FELLINI L'INCANTATORE

FELLI NI, L'INCANTATORE FELLI NI, L'INCANTATORE Al Massimo Due dal 21 maggio ifilm del maestro romagnolo Il cinema. Non avrei mai potuto sperare tanto: faccio quello che voglio, ho un lavoro che è un gioco, continuo a fare burattini come quando avevo otto anni e mi diverto sempre. Gli inizi. Del mio arrivo a Roma il cinema c'entrava in qualche modo: avevo visto tanti film americani in cui i giornalisti erano dei personaggi affascinanti... Non ricordo più i titoli, sono passati 25 anni,- certo è che rimasi talmente impressionato da come vivevano quei giornalisti che decisi di diventare giornalista anch'io. Mi piacevano i loro soprabiti, e il modo come portavano il cappello, buttato all'indietro. Le donne. Da scolaro non sapevo fare le parallele, e il professore di ginnastica mi prendeva in giro, e questo mi aveva creato un complesso verso le donne, di cui mi sono poi abbondantemente riscattato. Guardavo quei monumenti ai caduti che ci sono sulle piazze: nudi, col cappello da bersagliere in testa, un'ala spezzata, e sconfortato mi dicevo: «Io non ci riuscirò mai». L'invenzione. Mi sono inventato tutto: un'infanzia, una personalità, delle nostalgie, dei sogni, dei ricordi, per poterli raccontare. Amo molto il movimento intorno a me. E' senza dubbio la ragione principale per cui faccio dei film. Il cinema è per me pretesto per mettere le cose in movimento. Il circo. Il cinema somiglia moltissimo al circo. E' probabile che se il cinema non fosse esistito, io non avrei incontrato Rossellini e se il circo fosse ancora un genere di spettacolo d'una certa attualità, mi sarebbe piaciuto molto essere il direttore di un grande circo, poiché il circo è esattamente un miscuglio di tecnica, di precisione e d'improvvisazione. Proprio mentre si svolge lo spettacolo già provato e riprovato, si rischia veramente qualcosa; cioè a dire che, nello stesso tempo, si vive. Le bugie. Riconosco: sono incapace di riferire obiettivamente. Non è un vizio, ma una vocazione: come si fa a pretendere da uno che fa il narratore, che racconta fatti, che li inventa, di diventare d'improvviso un altro? Il neorealismo. Sono stato uno dei primi a scrivere soggetti per film neorealistici e credo che tutta la mia opera sia di tipo decisamente neorealista, anche se oggi in Italia alcuni non la pensano così. Ma questa è una storia lunga. Per me, il neorealismo è un modo di vedere senza pregiudizi, liberandosi completamente dalle convenzioni: insomma, mettersi davanti alla realtà senza idee preconcette. La verità. Il cinema-verità? Sono piuttosto per il cinema-menzogna. La menzogna è sempre più interessante della verità. La menzogna è l'anima dello spettacolo e io amo lo spettacolo. La fiction può andare nel senso di una verità più acuta della realtà quotidiana e apparente. Non è necessario che le cose che si mostrano siano autentiche. In generale è meglio non lo siano. Ciò che deve essere autentico è l'emozione che si prova nel vedere e nell'esprimere. Il punto di partenza. Il punto di partenza per un film è di solito qualcosa che capita a me e che mi pare possa avere un certo rapporto con le esperienze altrui. PER Bunuel, che aveva appena visto 8 e mezzo, «Fellini è il più grande regista del mondo». Pasolini invece, assai più critico, lo definisce semplicemente «il grande mistificatore». Diviso fra l'amore per certi suoi film («La dolce vita», «Amarcord») e l'odio per altri («Satyricon», «Casanova»), Glauber Rocha non esita ad accostarlo ai nomi più significativi della pur breve storia della settima arte: «Dal punto di vista filmico, unisce la fantasia individuale alle finalità estetiche del cinema di Griffith, Ejzenstein, John Ford, Visconti». Si potrebbe continuare quasi all'infinito, raccogliendo in un catalogo dongiovannesco l'elenco delle conquiste e delle seduzioni che il cinema di Fellini ha esercitato e continua a esercitare sugli spettatori di tutto il mondo. Anche i detrattori, infatti, non negano di subirne il fascino. E proprio di questo, in fondo, si tratta. «E' un incantatore», dichiara lina Wertmuller che gli fu assistente per la regia in «Otto e mezzo» e, dunque, lo conosce bene. Un mago, un illusionista, uno dei pochi, grandi creatori di sogni ad occhi aperti che usa del cinema come mezzo spettacolare nel profondo senso del termine, cioè come un mezzo per sbalordire. Insomma, «un Méliès dei nostri giorni», secondo l'efficace definizione di Goffredo Fofi che amichevolmente gli rimprovera di approfittarne all'eccesso, incontinentemente, golosamente, esibizionisticamente. Il quinto Oscar alla carriera facendolo approdare alle pagine del Guinness dei primati, lo ha proiettato direttamente nella sfera del mito, se mai avesse avuto bisogno di un'ulteriore conferma della sua popolarità. Inevitabile che qualcuno (in questo caso Aiace, ministero del Turismo e dello Spettacolo, Cinecittà International) decidesse di riproporre l'integrale della sua