SCACCO AL LAGER di Bruno Quaranta

SCACCO AL LAGER SCACCO AL LAGER «La variante di Liineburg», esordio diMaurensig Due giocatori e un boia: storia di una vendetta £>J FELETTO UMBERTO M ■ I si può smarrire in M 1 questa landa poco olfl | tre Udine, cosparsa di villette e di siepi, verdi echi delle figure I re," regine, alfieri, pe■ I doni - intagliate nei V J bossi e nei tassi di una romanzesca dimora viennese. Con un'attrazione su tutte: «Il labirinto geometrico tracciato in mezzo a pareti concentriche di tuia alte tre metri che sboccava in uno spazio a forma di scacchiera». L'«architetto» della settecentesca villa austriaca è Paolo Maurensig, cinquant'anni, un signore alchemico, ovattato, all'erta, abitato - pare - da furie remote, evolutesi fino a dettare La variante di Liineburg (Adelphi, pp. 158, L. 20.000). Nato a Gorizia, studi classici, università mai varcata («D'improvviso mi ritrovai a onorare le responsabilità di capofamiglia»), soste un po' ovunque, tra Milano e Genova, prima di tornare in terra friulana. Un girovagare imposto dal lavoro: agente di commercio. Intuisce e frena: «Nessuna affinità elettiva con Italo Svevo. Stesso habitat, mestieri imparentati, certo, ma non lo considero un modello». Gli italiani bussano invano alla sua biblioteca, dove signoreggiano «Faulkner e, più ancora, Nabokov. Ecco: Nabokov, l'incontro ATORINO convincerla a lasciare il piccolo appartamento a Tolbiac, nella banlieue Sud di Parigi, è stato l'invito del Salone di libro. L'ha raggiunta mentre stava finendo di rivedere il terzo volume di un affresco a carattere storico-autobiografico cominciato con L'amour, la fantasia e proseguito con Ombre Sultane. «A Torino non potevo mancare - dice Assia Djebar, che da mesi evita convegni e conferenze -. E' la città di Pavese, uno degli scrittori che amo di più». Unica donna tra i relatori del Convegno Letterature del Mediterraneo: un antico futuro, organizzato dal Premio GrinzaneCavour, la scrittrice algerina da più di dieci anni emigrata a Parigi accetta di ripercorrere trent'anni di vita letteraria. Una decina di volumi tra romanzi, raccolte di racconti e di versi, testi autobiografici e sceneggiature di documentari e film, tra cui La Nouba des femmes du mont Chenoua premiato nel 1979 a Venezia. Una testimonianza segnata dalla difficoltà di dire «io» in un Paese dove la donna, per tradizione, è abituata al silenzio. Un altro problema: il rapporto con la lingua. Scrivere in francese le ha permesso di esprimere meglio la propria soggettività. D'altronde - ha detto - «col mio lavoro cerco di tradurre le voci delle mie connazionali mute e senza possibilità di scrittura». E soprattutto a loro è dedicato Lontano da Medina, appena pubblicato da Giunti, dove sono usciti, qualche anno fa, i racconti Donne d'Algeri nei loro appartamenti. In questa cronaca di vita quotidiana ambientata all'indomani della morte di Maometto e ricostruita sul filo dei documenti, ha voluto dimostrare che in origine le donne arabe erano en mouvement, ovvero parlavano in pubblico, agivano e non erano escluse dalla politica. Del valore di questo testo - una denuncia dell'integralismo che attraverso un'interpretazione deformante del Corano e della Sunna impedisce l'emancipazione della donna - abbiamo parlato con Assia Djebar quando il libro uscì in Francia [Tuttolibri, marzo '91). Allora era appena scoppiata la guerra del Golfo, e la scrittrice non volle parlare troppo dell'Algeria. Si limitò a dire che «la soli¬ che ha rivoluzionato la mia vita di lettore, paragonabile all'avvento del colore nel cinema». Inevitabile, quindi, l'approdo di Maurensig all'Adelphi, così avara di scrittori indigeni: «Nella milanese via San Giovanni sul Muro sono giunto per posta. Ho atteso a