MAIGRET contro SIMENON

SOCIETf^ULTURA SPPFfìCOII Lo scrittore mentì sulla nascita del suo personaggio: uno studioso svela la vera storia del commissario MAIGRET SIMENON PPARIGI RIMA o poi c'era da aspettarselo: qualcuno che mettesse a nudo il . commissario Maigret. Più ancora che lo trafiggesse ai raggi X. L'ha fatto Francis Lacassin nella sua biografia molto speciale del commissario: La vraie naissance de Maigret (Ed. du Rocher). Impudica e sfacciata, soprattutto perché assolutamente, cartesianamente oggettiva. Costruita per di più come se fosse un'indagine poliziesca, partendo dalla fine per risalire il più possibile all'indietro e ricostruire pezzo a pezzo una verità occultata. Reo non confesso: Georges Simenon. Quando decise di abbandonare il commissario Maigret, nel 1972, Simenon gli rivolse un addio ufficiale «un po' commosso». Dopo quarant'anni di assidua collaborazione sentiva qualche rimorso, «come di chi lasciasse un amico senza stringergli la mano». E nei diciotto anni che ancora gli restavano da vivere, tornò poche volte, malvolentieri, sulle cause di quella repentina e definitiva separazione. Continuava • invece a ricordare con piacere le circostanze del primo incontro: Maigret si era presentato a lui senza preavviso a fine estate del 1929, nel porto olandese di Delfzjil dove egli era costretto ad uno scalo prolungato per il calafataggio della sua barca, l'«Ostrogoth». Era un luminoso, limpido mattino di settembre, Simenon aveva bevuto di fila tre bicchierini di ginepro che l'avevano un po' stordito, quando cominciò a «vedersi disegnare la sagoma possente e impassibile di un signore». Pipa, cappello e impermeabile, scrisse Simenon molti anni dopo in un testo intitolato La naissance de Maigret: «Mi parve che sarebbe stato un buon commissario». Versione aureolata di leggenda, ben s'intonava alla figura dello scrittore-fenomeno capace di scrivere un intero romanzo in pochi giorni grazie allo stato di trance poliziesca cui andava ogni volta soggetto. Il commissario che nasce come un'apparizione, immediatamente riuscito e completo, una specie di prodigio. Simenon amava, benché negasse, questa immagine di sé eccezionale, fuori dalla norma. Se no non avrebbe tanto insistito sulle diecimila e più donne possedute. Tutti del resto ci siamo stupiti, ma gli abbiamo creduto. Il più illustre dei suoi estimatori, André Gide, si estasiava all'idea di tanto grandi prodezze - letterarie e non - e diceva di lui «il mistero Simenon». Francis Lacassin invece insorge contro la leggenda. Esperto di letteratura poliziesca, maigrettista dei più avvertiti ed anche amico (in vita) di Simenon, Lacassin non vuole però essere suo complice. Aprite gli occhi, ci dice. Simenon oltre che abilissimo scrittore è il più astuto degli affabulatori. E ci svela una volta per tutte come realmente andarono le cose fra il commissario e il suo creatore. La vraie naissance de Maigret è sì una biografia, ma molto sui generis. Non la solita storia costruita a partire dai romanzi, dai dati che Simenon spargeva qua e là onde illuderci dell'effettiva esistenza del personaggio: genitori, infanzia e adolescenza, studi, gusti, abitudini, con tanto di m dirizzo di casa e numero telefonico. La vera storia del commissario Maigret di Gilles Henry aveva dato il massimo in questo senso. Nulla più s'ignorava del commissario. Di quello ufficiale però, autorizzato, di cui il libro forniva senza vergogna una «fiche segnaletica» dettagliatissima. A Simenon piaceva che ci fosse chi contribuiva ad alimentare la leggenda, era tutta acqua al suo mulino. Meno gli sarebbe piaciuta la biografia di Lacassin, con tutto il rispetto che aveva per lo studioso. I diciotto commissari venuti male prima di quello buono, che Lacassin ci rivela, erano infatti il suo cadavere nell'armadio. Li aveva cancellati, rinnegati, come i 180 romanzi scritti con molteplici pseudonimi prima di diventare il mitico Simenon. Sotto-letteratura di cui vergognarsi. «Una gestazione lunghissima» scrive Lacassin. Altro che ispirazione folgorante e subito perfetta. Simenon dovette tentare e ritentare prima del Maigret soddisfacente, passando per commissari anche molto difformi rispetto a quello definitivo. Altro che riuscita immediata. Biondo, snello e seduttore uno; giovane, impacciato e compromesso un altro... Un lentissimo avvicinamento al Maigret che conosciamo, realizzato inoltre più in negativo che in positivo. Più per differenziazione progressiva da modelli già noti - Arsenio Lupin o Hercule Poirot ad esempio che per creazione autonoma. I primi esperimenti, tutti compiuti all'epoca dei romanzi popolari- scritti come Sim, contribuirono in realtà assai poco al risultato finale. Sono quelli che Lacassin chiama i «candidati re- spinti»: un certo Jackson ispettore newyorkese troppo anglosassone; un Georges Aubier troppo sdolcinato; un Serge Polovzef russo boemo troppo dilettante. Perfino una donna, AnneMarie Givonne, investigatrice per amore. Di questa fase solo Gerard Moniquet, agente della Sùreté, forni qualcosa di vagamente utilizzabile: il «presentimento», primo pallidissimo abbozzo di quella che sarebbe diventata l'intuizione di Maigret, ma ancora privo