Umberto Orsini grande protagonista al Carignano di «Àffabulazione», tragedia della paternità di Masolino D'amico

Umberto Orsini grande protagonista al Carignano di «Àffabulazione», tragedia della paternità Umberto Orsini grande protagonista al Carignano di «Àffabulazione», tragedia della paternità E Ronconi illumina il mistero Pasolini TORINO. Per «Àffabulazione», tragedia alla greca di Pier Paolo Pasolini, sarebbe difficile immaginare una difesa più intelligente e argomentata di quella condotta da Luca Ronconi nell'allestimento al Carignano (fino al 5 giugno); al confronto la duplice versione di Vittorio Gassman ascoltata qualche anno fa sembra nel ricordo l'arringa di un principe del foro trombone, di quelle che finiscono con ovazioni per l'avvocato e l'ergastolo per il cliente. Poche altre volte il nostro geniale regista ha dato l'impressione di aver messo le sue risorse così al servizio di un testo, valorizzandone i punti forti e coprendone finché possibile le carenze, pur non rinunciando ad apporre il sigillo della propria personalità. Ronconi non sarebbe Ronconi, si capisce, senza qualche complicato marchingegno meccanico celebrante solo se stesso, ovvero il ludus, il gioco, che fa parte del Teatro. Qui in un momento quasi imbarazzante, per esempio, il ragazzo finge di calciare un pallone che si sposta invece lungo un binario, manovrato con una cordicella. Più avanti, nel momento più superfluo del lavoro, Marisa Fabbri porge le battute della Negromante seduta in una poltrona che compie capricciose evoluzioni come una vetturetta dell'autoscontro alla giostra. Ma nell'insieme il dramma in versi (versi, intendiamoci, per chi legge o per il cervello di chi li pronuncia, non per l'orecchio, che non può distinguerli dalla prosa) viene consegnato con una cura così amorevole, dà rischiare di essere convincente. Si tratta come si ricorderà di un padre ossessionato, è la parola, dalla giovinezza del figlio, bello, biondo, angelicamente indifferente a lui. Lacerato dalla gelosia, in una serie di episodi questo padre, di cui ci è detto che è un industriale brianzolo - ma la cosa non ha sviluppi -, aggredisce sarcasticamente l'amichetta del rampollo, tenta di provocare questi cercando di farlo assistere a un proprio coito con la madre (che vi si sottrae), va a riprendere il ragazzo quando costui scappa di casa, da ultimo non resistendo più lo uccide a coltellate e finisce barbone a raccontare la propria storia criminale. La scena di Carmelo Giammello prevede un piano inclinato circondato da un'ampia cornice nera, nella quale possono aprirsi fessure a mo' di porte. All'inizio il pavimento è un prato, dove Umberto Orsini che è il padre sonnecchia agitato in una poltrona contro un limpido cielo alla Magritte, e questa forte immagine, il cui surrealismo è sottolineato quando con un colpo di vento il giornale che copriva il volto del dormiente prende il volo e scompare in alto, viene confermata dalle composizioni spaziali successive, sempre con pochi mobili che si stagliano con la precisione di certi sogni, in un delicato cromatismo (costumi di Ambra Danon, calde luci di Giancarlo Salvatori) reso più affabile dal commento musicale di Paolo Terni, con citazioni di opera romantica. Intorno a un Orsini mirabile per la scarna efficacia con cui non fa pesare l'atletismo della parte (ecco un vero attore moderno, nella tradizione di sobrietà inaugurata dalla Duse) Ronconi ha coordinato un quintetto eccellente, forte di Paola Quattrini moglie perplessa ma non rassegnata, Alberto Mussap figlio accettabilmente seducente suo malgrado, Martina Guideri ragazza allo stesso tempo provocante e sbiadita, e Carlo Montagna che si moltiplica in una successione di interlocutori (l'ombra di Sofocle, il prete, il commissario, -ecc.); Marisa Fabbri, molto applaudita dai suoi fans, si limita alla breve apparizione suddescritta. Costoro mettono in risalto i non rari momenti felici del testo, particolarmente quando si tratta di dar voce all'angoscia, al dolore senza nome; e ogni tanto - ecco dove dicevo che Ronconi tenta di aiutare il copione - cercano di creare un po' di umorismo, un po' di leggerezza, magari a costo di stravolgere il dettato, come nel personaggio del prete, che qui per un momento sembrerebbe dominare il signore, del quale è invece chiaramente al servizio. Nemmeno questo Ronconi in stato di grazia può mascherare fino in fondo il difetto teatralmente insormontabile di «Àffabulazione», che è la monotonia. Non c'è infatti progressione, non ci sono sfumature; il protagonista contempla la propria fissazione con una rassegnazione articolata e amara che a tratti affascina, ma alla lunga stucca. I 110' senza intervallo scorrono tuttavia senza intoppi, e lo spettacolo alla fine riscuote tutti i larghi consensi che gli spettano. Masolino d'Amico Uno spettacolo che è la lucida difesa di un'opera in qualche punto monotona Nel cast Paola Quattrini e Marisa Fabbri Umberto Orsini e Paola Quattrini in una scena di «Àffabulazione» Nella tragedia moderna di Pasolini un padre è così ossessionato dalla giovinezza del figlio che lo uccide per gelosia

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