MILOSZ Io profeta dell'altra Europa

LA STAMPA Parla il Nobel polacco, protagonista al Salone del Libro MMtm Europa Il TORINO1 ™ EUROPA? - mi dice Mi losz - E' stata divisa per i tanti secoli, ho qualche —U dubbio che si possa riunire oggi». Il premio Nobel polacco, in arrivo dalla Svezia, è il grande protagonista al Salone del libro, riempie da solo, con la sua figura, tutti i vuoti lasciati da tanti piccoli scrittori italiani. Oggi sarà a Grinzane Cavour, dove gli sarà consegnato il premio internazionale «Una vita per la letteratura». Ieri, nel Salone, ha concluso il convegno, sempre promosso dal «Grinzane», sulle «Letterature del Mediterraneo», parlando dell'Europa. Del Mediterraneo ha confessato di non conoscere molto, oltre la lingua latina su cui si è formato. Dell'Europa è quasi l'emblema da oltre 50 anni, testimone e vittima di tutte le sue lacerazioni, nel Paese più lacerato dalla storia. Nato a Vilna, in Lituania, polacco di lingua e di cultura, oltre che di animo, resistente sotto il nazismo, dissidente sotto il regime comunista, ha passato oltre metà della sua vita all'Ovest, fra Parigi e l'America. E l'Europa è sempre, per lui, «l'autre Europe», l'Europa dell'Est, come ha intitolato il libro tradotto in Italia con Europa familiare. A 82 anni, un vigore fisico pari a quello intellettuale, Cseslaw Milosz è un uomo che sa ancora guardare il futuro. Ma per capirlo meglio si confronta con il passato. «La divisione dell'Europa non data dal XX secolo - mi dice, nella prima mattina torinese della sua vita -. E' molto antica. Per gli occidentali, fin dal Medioevo, i Paesi dell'Est erano territorio dei leoni. Hic sunt leones, come l'Africa nelle carte geografiche latine. E le frontiere di quella Europa corrispondevano alle frontiere orientali della Germania. H nazismo ha ereditato questa immagine, da generazioni di professori tedeschi. Ed è stata anche la causa della sua disfatta. L'immagine dell'altra Europa può essere molto costosa». Ma oggi è cambiato tutto, è caduto anche il Muro. «E' vero, oggi ci sono tutti i dati possibili per la unificazione. Ma gli avvenimenti in corso mi lasciano dubbioso. Penso al protezionismo economico della Comunità europea, che può dare risultati imprevedibili. Oggi le aspirazioni dell'Europa centro-orientale vanno verso il mercato comune. Ma queste speranze sono piuttosto frustrate dai governi dell'Ovest». E al di là dell'economia? La parola Europa non può avere un valore culturale? «Su un piano culturale ci sono tre Europe. La mia è l'Europa centrale, quella che va dal Baltico a Dubrovnik. Sono stato io il primo a scrivere di questa Europa, assai prima di Kundera. Era un sogno, una utopia degli intellettuali, condivisa da scrittori polac- chi, cechi, ungheresi; anche la Jugoslavia ne faceva parte. E per noi, oggi, è assai duro vedere i conflitti che sono esplosi laggiù. Io oggi lavoro perché quanto accade in Jugoslavia si limiti a quel territorio, non coinvolga altri Paesi. Per una persona nata in Lituania, che scrive in polacco, è indispensabile difendere le buone relazioni fra Paesi vicini. E la prima condizione è che non si mettano in discussione le frontiere. Guai se si toccano. Io spero che la questione delle minoranze non porti a revisioni nella nostra parte d'Europa». Le minoranze sono uscite allo scoperto dopo la caduta del Muro di Berlino. Allora era stata salutata come una vittoria, da tutti. E ora? «Nessuno in realtà, fra i vincitori della seconda guerra mondiale, voleva questa soluzione. Non parlo del Muro, che è assurdo; ma la divisione della Germania in due Stati era iscritta nell'ordi- ne stabilito dopo la guerra; e del resto nemmeno l'opinione pubblica tedesca è stata unanime sulla riunificazione. Basta pensare a Gùnter