L'importanza di chiamarsi Baggio

Dino e Robi hanno trascinato la Juve al trionfo segnando 5 gol nei due match col Borussia Dino e Robi hanno trascinato la Juve al trionfo segnando 5 gol nei due match col Borussia L'importanza di chiamarsi Baggio Ora il Codino chiama Paulo Sousa TORINO. Ma sì, tutti sul carro. Salite, gente, salite. Tutti, anche quelli che contro il Psg avevano invitato Trap ad anelarsene con uno striscione enorme e un imperativo secco (vattene). Voi lì, alla destra del cocchiere. Noi invece, uomini di poca fede, alla sinistra di Roberto Baggio, il capitano che alza la Coppa, il Codino che non ha più nostalgia, il comandante che mentre il Titanic stava arrancando nell'oceano in tempesta ha spostato l'iceberg. Avanti, sbrigatevi: il carro dei vincitori sta per muoversi. Il popolo è in brodo di giuggiole. Come a Dortmund, ci pensa Dino Baggio a dar fuoco alle polveri. Il Codino si sbraccia e si sgola. Caracolla per il campo: servizievole, leggiadro, vampiresco. Karl, il numero otto, non lo molla mai. Le muse, capricciose, gli negano lo squillo dell'apoteosi. Ogni tanto, Roberto Baggio sfoglia idealmente la sua agenda da vip, zeppa di impegni, di cerimonie, di nastri da tagliare. In pentola bolle (per oggi?) l'annuncio del rinnovo del contratto fino al 1995. Ma c'è dell'altro: per esempio, l'accordo miliardario raggiunto con Tip, industria italiana petroli. Robi farà l'uomo immagine. Nel libro paga, che sta agli sponsor come l'albo d'oro alle società sportive, succede a Francesca Dellera e Alba Parietti. «Vieni a fare un pieno con me», è lo slogan, malizioso, che gli hanno lasciato in eredità le nostre Bronze di Riace. E la partita? Una festa aperta a tutti. I tedeschi, passerotti sperduti, forniscono bevande e tartine. La ditta Baggio cura gli effetti speciali. Roberto ancheggia e arpeggia. Dino bada al sodo: sbloccato il risultato, su tacco di Vialli, raddoppia di testa. Insomma: guai a limitarsi al cognome, meglio specificare il nome, qualcuno potrebbe offendersi. E' la notte della Grande Riconciliazione: dell'io lo avevo detto (bum!), dei violini e dei tromboni purificanti, del dove sono quelli che parlavano della Juve come della squadra della mutua: vengano fuori, se hanno coraggio. Boniperti digrigna i denti, stringe i pugni e garantisce che questo trofeo rappresenterà un punto di partenza, e non di arrivo. Può essere che abbia in serbo un'indulgenza plenaria, ma non ci giureremmo. Roberto, adesso, è il suo indiscusso pupillo. Così indiscusso e così pupillo da farsi ricevere in udienza privata e proporgli, tout court, l'ingaggio di Paulo Sousa, il centrocampista portoghese del Benfica. «Mi ricorda il Dunga giovane, e noi è proprio di un Dunga che abbiamo bisogno». Parola di capitano. Quando Roberto alza la Coppa, dopo la terza candelina spenta da Moeller, non si può non riandare, con la mente, a tutto quello che c'è stato fra lui e Madama in questi tre anni, le ripicche, gli equivoci, i mugugni, e poi l'amore, finalmente. E' la prima conquista della sua carriera. Sudata, meritata e, con il passare delle partite, fir¬ mata di suo pugno. Se con il Benfica, furono i compagni a sorreggerlo, con il Psg e il Borussia (a Dortmund, soprattutto), è stato lui a tenere in piedi la baracca. Gol d'autore, gol da leader. Lo stadio lo invoca con struggente intensità. L'enfasi si accanisce sui computer. Il carro strabocca di pellegrini: volano pugni e spintoni (metaforici). C'è il pentito dell'ultima ora, l'elzevirista ondivago, il cronista che non si rilegge. Esaurito il bello, comincia il difficile. Roberto Baggio non ha più paura: «E' la fine di tante battaglie, è la prima guerra che vinco da giocatore. Provo un'emozione indescrivibile, superiore a quella che, da sconfitto, provai ad Avellino, nel 1990. Dedico il successo a chi mi ha aiutato a crescere: mia moglie, mia figlia, i miei genitori. Ringrazio Trap, la squadra, i tifosi: io magari sono stato prezioso contro il Psg, ma prendete Dino, i suoi guizzi non sono stati meno decisivi dei miei. Ora sì che c'è feeling, ora sì che mi sento della Juve, e sento che la Juve mi considera importante. Al Pallone d'Oro penso, ma non ho fretta. E poi, per carità, non esageriamo. Ci aspetta una strada lunga e accidentata. Abbiamo il diritto di festeggiare, ma anche il dovere di non fermarci qui». Di Baggio la Juve ne ha due. E a volte, come ieri sera, quello vero, quello doc, sembra Dino. Cin cin. Roberto Beccantini «Il portoghese è come un Dunga giovane Penso al Pallone d'oro ma non ho fretta» Dino Baggio (a sinistra) esulta dopo aver segnato il primo gol Sotto: Robi Baggio, il capitano Vialli preceduto dal portiere tedesco. Gianluca non ha segnato ma il suo apporto è stato ancora una volta assai prezioso

Luoghi citati: Avellino, Dortmund, Riace, Torino