per i quali l'America è già comunque imbarbarita, abbiano trovato una tribuna in Commentary, una rivista di destra edita da un'associazione ebraica (l'American Jewish Commitee) riluttante ad appoggiare le nostalgia wasp, e vagamente razziste, di un'America tutta «bianca e cristiana». Proprio su Commentary, il sociologo Louis Winnick ha chiuso un articolo sui meriti degli americani di origine asiatica con questa parole: «Sono una benedizione per l'America». Gaetano Scardocchia // politologo Fukuyama: «Di tutte le immigrazioni, quella orientale è l'unica con le carte in regola per guidare la rinascita americana» Al potere i cittadini di origine asiatica Los Angeles avrà un sindaco cinese LA STAMPAni ca con gli occhi a mandorla In basso uno degli americani-giapponesi di più lunga tradizione statunitense: si chiama Robert Izumi, i suoi antenati arrivarono nel 1860 e le a a» go La on ai i zi: ia, o» In basso uno degli americani-giapponesi di più lunga tradizione statunitense: si chiama Robert Izumi, i suoi antenati arrivarono nel 1860 A sinistra: Pat Buchanan, fautore della chiusura totale delle frontiere all'immigrazione. Fu avversario repubblicano di Bill Clinton (sopra) che oggi, da Presidente, appoggia l'elezione del «cinese» Michael Woo a sindaco di Los Angeles In alto a sinistra il politologo Francis Fukuyama: «La destra sbaglia: noi non deprimeremo mai i "valori" americani. Anzi: rinsalderemo la famiglia, l'operosità e il senso civico»