Ingrao: sì è vero dominammo la cultura

i l caso. Il leader comunista: «Contro di noi accuse mistificanti, con una parte di verità» i l caso. Il leader comunista: «Contro di noi accuse mistificanti, con una parte di verità» Ingrao: sì, è vero dominammo la cultura P RIMA la negavano, adesso che non c'è più la rimpiangono. L'egemonia comunista sulla cultura italiana: una realtà storica, come hanno denunciato dagli Anni 50 in avanti vecchi e nuovi avversari, o una patacca fabbricata dal nemico, come hanno in genere replicato gli interessati? In una lunga intervista di Rossanda Rossanda pubblicata ieri sul Manifesto Pietro Ingrao, fresco fuoruscito dal pds, parla con toni accorati dei bei tempi in cui predominava «un pensare comune e diffuso della sinistra». Poi ribadisce le sue convinzioni prendendosela con i propagatori di falsità: «Dicono, Vertane e altri, che in quegli anni i comunisti dominarono la cultura italiana: è una mistificazione», sentenzia. Con una significativa aggiunta: una mistificazione, «ma a guardar bene anche una verità». Una contraddizione? Una mezza marcia indietro? Nient'affatto: «Parlare di egemonia o di dominio è assurdo, sproporzionato - ci spiega il vecchio leone comunista -. Nei mass media a lungo il pei non è esistito o quasi. La scuola è stata influenzata fino al '68 dalla cultura cattolica. Gli atenei? Avevamo delle cattedre, sì, ma poche; la rete del sistema universitario era in altre mani. La nostra influenza era più forte nel campo editoriale: c'erano gli Editori Riuniti, la Einaudi...; ma anche qui le roccaforti erano dall'altra parte». Come si può parlare di dominio, domanda Ingrao, quando ci sfuggiva il controllo dei grandi mezzi di informazione? «No, non c'è stata egemonia, ma una forte presenza diffusa. Con una formula gramsciana, possiamo dire che c'è stato un accerchiamento reciproco. C'è stata una forte cultura della sinistra anticapitalista, che si è espressa nel campo del pensiero, dell'arte e delle lettere. Avamposti dove la cultura comunista era qualche cosa che oggi non è più». Non era soltanto cultura di sinistra, era «la cultura del tem- po». Un padre storico del Manifesto, come Valentino Parlato, ne è convinto: «Sul mercato andavano bene i romanzi, i film, i saggi degli autori comunisti, o impropriamente annessi dagli altri al comunismo. E il mercato non era manipolato dal Kgb. Era una cultura autoctonamente dominante. In quegli anni il pei non aveva la forza di comandare l'industria editoriale o quella cinematografica, anzi le opere davvero raccomandate dal partito, come Metello di Pratolim, non ebbero grande successo. Piace¬ vano molto, invece, i romanzi degli americani: tradotti da chi? Da Vittorini, da Pavese... In quei tempi la cultura dei comunisti espresse il bisogno di cultura del Paese». E la banda dei «Vertone e altri», che ne pensa? Sentiamo il caposcuola: «Ingrao è un càtaro, e come i càtari cade nel manicheismo: da una parte il bene, dall'altra il male - osserva Saverio Vertone -. Lui nega che ci sia stata un'influenza egemonica del pei attraverso gli strumenti della diffusione culturale, pensa a un orientamento spontaneo delle menti più sottili verso un generico bene. La fa passare come una scelta morale». Però l'editorialista ci tiene a puntualizzare: «Io non ho mai detto che negli Anni 50 il pei dominasse la cultura italiana, ma che in quel periodo si sono create le condizioni per un'egemonia che si è realizzata quando l'ideologia era finita, fra gli Anni 70 e 80. Come un'ape che ha lasciato il pungiglione nella società e poi è morta». «La vera egemonia culturale di; sinistra - concorda il politologo Nicola Matteucci - si è realizzata molto dopo gli Anni 50, con la conquista delle cattedre universitarie e con i mass media che hanno concesso sempre più spazi alle idee comuniste. Ma il dominio non è consistito tanto nell'imposizione della cultura marxista, quanto nel potere di veto, nella capacità di impedire che certi libri fossero pubblicati o recensiti, o potessero circolare: pensiamo alle due più importanti opere sul totalitarismo, quella di Hannah Arendt e quella di Hayek, a lungo bollate come libelli. E i pochi libri di tradizione liberale, di Dahrendorf, Buchanan, Boudon, sono potuti uscire solo presso una piccola editrice torinese, la "Biblioteca della libertà". Non c'era un regista, era un clima d'opinione dentro il quale le menti erano prigioniere. E' finito soltanto con il crollo del Muro». Maurizio Assalto Matteucci: è stato un potere di veto. Vertone: Videologia era già morta o ltura Pietro Ingrao ha ricordato i bei tempi del «pensare comune e diffuso della sinistra» A destra Saverio Vertone A sinistra Nicola Matteucci. A destra Rossana Rossanda Pietro Ingrao ha ricordato i bei tempi del «pensare comune e diffuso della sinistra»