Grass. Ma io non sono uno scrittore politico, non voglio dare giudizi politici; io sono un poeta». E qual è il ruolo del poeta, in questa nuova società? «Bisogna guardare da vicino la storia di ogni Paese. La letteratura polacca è stata dominata sempre dalle scosse politiche. La storia del mio Paese è una storia spasmodica, e la letteratura ha reagito sempre alla storia. La nostra poesia nata nell'ultima guerra, creata dalla resistenza al nazismo, oggi mi pare un documento nobile dal punto di vista morale, ma non so se lo sia anche da un punto di vista artistico». Anche nel suo caso? «Penso a una mia poesia intitolata Campo dei fiorì, scritta a Varsavia nel 1943. Vi stabilivo un'analogia fra la società che brucia Giordano Bruno e quella che organizza l'olocausto. Mi hanno detto: voi, Milosz, avete scritto una cosa duratura, che testimonia la storia del XX secolo. Ma io sono reticente a riconoscere il valore di questi testi. Per me ha più importanza la mia poesia non engagée». Prendiamo un testo che non pare engagé, una «Canzonetta» del 1980. «Qualunque sia il dolore, il dolore crescerà / La notte è nera, ma sarà più nera ancora», dice l'inizio. E' soltanto una riflessione personale? «Io ho paura che sia un po' profetica - sorride il poeta -. Da un punto di vista personale il 1980 era un anno molto difficile, mia moglie era molto malata (sarebbe morta pochi anni dopo). Era l'anno in cui mi hanno dato il premio Nobel. Ma era anche l'anno di Solidarnosc, poco prima che Jaruzelski proclamasse la legge marziale, c'era un certo pessimismo politico. Sì, la notte poteva essere nera per tutti». E oggi, quella profezia ha ancora senso? «No. La caduta dei due sistemi disumani, il nazismo e lo stalinismo, ha modificato la nostra attitudine verso la vita. Il XX secolo ha poche ragioni per riconoscere i valori morali, ma oggi, con la caduta del Muro, possiamo ricordare i Sermoni di Bos- suet: "La Provvidenza punisce i re cattivi, e promuove i buoni"». E lei crede nella Provvidenza? «Sì e no. E' molto difficile darsi una risposta». Lei è fra i tre polacchi più famosi nel mondo. Gli altri due sono Walesa e Wojtyla. Li ha conosciuti di persona? «Li ho incontrati più volte». Come giudica il Presidente? «Fra gli intellettuali polacchi c'è un atteggiamento piuttosto altero nei suoi riguardi, lo vedono come una specie di contadino. Io non sono d'accordo con loro. Considero la presenza di Walesa nel ruolo di presidente come necessaria; anche se non condivido certe sue decisioni». E il Papa? «Conosce la mia poesia, è un ottimo critico letterario, assai perspicace. Io riconosco il suo valore, su questo terreno non abbiamo discussioni». E fuori della poesia? «Io ho pubblicato diversi articoli, in Polonia, contro lo Stato confessionale. Nel mio Paese c'è il pericolo che si produca una nuova teocrazia, la stessa opinione dei cattolici polacchi su questo punto è divisa. Molti vorrebbero una separazione fra Stato e Chiesa, che la gerarchia non accetta. Ma non ho più visto il Papa dopo aver scritto questi articoli». Se lo incontrasse oggi, che cosa gli direbbe? «Non credo che potrei parlargli della politica della Chiesa in Polonia, perché lo metterei in una posizione assai penosa. Non posso ridurlo in una situazione soltanto polacca. Credo che finiremmo col parlare di poesia». Giorgio Calcagno «Wojtyla? F un ottimo critico letterario. Se lo incontrassi ora parleremmo di poesia» LA RINO1 e Mi a per alche riunilacco, rande libro, figu tanti Oggi ve gli inter lettea cone pro «Let, parditer non ingua . Delma da vittini, nel storia. polacre che naziegime oltre st, fra ropa è rope», ntitoia con o pari seslaw ancora capiril pasEuropa mi dice, se delca. 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