« Noi non siamo eroi da film »

I ! Palermo, una giornata tra i 400 uomini che proteggono i magistrati LA VITA LA VITA DEGLI ANGELI CUSTODI I ! Palermo, una giornata tra i 400 uomini che proteggono i magistrati « Noi non siamo eroi da film » Le scorte: con la mafia è un gioco a scacchi PALERMO DAL NOSTRO INVIATO «Ma quale film "La scorta". Ma non diciamo fesserie, io queste minchiate neanche voglio vederle: mi hanno raccontato cose da rabbrividire... Non si può fare commercio pure, sul nostro lavoro, sulla nostra figura... E che diamine». Sono ormai le due di notte e Gianni Nicolosi, classe 1963, stacca dall'attaccapanni dell'ingresso la sua berta, una Beretta cai. 9 lungo e se la infila nella fondina. Sua moglie è assonnata, ma affettuosissima e soccorrevole. E' lei l'eroina, le ho fatto notare poco prima mentre cenavamo insieme. I grandi eroi di questa guerra sono le donne di chi espone la propria vita, le donne che accettano il rischio di spendere tutta la loro esistenza nella missione dei loro mariti. E che li vedono uscire alle due di notte, all'alba, a Natale e a Ferragosto, infilare la pistola nella cintura e scendere le scale. Sperano sempre che alla fine del turno tornino a casa. Loro, le mogli delle scorte di Palermo restano in attesa, grattugiando la mela per la bambina di otto mesi, coccolando la piccola di quattro anni, provvedendo alla casa, alle minuscole eroiche cose della vita di ogni giorno. Loro, le mogli delle scorte di Palermo, restano in attesa e vedono alla televisione, o incontrano nella vita altre donne di altre scorte, altre ragazze fino a poco tempo prima altrettanto graziose, che avevano investito l'esistenza per stare accanto a chi poi è saltato in aria; non è più tornato, è diventato una videocassetta con vista nell'interno del Duomo. Di videocassette ne abbiamo vista insieme una ed è stata un'esperienza indimenticabile: si trattava della registrazione di «Un giorno in pretura» in cui si assiste al doppio confronto fra Totò Riina e Gaspare Mutolo e poi con Giuseppe Marchese. Quando ci saluteremo, proselirema -nello-scherzo .chiamanJÉHw' l'altro ' («sparino». Asparino è il nomignolo con cui Riina chiama Gaspare Mutolo, diminutivo di Gasparino: «Mi raccomando, Asparino, fai il bra-; vo ragazzo. Asparino, ascolta: torna ad essere quello che eri un giorno e ricordati di non dire bugiarderie e di non traggediari». Lui e sua moglie vivono per ora in un appartamento piuttosto piccolo, ma ne avranno presto uno più grande. Sono ancora ragazzi, ma la loro casa è fedele alla tradizione: camera da pranzo coq buffet e specchiera, ritratto del Papa all'ingresso, piccole decorazioni colorate, una camera da letto che dev'essere costata un sacco di soldi. La moglie, Maria Angela, ha un viso molto bello e occhi profondi, un'espressione severa perfettamente consapevole del suo ruolo casalingo e al tempo stesso istituzionale. Quando suo marito insiste un po' troppo nel sottolineare il suo modo di servire lo Stato, lei si ri sente irrigidendosi: è chiaro che non si sente da meno di lui. An che perché, spiega, quando s'in namorò di suo marito e accettò di sposarlo, sapeva benissimo che mestiere facesse e a quali rischi andasse incontro. Gianni è ormai un vecchio amico, conosciuto in sieme a tanti altri sudi colleghi proprio durante i giorni terribili delle stragi e dei funerali, dei tu multi in chiesa, quando i rappresentanti dello Stato furono stretti dalla folla nella cattedrale, spin tonati e stritolati, coperti di in sulti e chiamati buffoni, assassini e mafiosi. Dopo la morte di Bor sellino avevo passato con loro alcune nottate a discutere insieme, e poi con la gente delia strada, con le persone che piangevano, urlavano, si difendevano attra verso scherni e insulti. Questo giovane servitore dello Stato non vorrebbe che io scrivessi ciò che mi confida, ma ere do che sia utile per tutti forzare un po' la sua riservatezza anche perché in troppi si stanno facen do idee sbagliate, deformate i semplificate a proposito della guerra tra lo Stato e la mafia, fino a ridurne i protagonisti al rango di comparse per film e telefilm materiale cinematografico o elet tronico usa-e-getta, sia pure con il condimento di raffiche di mitra e bombe di produzione industriale. La categoria delle scorte ha di gerito malissimo, fino e oltre l'in cognazione, il film presentato a