Guerra aperta sui verbali di Romiti di Guido Tiberga

Si difendono i politici chiamati in causa dalle dichiarazioni del manager ai magistrati Si difendono i politici chiamati in causa dalle dichiarazioni del manager ai magistrati Guerra aperta sui verbali di Romiti De Mita e Goria: malfatto pressioni sui vertici Fiat ROMA. De Mita «nega». Goria «precisa». L'ex ministro Granelli «smentisce». I vertici dell'ambasciata americana «cadono dalle nuvole» con un comunicato e «ammettono in parte» con quello successivo. Il mondo politico reagisce così alla pubblicazione delle «carte Romiti», il verbale dell'incontro dell'amministratore delegato della Fiat con i giudici dell'inchiesta Mani Pulite. Nove cartelle rese note domenica, che riassumono la giornata del 21 aprile scorso, quando il manager si presentò spontaneamente ai magistrati. Una bufera di precisazioni e di smentite che si inizia nella tarda mattinata. Il primo a parlare è Ciriaco De Mita, che secondo i verbali dell'incontro Romiti-Di Pietro «chiese conto di eventuali contributi della Fiat» in occasione della cessione della Teksid dall'azienda torinese alla Finsinder (Iri). La stessa richiesta - continua Romiti gli era arrivata pochi giorni prima da Craxi, all'epoca segretario del psi. «Chi vuole recuperare credibilità parli di ciò che ha fatto - taglia corto l'ex leader della de - non di ciò che non è avvenuto, riguardo a richieste mai avanzate o pressioni mai esercitate». Subito dopo entrano in1 scena Giovanni Goria e Luigi Granelli, chiamati in causa sul polo delle telecomunicazioni, il matrimonio tra pubblico e privato che avrebbe dovuto realizzarsi con la fusione tra Italtel e Telettra. Romiti parla di «pressioni» a favore della candì- datura di Marisa Bellisario al vertice della nuova azienda. I due de, all'epoca capo del governo e ministro delle Partecipazioni statali, lo invitano a non fare del «vittimismo» e a non «travisare la verità». Dice Granelli, oggi senatore: (uVamministratore delegato della Fiat deve essere più preciso quando, per accreditare il suo vittimismo, tira in ballo persone che si sono limitate a fare il loro dovere. Il progetto fallì per il veto che Romiti, a nome dell'avvocato Agnelli, pose sul nome della Bellisario, nota per la sua competenza anche in campo internazionale. D'intesa con il governo si considerò inaccettabile il veto della Fiat e la rottura fu inevitabile». Niente pres¬ sioni, quindi? «Soltanto la difesa dell'interesse e della dignità della parte pubblica». Goria, più che smentire, sembra chiamarsi fuori: «Romiti deve chiarire tre cose. Quando mi pose il problema. In che modo si è formato l'idea per cui Granelli mi avrebbe posto il problema. Quale iniziativa, nelle condizioni date e con le informazioni disponibili avrei dovuto intraprendere. Altrimenti prego fin d'ora di prendere atto che quste dichiarazioni gravemente diffamatorie sono volgari e gratuiti travisamenti della verità». Nel pomeriggio, letti i comunicati dei politici, Cesare Romiti ha ribadito quanto dichiarato ai magistrati il 21 aprile: «Confermo che nella mia testimonianza ai magistrati ho ricordato esclusivamente il clima di meraviglia che avevo constatato nell'onorevole Craxi e nell'onorevole De Mita, incontrati separatamente, alla mia affermazione (in risposta ad una loro domanda) che non vi erano stati accordi economici con i partiti e con singoli uomini politici in relazione all'operazione Teksid. Il discorso finì lì. Aggiungo che nessuno dei miei due interlocutori ebbe in seguito occasione di parlarmi nuovamente di questo argomento». Mentre le agenzie di stampa rilanciavano il batti e ribatti tra il vertice di corso Marconi e gli esponenti democristiani citati dalle «carte Romiti», un'altra afferma¬ zione contenuta in quei verbali faceva il giro del mondo. Si parla dell'acquisto dell'Alfa Romeo. «Romano Prodi mi riferì di essere stato contattato dall'ambasciatore americano Rabb, che gli disse che gli Stati Uniti non avrebbero mai accettato che ad acquisire l'Alfa Romeo fosse stata la Fiat e non la Ford». La casa americana si trincera dietro a un «no comment», ma la reazione del diplomatico è durissima. «Cado letteralmente dalle nuvole - dice Maxwell Rabb, rientrato a Washington -. Non ho mai parlato con Prodi della vendita. Non c'era nessuna ragione perché io facessi pressioni di questo tipo. Sono molto sorpreso delle dichiarazioni di Romiti: i dirigenti Ford impegnati nelle trattative tennero la faccenda per sé e non informarono mai l'ambasciata. Né tantomeno chiesero il mio aiuto». Ma dalla sede di via Veneto, intanto, è già partita una versione diversa. «E' vero che l'ambasciata americana parlò con i dirigenti dell'Ili - è la posizione ufficiale della rappresentanza diplomatica - l'ambasciata non esercitò però alcuna pressione in favore della Ford. Si interessò alla vicenda solo per chiedere che la proposta americana fosse esaminata con imparzialità». Da notare che la nota ufficiale parla di «ambasciata e dirigenti Iri». I nomi di Raab, che dall'America ha smentito tutto, e quello di Prodi non compaiono mai. Guido Tiberga

Luoghi citati: America, Roma, Stati Uniti, Washington