Era troppo taccagno per emulare Tiziano

Si riscopre Damini, artista della Controfirma Si riscopre Damini, artista della Controfirma Era troppo taccagno per emulare Tiziano E PADOVA I convinceva un suo esegeta: «Avria eguagliato il Tiziano, se fosse morto men giovane». Ma è difficile dargli credito: certo - trascinato via dalla peste del 1631, «sul fiore de' suoi 36, che invero diventava de' primi d'Italia», secondo un altro laudatore coevo Pietro Damini di Castelfranco Veneto, la città di Giorgione, forse avrebbe potuto dare risultati migliori, ma non trasformarsi in artista di primo piano. A convincercene è proprio la sua natura vicaria, eclettica, temperamento influenzabile, più da emulatore che da innovatore. Così anche il suo carattere non era dei più solidi: pur avendo tentato, ricorda l'amico Girolamo Gualdo, «ogni sforzo che si allontanasse da Padova nel periglioso anno del contagio, valse più un piccolo interesse di guadagno che l'esporre a quasi certa sicurezza della sorte la sua vita». Qualcosa di «piccolo», di taccagno, di stentato rimane pur sempre in questo parziale maestro, che pure voleva emulare Veronese nella monumentante solenne delle sue architettate pale: un pittore inesorabilmente minore, che pure è molto interessante studiare. Per questo siamo grati alla retrospettiva del Palazzo della Ragione di Padova: proprio per quello che ci rivela della cultura veneto-padovana, in quel frangente di rigida dedizione ai dettati iconografici del Concilio di Trento. Allievo di quel Giovan Battista Novello che filtra nelle giovani tavole di Pietro Damini una cultura tardo-manierista che gli proviene da Palma il Giovane (meglio, quel colorito vizzo e perlaceo, che pure riverbera da certe influenze della bottega di Leandro Bassano), il nostro pittore, che suscitò gli interessi precoci di Adolfo Venturi, è stato a lungo considerato un autodidatta, forse anche per il suo statuto di fresco orfano di padre. Invece si sa da Carlo RidoUi che «con le norme della Natura imparò a disegnare delle carte a stampa e da Padre Bovio da Feltra Domenicano Metafisico apprese i principi delle Matematiche». D'un canto le stampe nordiche, il Campagnola e i fiamminghi, che firmano come stimmate indelebili i suoi paesaggi (e sono la vera cultura cosmopolita di quegli anni appestati e difficili), dall'altra la «simmetria del Durerò», ovvero la proporzione dei corpi di Dùrer, la dottrina aristotelica e gli interessi astronomici. Curiosa tensione, ((frutto dello studio ch'egli mise nelle vecchie stampe per trarsi fuori dalla schiera de' Manieristi». Ed è vero che, forse per esigenze di committenza (le ricche chiese del Padovano, così ligie ai dettami dei vescovi Corner, che consideravano la immagine come utile e pedagogica «Bibbia degli illetterati»), forse per disposizione naturale, Damini presto inizia a semplificare, a sciogliere certi nodi in un andamento narrativo più quieto, casalingo, ad addolcire le tensioni compresse dei manieri¬ sti in una teatralità soffusa, che si awierà più tardi verso i celesti sentieri e sinuosi del Barocco. Un periodo ((vicentino», che rivela sorprendenti tangenze con il Maganza, poi l'influenza delle iconografie (più che delle cromie) tizianesche, magari filtrate attraverso il coevo Padovanino; un indubbio transitare attraverso il paesaggismo emiliano intriso di classicità e di influenze carraccesche, probabilmente anche la consapevolezza che con il Saraceni, a Venezia, sia nata una diversa sensibilità del colore e della luce, che porta verso Caravaggio. Insomma, un'inquietudine arcaicizzante neocinquecentesca, che passa soprattutto attraverso Veronese (mentre il Padovanino sceglie Tiziano), «veronesismo che resta una sorta di sottofondo, di basso continuo», come scrive Pier Luigi Fantelli nel documentato catalogo Electa (e a Damini tocca del resto il reinventare un'Ascensione del Calia- ri, che maldestri ladri hanno smembrato a metà). Che impressione rimane, dunque, di questo singolare pittorescoliasta, che compie una specie di riassuntiva «storia dell'arte» con i colori anziché con la penna? L'impressione è che, al di là dei ferrei precetti della Controriforma (che pretende di «dilettare, insegnare et muovere») Damini non trovasse di concerto una mano altrettanto brillante. Come dimostrano alcune curiosissime iconografie, quale il «capo mozzo d'una donna di malaffare» che recita una teatrale predica agli astanti, o il Miracolo del cuore d'un avaro, con il violaceo muscolo che si fa sorprendere come una pagnottella rinsecchita nella cassaforte del morto, o La Madonna lìbera le anime del demonio, una specie di cuoca che insegue col battipanni della santità un terrorizzato garzone. Marco Vali ora L'Ascensione Pietro Damini L'Ascensione Pietro Damini

Luoghi citati: Caravaggio, Castelfranco Veneto, Italia, Padova, Trento, Venezia