opera in una rassegna itinerante che toccherà anche Torino. Se ci fosse qualche spettatore che ancora non conosce il cinema di Fellini, o desideroso di rivedere tutti i suoi film, non si lasci sfuggire dunque l'occasione. Appuntamento al Massimo Due dal 21 maggio al 9 giugno. La preparazione. Al momento della preparazione di un film, scrivo molto poco. Preferisco disegnare, i personaggi, gli ambienti. Ho preso quest'abitudine quando lavoravo per gli spettacoli di varietà in provincia. Anche per spiegarmi con i miei collaboratori, preferisco mostrare loro i miei disegni piuttosto che dilungarmi in discorsi. Quando questo studio preparatorio è finito, raccolgo tutto questo materiale disordinato: disegni, appunti di lavoro, dialoghi, foto, ritagli di giornale ecc., e prendo in affitto un ufficio, sempre in un luogo diverso e che non conosco. E poi passo ai giornali un piccolo annuncio: «Federico Fellini è pronto ad incontrare tutti quelli che vogliono vederlo». Ifilm di Fellini, Oscar alla carriera, sono in cartellone dal21 maggio al 9 giugno. Claudia Cardinale. Di fronte agli attori Fellini è in perenne adorazione, è sempre innamorato di loro. Ti fa credere che sei al centro d'ogni suo pensiero, la cosa più cara e importante che egli possa avere, l'unica. La sua abilità è di usare questa tecnica o questo atteggiamento con tutti, e quindi non si riesce mai a capire quanto in effetti egli sia sincero. Goffredo Fofi. Fellini ha fatto spettacolo di sé e della propria nevrosi coi mezzi del cinema, che è spettacolo, e con la coscienza, io credo, della propria umana, non artistica, mediocrità. In questo egli svela e amalgama una cultura che, diciamolo il più candidamente possibile, non è «amabile», fatta com'è delle caratteristiche «viziose» dell'uomo italico centromeridionale, cattolico e maschilista, «apolitico» e mammarolo, incapace di sollevarsi al disopra dei condizionamenti della sua classe e del suo tempo, e invece capace di sguazzarci dentro abilmente, ma pagandola in nevrosi. Tonino Guerra. Pasolini chiamava Fellini «il grande mistificatore», che per allora poteva sembrare negativo e oggi non appare più tale, ma io lo definirei «il grande ermafrodito», un uomodonna che ti affascina proprio perché mette in gioco una seduzione che è di entrambi i tipi, alternata o compresente. Direi che a Fellini interessano molto di più i personaggi maschili, credo che con le donna abbia rapporti di estrema difficoltà, non sessuale, ma nevrotici certo. Il suo modo di vedere il sesso resta molto infantile, molto provinciale, poco intellettuale, non è certo quello di un Bergman o di un Bunuel. Il suo personaggio preferito, la sua identificazione, è sempre rimasto Mastroianni. Di Fellini potrei dare anche un'altra definizione: è un santo di paese, che però può fare dei miracoli piccoli, non dei grandi miracoli. Marcello Mastroianni. Fellini mi somiglia molto e io gli voglio bene per questo, perché ha i miei stessi difetti, compresa la facilità di dire bugie, che è una manifestazione di fragilità, si promette perché non si ha il coraggio di dire no, di disilludere gli altri sulle immagini che hanno di te. Luchino Visconti In verità, Fellini soffre di essere un piccolo provinciale. I suoi film sono come i sogni di un ragazzo di campagna che s'immagina come dev'essere la grande città. Il suo più grande pericolo: essere un regista veramente grande con molto poco da dire. Orson Welles. I suoi film sono il sogno di una grande città fatto da un ragazzo di paese, fi carattere sofisticato del suo cinema funziona perché è la creazione di qualcuno che sofisticato non è. Ma mostra segni pericolosi di essere un artista superlativo con poco da dire. Lina Wertmuller. Attraverso le donne e la sua storia e se stesso Federico ci ha regalato le tracce e i graffiti più significativi della nostra storia degli ultimi vent'anni. Dichiara di non occuparsi di politica, di non interessarsi a tematiche fisse o a tracciati ideologici, ed è in fondo il più politico e sociologico, penso, dei nostri autori. O forse no. Forse solo un bambino a cui è riuscito di fare il mago e l'illusionista, e lo fa con mezzi mirabolanti costruendo sogni per altri bambini grandi, Alberto Barbera Gli attori. Non commetto mai l'errore di adattare l'attore al personaggio, ma faccio sempre l'opposto, cerco di adattare il personaggio all'attore. Né richiedo mai all'attore uno sforzo interpretativo particolare, non mi fisso in una battuta che dovrebbe essere detta in quel modo. Il montaggio. Montare è ima delle fasi più emozionanti della lavorazione. E' davvero eccitante vedere il film che comincia a respirare, è come assistere alla crescita del proprio figlio. Il ritmo non è ancora perfetto, la sequenza non è ancora a punto. Ma non torno mai a girare. Credo che un bel film debba avere dei difetti. Devono esserci degli errori, come nella vita e come nella gente.

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