lungo il verdetto. Un giorno mi telefonò Pontiggia: parere favorevole. Seguì la chiamata di Calasso: complimenti, pubblichiamo». La variante di Lùneburg, titolo d'esordio che oscilla fra il gioco degli scacchi (la variante) e l'orrore del Lager (la landa di Lùneburg dov'era il campo di Bergen Belsen, scenario di sfide estreme, come posta i prigionièri), è la settantesima «Fabula» Adelphi. Un numero cabalisticamente magico, «rischiarato» dalla fortuna: sette braccia innalzano i menorah, i candelabri ebraici. Storia di «un'esecuzione capitale differita nel tempo e nello spazio», La variante di Lùneburg non è un giallo. O, meglio, lo è alla maniera consacrata da Dùrrenmatt (nelle pagine di Maurensig riecheggia II giudice e il suo boia): come biopsia della condizione umana. I personaggi (isolati da un fato inesorabile, radicalmente mitteleuropeo): Tabori, maestro di scacchi («Quello che ha giocato all'inferno»); Hans Mayer, il discepolo; Dieter Frisch, il ric¬ guardo irraggiungibile, «la perfezione sempre a un gradino dalla perfezione». O la «persuasione», nel linguaggio di Carlo Michelstaedter, rintellettuale che di fronte all'inconciliabilità di vita e valore si suicidò (una tragedia - questo conflitto - «esaltata» da Ibsen, con le scene di Munch, fra gli artisti dominanti nella pinacoteca di Tabori). «Forse è così» arrocca lo scrittore friulano, come Michelstaedter goriziano, ma non ebreo. «Se il genocidio impronta la Variante - spiega - la ragione non va cercata nella mia carta d'identità. Affonda, viceversa, in una curiosità. Gli ebrei erano in maggioranza fra i giocatori di scacchi. Molti di loro non tornarono dai Lager. Ma chi sopravvisse quale sorte conobbe? Ho perciò costruito una risposta narrativa intorno a Tabori». Nel vassoio-scacchiera i pasticcini attendono che Paolo Maurensig scelga, emulando «il sacrifìcio di cavallo» imposto dalla variante di Lùneburg. Fuori, la pioggia è ostinata come il giorno dell'iniziazione di Hans Mayer. E gli alberi e i cespugli premono sui vetri come la «fosca pineta» sul treno lanciato verso Vienna, verso l'impeccabile, metafìsico colpo di pistola. co imprenditore antagonista di Tabori; due città, Monaco e Vienna, «splendida e ostile»; il treno - «ha le sembianze di una cometa nella notte» - su cui viene pronunciata la sentenza. Il colpo di pistola che abbatte Frisch «apre» il viaggio à rebours nel nostro secolo «beffato, ripudiato senza remissione» da ogni dio, una voragine colmata da torme di aguzzini. Accanto al cadavere una scacchiera cenciosa, l'ordigno fatto brillare dalla «variante di Lùneburg». «L'esatta chiave di lettura del romanzo? Qualcuno suggerirà il sentiero psicoanalitico. Ma io - avverte Paolo Maurensig - preferisco accentare il tema dell'iniziazione, il rapporto maestro-discepolo, di foggia zen, orientaleggiante, esoterica. Non a caso Hans comincia il tirocinio scacchistico dopo la visita all'obitorio. Il rituale pagano è netto: l'allievo, avanti di entrare nel mondo magico, deve essere iniziato alla morte, deve morire lui stesso simbolicamente». La morte, ovvero la «cifra», la religione, il destino della Variante. La metallica scacchiera di Tabori «sembrava quasi un patibolo per un condannato costretto a giocare "finché morte non sopravvenga"». «Gli scacchi sono lo sport più violento che esista, parola di Kasparov» rammenta il giocatore Mau- to" di Tabori). Dovette infine capitolare, rientrare nell'agone, raccogliere il guanto dell'antico, ultimo avversario». Letali, gli scacchi, perché costringono a inseguire un tra¬ rensig. Esemplifica: «Fischer, battuto Spassky, si eclissò. Per vent'anni fu ostaggio dell'invincibilità, un mito corrosivo, doloroso (la parola dolore è incisa tre volte sullo "strumen- Bruno Quaranta