Bosnia in pezzi la pace russo-americana

Il segretario di Stato costretto ad ammettere: al massimo servirà a ridurre la strage Il segretario di Stato costretto ad ammettere: al massimo servirà a ridurre la strage Bosnia, in peni la pace russo-americana Critiche e «no» generali, mancano mezzi e uomini WASHINGTON DAL NOSTRO CORRISPONDENTE In risposta alle critiche che hanno investito Bill Clinton da destra e da sinistra per aver accettato un compromesso con gli europei sulla Bosnia, che equivale - ha detto un senatore democratico - a «una legittimazione del genocidio», il Segretario di Stato Warren Christopher ha sostenuto ieri che l'accordo di sabato scorso è stato fatto «nel migliore interesse degli Stati Uniti». Ma a parte il fatto che gli Stati Uniti hanno finito per accettare quanto avevano fino a poco prima veementemente respinto, il compromesso che prevede la ghettizzazione dei musulmani bosniaci in sei «zone sicure» e che ratifica in sostanza l'occupazione serba non convince nessuno e non sembra in condizione di reggere all'urto degli avvenimenti. Non a caso perfino i serbi bosniaci, che l'avevano salutato come un segno di rinsavimento della comunità internazionale, hanno annunciato ieri, per bocca del loro leader Radovan Karadzic, che non accettano il presidio del confine serbo-bosniaco da parte di truppe dell'Orni. E il capo dei bosniaci musulmani, Aljia Izetbegovic, ha dichiarato che, a questo punto, trattare sarebbe solo una perdita di tempo. Christopher, che sabato aveva giustificato l'adesione al pia- no russo-europeo sostenendo che ha almeno il merito di «fermare la strage», ieri, con un preoccupante slittamento linguistico, ha detto che, se non altro «potrà minimizzarla». Colpito per la dura reazione di Izetbegovic, l'architetto del piano, il russo Andrei Kozyrev, ha protestato che a lui il leader bosniaco aveva detto tutt'altro la settimana scorsa a Spalato. Ma poi, anche il ministro degli Esteri russo ha espresso tutto il suo pessimismo su «una situazione ormai intrattabile». Mentre i serbi annunciano di ribellarsi a una parte del piano e i bosniaci si rifiutano di continuare nelle trattative, avendo perduto ogni fiducia nella mediazione della comunità inter¬ nazionale, anche i croati protestano per le minacce di sanzioni dei loro confronti. L'artefice del piano di pace bocciato dai serbi, l'inglese David Owen, ha ammesso ieri che «la situazione è del tutto cambiata e occorreranno altre consultazioni prima di reimpostare qualunque negoziato»: «Il ruolo di mediatore mi è stato affidato dalla comunità internazionale ed è con loro che voglio discutere. Nei prossimi giorni parlerò con. alcuni leader europei» ha detto Owen a Londra prima di imbarcarsi su un aereo per Ginevra. Si è poi rifiutato di fare commenti sull'affermazione dei serbi di bosnia secondo cui il suo piano sarebbe morto. Il suo collega Thorvald Stoltemberg, che ha preso il posto di Cyrus Vance, ha ammesso che, con il risalire della tensione, la situazione non appare affatto «facile». Ma è un eufemismo. Se le proteste delle parti coinvolte possono anche essere considerate il frutto dell'esasperazione accumulata, il problema è che non sembra esserci alcun mezzo per rendere operativo il piano con qualche speranza di successo. Innanzitutto, mancano i soldi e le truppe. Anche volendo applicare la tutela dell'Onu sulle sei «zone sicure» a un livello minimale, 3000 uomini per ogni città aperta, manca da parte delle diverse nazioni un'offerta adeguata di truppe. Gli Stati Uniti, che non manderanno truppe ma hanno promesso la copertura aerea dell'operazione, hanno però specificato, per bocca di Christopher, che l'Air Force si limiterà a intervenire se verranno attaccate direttamente le truppe dell'Onu. Poiché questo è improbabile, questo significa che l'aviazione americana assisterà impassibile allo sterminio dei bosniaci da parte dei serbi. I bosniaci, a loro volta, hanno annunciato che non accetteranno la presenza di truppe russe, considerate amiche dei serbi, se non verrà autorizzato l'intervento anche delle truppe dei Paesi musulmani che si sono offerti. Ma il Segretario Generale dell'Orni, Boutros Boutros-Ghali, ha detto «no». Il capogruppo repubblicano nel Senato americano, Bon Dole, e il democratico Patrick Moynihan, hanno sostenuto che il piano, oltre che «legittimare il genocidio», cancella per sempre la Bosnia dalla carta geografica. Moynihan ha parlato di «un grave peccato» commesso da Clinton e dal mondo. Sul «New York Times» un vecchio diplomatico americano ha annunciato «la fine di un'era, l'era della leadership e della potenza americana in Europa». Clinton, che aveva accusato George Bush di cinismo riguardo alla Jugoslavia, adesso vuole solo defilò.si il più in fretta possibile. Paolo Passarmi f É

Luoghi citati: Europa, Ginevra, Jugoslavia, Londra, Spalato, Stati Uniti, Washington