«Balla coi lupi» show della nostalgia a Milano di Lorenzo Del Boca

«I pellerossa sono finiti e voi non potete pretendere che noi viviamo a dispetto del mondo» Indossano i mocassini esclusivamente negli spettacoli e si coprono di piume d'aquila per le fotografìe «Balla coi lupi», show della nostalgia a Milano L'ippodromo di San Siro ospita per una settimana la tendopoli Sioux MILANO DAL NOSTRO INVIATO I pronipoti di Toro Seduto e di Cavallo Pazzo si chiamano Dennis, Prescott, Arthur, Geremy, Birgil: indossano i jeans, bevono la Coca-Cola e considerano gli hamburger un piatto gustoso. Sembrerebbero più americani degli yankees, questi Sioux che si fermano a Milano per una settimana, in una tendopoli allestita attorno all'Ippodromo di San Siro. I mocassini di pelle li usano soltanto quando «si esibiscono» presentando le loro danze antiche. Le piume d'aquila, trofeo di eroismo da portare nei capelli, servono per le fotografie. E il loro artigianato è diventato un piccolo business da proporre agli europei che cercano un singulto di esotismo guerriero. Pellerossa addio? «Certo - ammettono - non potete pretendere che si viva a dispetto del mondo. Anche voi vestite e mangiate di- versamente dai vostri nonni. Se guardate l'aspetto esteriore, il nostro modo di comportarci è cambiato. Voi direste che si è aggiornato. Ma se ci leggeste nel cuore vedreste che è lo stesso dei nostri padri». Orgoglioso, forte, generoso. Questa piccola delegazione di indiani con donne e bambini fa parte della tribù più fiera dei pellerossa: quella che ha combattuto le «giacche blu» fino all'ultima cartuccia. A loro è dovuta l'unica vera, anche se inutile, vittoria in battaglia quando - il 25 giugno 1876 - massacrarono gli uomini del Settimo Cavalleria del loro nemico giurato generale George Armstrong Custer. Uno scontro epico avvenuto in uno spiazzo erboso, stretto fra le due braccia di uno stesso fiume, il Piccolo e il Grande Corno. Little Big Horn, per l'appunto. Allora era distante settanta miglia dal forte più vicino e anni luce dalla civiltà; ora è alla periferia di BilMngs, nel Montana, ed è una specie di museo a cielo aperto dove si trovano i ci¬ miteri dei caduti, le lapidi di commemorazione, il plastico che illustra le fasi dello scontro, un Trading Post con cartoline e ritratti di antichi capi indiani. Non Cavallo Pazzo, però, il capo e lo stratega di quella vittoria perché nessuno è mai riuscito a fotografarlo. E non si sa nemmeno dove sia la sua tomba: quando fu ucciso - gli indiani vogliono che sia detto chiaramente «a tradimento» - gli uomini della sua tribù rubarono il cadavere per nasconderlo nel cuore delle Bad Lands, terre cattive perché desolate e irraggiungibili. Un sepolcro invisibile per quell'uomo, indomabile, che non aveva mai firmato un trattato con i bianchi e che non aveva mai accettato di discutere con loro. «Quelli - si giustificava non fanno sul serio. Giurano e poi rinnegano la parola data senza darsi pensiero. Forse non c'è nessuno che li giudica... Ma io non posso perché quando il Grande Spirito mi chiederà conto della mia vita di guerriero, io devo poter rispondere con la testa alta e lo sguardo diritto». E' uno spicchio di storia che quel gruppetto di Sioux ha portato dagli States a Milano. E questo raccontano ai visitatori illustrando le immagini di una mostra di fotografie, alcune delle quali inedite e davvero preziose. «I torti che abbiamo subito sottolineano ancora - non stanno scritti sui libri di storia. I massacri, i soprusi, la fame e la sete. Il lento sterminio nelle riserve: le malattie, l'analfabetismo, la disoccupazione, l'alcolismo, una mortalità infantile di sedici volte superiore alla media nazionale. Tutto quello non si trova nelle statistiche americane ma noi lo viviamo quotidianamente e dovrebbe bastare per farci sentire orgogliosamente indiani anche con gli stivaletti, i giubbotti di cuoio e i cappelli Stetson dei cow-boy». Pronipoti di Cavallo Pazzo e Toro Seduto. Quando non hanno potuto più combattere a fucilate, hanno ingaggiato una interminabile battaglia in tribunale per ottenere giustizia e il risarcimento dei danni patiti. Ma tutte le azioni legali - ancorché formalmente accolte - finivano per naufragare nel nulla. «Il problema maggiore della società bianca è l'avidità». Birgil Straight, responsabile del Lakota Treaty Council, non ha dubbi. «Voi - è certo - avete tanto ma volete di più. Quando si ha troppa ricchezza, si trascorre il tempo a cercare i modi per aumentarla ancora. E il cuore diventa secco». I pellerossa preferiscono stare nel loro grande cerchio. «Ogni essere ci sta dentro e vive in armonia con tutto il resto. C'è posto per il più sottile stelo d'erba e per il più grande degli animali». Dove il pellerossa non può diventare viso pallido. Lorenzo Del Boca «I pellerossa sono finiti e voi non potete pretendere che noi viviamo a dispetto del mondo» Un'immagine dell'accampamento degli indiani nell'Ippodromo di San Siro

Persone citate: George Armstrong Custer, Little Big Horn

Luoghi citati: Milano, Montana