Bobbio e la slavina Italia di Luciano Genta

Il filosofo protagonista ieri al Salone: tre dibattiti, il confronto con Amato, l'incontro con la vedova di Pertini Il filosofo protagonista ieri al Salone: tre dibattiti, il confronto con Amato, l'incontro con la vedova di Pertini Bobbio e la slavina Italia «Ma Andreotti non è Mussolini» ~w| TORINO I ERI, santa Rita, al Saloli ne è stato il giorno di I Bobbio, tre dibattiti, da £ I mattina a sera. «Fresco come ima rosa», ha detto una ragazza vedendolo avanzare con passo fermo. E più che mai tenace, nella voce e nell'argomentazione, nel confronto di metà pomeriggio con Giuliano Amato - guidato da Luigi La Spina - sul saggio di Luciano Cafagna, La grande slavina, edito da Marsilio. Un confronto di due rette parallele, che praticamente, con stima e rispetto, non si sono comunque incontrate. Amato aveva anticipato nel suo ultimo discorso da presidente del Consiglio una tesi centrale del libro, la «continuità negativa» di sistema politico tra fascismo e prima Repubblica, dal partito Stato allo Stato dei partiti, la partitocrazia come «lascito formale» di Regime. Un libro da leggere, ha premesso Bobbio, ma per criticare subito questa interpretazione «anti-antifascista», come già aveva fatto in un editoriale sul nostro giornale. «Non pochi lettori - ha rivelato Bobbio - mi hanno scritto, anche con invettive: "Allora, che cosa ci avete raccontato per anni, che cosa ci avete dato a intendere sulla democrazia restaurata!" Ebbene ritengo che non sia vero. Non si può buttare così in pasto ai divoratori il nostro passato. Non è questa la tesi di Cafagna, ma questo ne è l'effetto». Perciò il senatore ha voluto distinguere ancora una volta l'essenziale: «Con la fine del fascismo si è rimessa in moto in Italia la lotta politica, il libero dibattito, il gusto di parlar male del governo». Per ricordare che è cambiato anche lo stile della classe politica, citando Machiavelli: «I fascisti erano leoni, i democristiani volpi. Non confondiamo Mussolini con Andreotti, o per scendere più in basso, Starace con Cirino Pomicino». Poi il professore ha sviluppato la sua lezione tra un richiamo a Michels e uno a Duverger, per stoccare un altro affondo: «Come si può dire che la colpa è sempre del morto?». Cioè far ricadere tutto sul pei, dallo Stato assistenziale e sprecone a Tangentopoli, fino, addirittura, al fallimento del psi, nato con le più nobili intenzioni di riscattarsi dall'abbraccio mortale dei compagni comunisti e degenerato, sono parole di Cafagna, in una «mostruosa macchina per far soldi». E come si fa a sostenere che Craxi, «un Francis Drake, sia pur di terra», ha fallito non per colpa propria, ma del «rifiuto» di Berlinguer e del suo «miope entourage»? Qui Bobbio, pur accettando per vera la critica di ogni massimalismo, malattia che si trascina nel pci-pds («fino all'ultima scelta di Ingrao»), ha invitato a guardare l'altra faccia della medaglia, altrimenti de e psi: «Chi ci ha governato e sgovernato per mezzo secolo, fino alla disfatta», riacquista una incomprensibile «innocenza». E, sempre più fervido, ha lasciato un attimo i suoi politologi per una battuta di Altan e un'altra di Elle Kappa: sta a vedere che «piuttosto che far cadere il Paese nelle mani dei comunisti i de se lo sono mangiato». «Mi sono soffermato dove il dente doleva», ha detto Bobbio, approvando per altro molte altre pagine del libro. Ma da parte sua Amato ha preferito svolgere una «controlettura», ha sezionato il libro capitolo per capitolo (la crisi fiscale dello Stato, il bisogno di soldi dei partiti come origine necessitante di molte loro scelte politiche), senza però incrociare le armi, elogiando l'obiettività storica di Cafagna. «E' vero, quanti rospacci ci han fatto ingoiare con l'anticomunismo, ma, non dimentichiamolo, il comunismo era un pericolo reale». Per attaccare poi «il distruzionismo», «l'ilarità degli abissi», e denunciare come «colossale truffa inventata da politici» la distinzione tra una classe politica di ladri e delinquenti e una gente comune tutta per bene, compresi evasori fiscali e dirigenti fannulloni, una società civile pura, quando in verità «si reclamano diritti e si dimenticano doveri». Quando il dibattito si apriva sulle prospettive future, i tempi cronometrici del Salone lo han¬ no interrotto. Bobbio lo ha proseguito più tardi, intorno a un altro libro, Sinistra punto zero di Bosetti, edito da Donzelli. Ripetendo ancora una volta di «avere le idee troppo confuse per l'avvenire». Deve essergli sembrata davvero tanta la distanza da quel passato di lotta e di speranze rievocato al mattino, presentando il volume L'Italia in esilio, pubblicato dalla Presidenza del Consiglio con il Centro Gobetti: una approfondita ricerca con documenti e tante belle foto inedite sugli italiani costretti all'espatrio forzato in Francia tra le due guerre. Nelle prime file a salutarlo erano venuti, tra i tanti, l'amico Alessandro Galante Garrone.e la signora Carla Voltolina, vedova Pertini. Proprio nella stessa sala, l'anno scorso Bobbio illustrò gli Scritti del Presidente con una magistrale lezione su politica e morale: «Ogni politica deve piegare le ginocchia davanti alla morale», disse citando Kant, e aggiunse: «Pertini ha mostrato coi detti e coi fatti che la politica può essere una cosa nobile». Ora, di fronte a un psi sommerso da scandali e debiti, quelle parole risuonano nella memoria ancora più attuali quanto inascoltate. La signora Carla, affranta e furente, gli mormora: «Meno male che vedo lei stamattina... Pietà l'è morta. Pensavo che all'indecenza ci fosse un limite e invece... Mascalzoni. Sono mascalzoni, rozzi, grossolani». Il professore assente greve e lento col capo a ogni aggettivo, le labbra serrate. Sibila soltanto: «Sì, moralmente e intellettualmente». Luciano Genta Norberto Bobbio ieri al Lingotto. Nella foto piccola Giuliano Amato

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