Cannes e nel quale dicono di non riconoscersi neanche per un po' ma di riconoscere invece fin troppo bene i fini commerciali di un'operazione che considerano parassitaria nei confronti della loro dura vita: un genere, come si dice, «che tira». Non si tratta di una reazione corporativa: «Noi non pensiamo affatto che la cosa più importante sia che si parli comunque e dovunque del nostro modo di vivere e di lavorare, di temere la morte o di affrontarla. E' un'idea sbagliata e profondamente ingiusta credere e far credere che questo sfruttamento cinematografico del nostro mestiere sia un contributo alla crescita della società civile: serve semmai soltanto per banalizzare, ridurre tutto a canoni di immagini da vendere al supermercato. Qua si vende un giudice mentre salta sul tritolo, là una scorta che si fa strada sparando. Il risultato è che la nostra vita, quella vera, fatta di silenzio a distensione,, di insonnia .e di prttdéhia'; 'vièiM spacciata-tome una linea di prodotti, un trend da sfruttare nel momento giusto». E' indignato Nicolosi e sono indignati anche i suoi colleghi con cui ho parlato e di cui non posso fare il nome: quasi tutti hanno visto il film e dicono di essere usciti dalla sala prima della fine. Vivono tutti un'esperienza tessuta di rabbia e frustrazione, fatica e delusione. In loro prevale sempre un senso del dovere calvinista. Non sono delle macchiette da telefilm, non girano sparacchiando con le mitragliette, fumano troppo, fanno ginnastica, si esercitano, aspettano. E - particolare ai miei occhi struggente - si affezionano agli scortati e vivono con il pensiero costante di proteggere ad ogni costo il magistrato ojljfiuizipnario. che dévttno scortare! "Gianhi Nicolosi mi ha raccontato di quanto fosse meticoloso fino a risultare irritante il povero Giovanni Falcone, quando pretendeva di metter bocca sulla velocità della macchina, persino il cambio delle marce, il modo di fare manovra: «Un giorno io esasperato bloccai la macchina, mi girai e gli dissi: dottore Falcone, qua bisogna che io e lei ci mettiamo d'accordo. Proporrei di fare così: lei fa il ma¬ gistrato e io faccio la scorta. Mi sembrerebbe uno sbaglio sotto tutti i punti di vista che lei si occupasse di come si fa la scorta e io di come si fa il magistrato». Falcone non gradìip^lto Jjpjattu-, tà. Pòi p"erò pian^iàmfo smise di essere ossessivo e lasciò che i poliziotti si regolassero alla loro maniera. D'altra parte Giovanni Falcone era un testardo, con tutti i benefici e i danni che derivano da un tale temperamento. Si può ragionevolmente dire che se non si fosse incaponito nel volere guidare lui stesso la macchina, e se avesse per di più indossato la cintura di sicurezza, forse si sarebbe salvato dalla tragedia di Capaci: circostanza questa che ha creato e crea tuttora seri problemi di riflessione per gli uomini che scommettono la propria vita nel. la.difesa della vita di.un altro-,. Chiedo al giovane Nicolosi come viva un agente di scorta a Palermo oggi, un anno dopo le due stragi di cui furono vittime Falcone e Borsellino. Ecco il suo racconto. «Adesso sto con un magistrato. Gli sono affezionatissimo e dico subito che faccio quello che ciascuno di noi fa: servizio permanente effettivo 24 ore su 24, nel sènso che anche quando dormo ho sempre lui in mente. E' impor¬ tante, sa? Fra chi scorta e chi è protetto scatta un rapporto, un'amicizia molto importante: noi poliziotti che facciamo questo mestiere riceviamo esattamente lo stesso trattamento economico di tutti gli altri. Non c'è né un'indennità di rischio, né di vestiario... Sa, un agente normale usa la divisa: noi invece usiamo le nostre giacche e i nostri pantaloni, camicie e cravatte, perché dobbiamo anche avere una figura degna della persona che accompagniamo, anche se non manca qualche lazzarone che se la cava con un paio di jeans e una maglietta. Però lo Stato non ci passa né cravatte né giacche. «La cosa più grave che succede oggi è che esistono scortati di serie A e scortati di serie B, il che è una fesseria, perché si suppone jihe se uno deve essere-scortato, lignifica fiiè éà'rischiò. E' u fattore rischio è uguale per tutti. Ma se il rischio è uguale, invece il numero delle auto blindate non è affatto uguale. Non corrisponde al numero delle scorte. Risultato: alcuni girano senza la macchina blindata. Ora, lei si metta nei panni della