della ricostruzione psicologica preliminare che di quella sarà indispensabile punto di partenza. Già meno effimero Yves Jarry, che resistette a varie prove. Ma che servì a Maigret solo «per inversione». Gentleman elegantone, rappresentò l'alternativa più tentatrice al tipo destinato a vincere. Respinto perché troppo simile a Lupin. Ci fu poi l'ispettore Jean Tavernier, che già sentiva la necessità di «immergersi nell'atmosfera»: un po' come farà Maigret, «annusava i luoghi». Il poliziotto dilettante Jackie, che per primo cercò di ricostruire il pensiero del criminale; e il brigadiere Deffoux, che si dimostrò capace di compassione. Alcuni tratti cominciavano a quadrare, ecco che comparve il nome. Attribuito però a un poliziotto marsigliese, ancora senza volto. E' il 1929, il romanzo s'intitola Le train de nuit. «Uomo calmo dalla parlata rude e le maniere spesso brutali». Umano però e pieno di comprensione per la gente umile. Già a suo modo .«accomodatore di destini» come il Maigret definitivo, ma ancora eccessivamente disinvolto quanto al rispetto di gerarchie, legge, magistratura. Fin dalla seconda apparizione con il suo nome - ne Lajeunefille auxperles - Maigret è a Parigi, commissario della Polizia Giudiziaria. Comincia ora ad essere riconoscibile fisicamente: «Personaggio immenso e largo, dal collo potente», «dita grasse», emana da lui «tranquilla possanza». E, soprattutto, fuma la pipa che ricarica piazzandosi in silenzio davanti alla finestra. Ne La femme rousse si definisce l'età, poco meno di cinquant'anni, e la sua stazza si fa «schiacciante». Ma nulla è detto dei metodi d'indagine che faranno la fama del nostro Maigret. La maison de l'inquiétude presenta poi il «quarto prototipo», così lo definisce Lacassin. Benché l'autore si firmi ancora Sim e il romanzo faccia parte di quelli popolari rinnegati, qui il passo avanti è determinante. Per la prima volta la vicenda è narrata attraverso l'occhio del commissario. Compaiono inoltre l'ufficio del Quai des Orfèvres, l'abitazione privata in boulevard Richard Lenoir e - fatto tutt'altro che secondario - madame Maigret. In quanto al carattere, già si fa conoscere come «il contrario del poliziotto repressivo». Per il momento scorda di togliersi il cappello davanti alle signore, ma imparerà presto. E' infatti a questo punto che cronologicamente si colloca Pietro il Lettone. Diciannovesimo ispettore, quinto Maigret, il protagonista è quello che Simenon contrabbandò come invenzione emersa dal nulla e materializzatasi davanti ai suoi occhi quel famoso mattino di settembre a Delfzjil. E le sorprese non finiscono qui. Firmato il contratto con l'editore Fayard nel febbraio del '31, Simenon volle lanciare il commissario in grande stile con un mirabolante «Ballo antropometrico». Invitò tutto il bel mondo costringendo eleganti signori e signore a farsi prendere le impronte digitali all'ingresso. Fin qui è storia nota. Ben pochi sanno invece che nell'agosto dello stesso anno Simenon organizzò analoga festa a bordo del suo «Ostrogoth» per lanciare Sancette, «antitesi vivente» di Maigret, protagonista di una serie antesignana del fotoromanzo poliziesco. Ancora ima scappatoia, nel caso il commissario con la pipa dovesse non piacere? Altro che sicuro di sé fin dall'inizio, commenta Lacassin. La storia dice che a vincere fu Maigret. E non vinse solo su Sancette. Finalmente autonomo dal suo creatore, si vendicò di tante esitazioni ingabbiandolo definitivamente. La massima aspirazione di Simenon, da un certo punto in poi, divenne quella di affrancarsi dal genere poliziesco per essere riconosciuto scrittore di romanzi «veri». A questo scopo, aveva mandato in pensione Maigret, aveva cercato di dimenticarlo. Niente da fare: lui gli si impose - il pensionamento fu mutato in malattia e così spiegato il periodo di assenza - e lo legò a sé per sempre. Lacassin è tronfiamente soddisfatto, a fine libro. Si sente un po' anche lui raddrizzatore di torti. Ma in fondo non è che, lui stesso, vittima dell'eterna competizione tra mito e storia: a chi piace la vaghezza dell'uno dispiace l'esattezza dell'altra. Simenon, che aveva visto e rivisto decine di volte Liberty Valance di John Ford tanto il film lo avvinceva, ne citava spesso una battuta: «Se bisogna scegliere tra la verità e la leggenda, scegliamo la leggenda!». Gabriella Bosco Crolla la leggenda dell'incontro in un porto con l'uomo che lo ispirò: «Il romanziere andò per tentativi, inventò prima altri 18 investigatori» Iprecedenti: dal gentleman al buono, dal dilettante allo sdolcinato Lo scrittore Andril più illustre estimdi Georges SimenQui sotto: Jean Gun'altra mascheraper il personaggio del commissario ontro spirò: tativi, atori» norava del o ufficiale ui il libro a una «fiagliatissiva che ci d alimenutta acqua iaciuta la on tutto il lo studioari venuti buono, che o infatti il madio. Li gati, come on molteIpredal al bdal alloGino Cil Maigdella te Lo scrittore André Gide, il più illustre estimatore di Georges Simenon (a sinistra). Qui sotto: Jean Gabin, un'altra maschera perfetta per il personaggio del commissario Maigret. Gino Cervi: fu per anni il Maigret della televisione

Luoghi citati: Parigi