I gregari sull'Appennino

I gregari sull'Appennino I gregari sull'Appennino APontedecimo 1° Calcaterra Paura per una caduta di Bugno PONTEDECIMO DAL NOSTRO INVIATO Che ve ne pare di un Giuseppe Calcaterra che vince il Giro dell'Appennino? Se non vi soddisfa, abbiamo un Tebaldi secondo, un Trepin terzo e un Ferrigato quarto. La prova generale del Giro d'Italia si trasforma in un festival del gregario. E perché no. I gregari avranno pur diritto a un pomeriggio di gloria. Una pioggia indecisa, reticente, a doccia alternata, anziché lavare l'asfalto lo riduce a vaselina. I signori del ciclismo pensano al futuro e procedono a testuggine, nel senso che imitano il dinamismo delle tartarughe. Non si contano i voli, ululano le ambulanze. Il più sfortunato dei campioni è Bugno. Cade nell'attraversamento di Genova, a 65 km dal traguardo, in piazza De Ferrari, la principale della città (noblesse oblige). Lievi abrasioni. In segue, perde di vista il gruppo e si ritira. Il fatto rallenta ulteriormente l'incedere di Chiappucci e Indurain i quali comunque, non avendo altro da fare, si studiano. E' chiaro che, stando così le cose, i gregari fuggitivi possono tranquillamente continuare il viaggio cominciato lungo la discesa dei Giovi (primo passaggio), una ventina di chilometri dopo la partenza. Che Appenni- no. Avvezzo a salutare le celebrità del ciclismo, da Coppi a Gimondi, da Moser a Baronchelli, da Bugno a Chiappucci, si è dovuto specchiare in un ordine d'arrivo che esalta i poveri della bicicletta e un po' meno coloro che si preparavano a compilare le pagelle degli aspiranti alla maglia rosa. E come se non bastasse non ha neppure goduto della rituale presenza del sindaco di Genova nel ruolo di ((personalità che dà il via». Il sindaco era impegnato in più complesse vicende tangenziali. Dunque vediamo. C'è un traguardo volante in cima al Passo dei Giovi. In sedici avanzano per sgr^chirsi le gambe. Dal gruppo che replica a quell'azione sperimentando la bontà dei freni, si scioglie un coraggioso: Giuseppe Calcaterra, ragioniere e corridore, ventinove anni, abitante nella lontana periferia del successo. Cominciò con Bugno e qualcuno disse: è lui l'asso, mica Gianni. Ha vinto, in otto anni di professionismo, quattro gare e adesso non gli dispiacerebbe di trasferirsi nell'idea di vincere la quinta. Calcaterra si prodiga in una caccia eccellente e su una salita che si chiama Crocetta d'Orerò, a 106 chilometri dall'arrivo, si unisce ai sedici che diventano diciassette, numero notariamente infausto. Cadono quindi un tale Delphis (venti punti di sutura a un braccio e un taglio al collo), i russi Tonkov e Gontchenkov, Barbero e lo spagnolo Cabestany (contusioni varie). Gh inseguitori, che a inseguire non ci pensano neppure per caso, si interrogano (di tanto in tanto capita): chi c'è davanti? Risposta: ci sono i rappresentanti di tutte le squadre importanti, meno la Banesto. Si preoccupa Indurain? No. E allora perché dovremmo preoccuparci noi? Il ragionamento è, da un punto di vista pelandron-strategico, plausibile. E il Giro dell'Appennino si affranca da eventuali colpi di scena. La terribile scalata della Bocchetta, attesa come test delucidante in attesa del Giro d'Italia, offre ai numerosi spettatori lassù ubicati lo spettacolo del plotone di testa che si stira, s'allunga e va in pezzi. Calcaterra non molla. Trepin tenta di resistere e non ci riesce: lo scavalca Tebaldi. Ferrigato e Martinelli tallonano. Fine. La parola a Chiappucci: «A Genova c'era un confusione che sembrava di correre all'ora di punta col traffico aperto. Ci davano i distacchi a capocchia. Tre minuti, due, sette, nove, dieci. Davanti avevo due compagni, figuriamoci se andavo a prenderli io. Come ho visto Indurain? Stava lì, andava piano, come me, come tutti. Ma quale esame per il Giro, qui l'esame non l'ha fatto nessuno». Gianni Ranieri Ordine d'arrivo: 1. Calcaterra in 5 h 30'36", 2. Tebaldi a 34"; 3. Trepin a 51"; 4. Ferrigato a T18"; 5. Martinelli a 2'.

Luoghi citati: Genova, Italia