mafia: chi colpirebbe? Chi è più vulnerabile o chi lo è meno? Tragga da solo le conclusioni. Ho visto che anche il magistrato Roberto Scarpinato dice le stesse cose: ognuno di loro e ognuno di noi sa che la sua vita è affidata alla Madonna piuttosto che agli strumenti di lavoro. E la macchina blindata è uno strumento di lavoro, come per lei la macchina da scrivere. «Qua scorte ne fanno tutti i corpi di polizia, però gira gira alla fine siamo noi della polizia di Stato quelli che si prendono in carico quasi tutto il lavoro. Va bene. Però bisogna dirlo. Risognerebbe dirlo specialmente al prefetto Parisi, che noi consideriamo in assoluto il nostro capo e il nostro garante, il quale ci ha promesso che sarebbe tornato a visitarci, poi però non ha avuto più tempo. Secondo noi invece il capo della polizia farebbe bene a vedere come procede una riforma sacrosanta che tra l'altro ha cominciato proprio lui e bene. L'inizio è stato promettente ma siamo ancora a metà strada. «Intendiamoci: qua non esiste più il clima terribile dell'anno scorso. Molto è cambiato e in meglio. Siamo complessivamente in una forte fase d'attacco contro la mafia e questo si sente anche nel morale. Sa, il mio magistrato è uno che ogni volta che scende al bar per prendere il caffè dice: io alla mafia gli faccio un culo così. Adgsso mi- sembra che.^abbiamo magistrati più determmau che mai. Gente in gamba che non ha paura. E noi serviamo questo Stato con lo stesso identico spirito: io faccio questo mestiere perché ci credo, non davvero perché ne possa trarre dei vantaggi. Semmai, lo confesso, a noi fanno piacere certi riconoscimenti personali, formali, sapere che i nostri superiori si accorgono del nostro sacrificio e della qualità del nostro lavoro. Pensi che io, che non ho ancora trent'anni, sonò all'ufficio scorte dal 1986. Io le parlo anche a nome di tanti miei compagni, di ragazzi che lavorano duro come neanche in America. Noi siamo convinti di quello che facciamo. E siamo convinti di non essere soli. Anche molti fra voi giornalisti lavorate con altrettanta convinzione. E rischiate. Così i magistrati e i carabinieri. Così tutti gli uomini dello Stato e la gente della società civile. E' per questo motivo che ci indigniamo quando scopriamo film come quello che adesso va per la maggiore, destinato a grandi incassi. «No, io non dormo mai più di quattro ore per notte. Perché mi piace essere sveglio. Mi piace pensare bene a tutte le mosse della giornata. La fretta è nemica della sicurezza. Io devo riflettere molto e con calma perché questo non è un lavoro da saltimbanchi. E' un lavoro da giocatori di scacchi e da atleti metodici. Occorrono nervi saldi e ne sa'qualcosa mia moglie. Finalmente lavoriamo in una struttura che ha un senso: siamo a Palermo più di 400, più dell'intera questura di Rrescia. Abbiamo i computer, ma ci servono assolutamente macchine blindate e sistemi di comunicazione più raffinati. Lavoriamo in tensione, ma il clima è sereno. Il questore Matteo Cinque ha la pazienza di Giobbe e ascolta continuamente le nostre proposte. E' molto migliorata anche la professionalità. Abbiamo imparato ad usare codici segreti con grande agilità. Ci guida un capo in gamba come Vincenzo Mattalia che ha più di vent'anni di esperienza, con il suo ninnerò due Sanna. Insomma, aver visto i nostri colleghi, i nostri amici più cari morire, avere partecipato ai loro funerali, ci ha dato una spinta formidabile. Ci sembra di essere diventati d'acciaio. Quelli che pensavano di demoralizzarci e abbatterci hanno sbagliato completamente i loro calcoli. Siamo un corpo scelto, ma di gente che usa prima di tutto il cervello, anche se all'occorrenza sa sparare». Paolo Guzzanti Le loro mogli li guardano infilare la pistola nella fondina e aspettano pregando che tornino a casa A Falcone che dava sempre consigli dissero: «Dottore, lei è il giudice ma guidare non è mestiere suo» a e a e e di e ni a a se o e oi di Nella foto grande, alcuni ragazzi delle scorte a Palermo A sinistra, Rosaria Costa-, vedova dell'agente Schifani Sopra, il giudice Falcone protetto da carabinieri e uomini in borghese arriva al «Palazzaccio» nel 1992 Sotto il titolo il procuratore Caselli concede un'intervista circondato dagli angeli custodi A destra fotogramma del film «La scorta» di R. Tognazzi

Luoghi citati: America, Cannes, Capaci, Nicolosi, Palermo