Il grande economista e la guerra santa nel nome di Rama: un articolo di Amartya Sen sui conflitti fra indù e musulmani

Il grande economista e la guerra santa nel nome di Rama: un articolo di Amartya Sen sui conflitti fra indù e musulmani Il grande economista e la guerra santa nel nome di Rama: un articolo di Amartya Sen sui conflitti fra indù e musulmani I _' J4 ^ -4 ~4 -4 Tutti gli dei della mia India Così si sconfigge l'integralismo religioso Amartya Sen, il grande economista indiano docente a Harvard, vicintore nel '90 del premio «Senatore Giovanni Agnelli», ha tenuto ieri una conferenza all'Università di Pavia. Pubblichiamo dalla «New York Review of Books» parte di un suo saggio che uscirà integrale quest'estate sulla «Rivista dei libri». ml^ pluralismo è una caI ratteristica della religioI ne indù. Non è solo una I questione di relazioni -Mi esterne fra indù e non indù nell'educazione laica dell'India. Gli attivisti indù che lo scorso dicembre hanno distrutto la moschea del Sedicesimo Secolo, perché al posto volevano un tempio di Rama, devono affrontare il fatto che, anche all'interno della religione indù, molti potrebbero non essere d'accordo con la natura divina di Rama (per non parlare della sua prevalenza su altre divinità). Certamente, in alcune parti del Paese Rama è considerato «la» divinità. Ironia della sorte, forse il più famoso caso in tempi recenti in cui il nome «Rama» (o «Ram» come si dice in hindi moderno) è stato evocato come sinonimo di Dio, è avvenuto quando il Mahatma Gandhi fu assassinato il 30 gennaio 1948 da un estremista indù che apparteneva a un gruppo politico non del tutto diverso da quelli che hanno distrutto la moschea di Ayodhya lo scorso dicembre. Il leader dell'India moderna, che era profondamente indù, ma la cui politica laica gli aveva alienato le simpatie degli estremisti zeloti, cadde per terra, colpito da un proiettile indù, e morì dicendo «Hé, Ram». L'identificazione di Rama con Dio è comune nel Nord e nell'Ovest dell'India ma altrove, per esempio a Bengal, dove sono nato io, Rama è piuttosto l'eroe del Ramayana che non il Dio incarnato. Il Ramayana come poema epico è naturalmente molto diffuso in tutta l'India e anche al di fuori, per esempio in Thailandia e Indonesia (anche Ayutthaya, la capitale storica dell'Indonesia, deriva da Ayodhya). Ma bisogna distinguere l'influenza del Ramayana, che è una grande opera letteraria, con la divinità. In effetti, nel poema epico, Rama è raffigurato come un re buono e pronto a sacrificarsi piuttosto che come Dio, e in un'occasione prende persino lezioni di «mondanità» da un certo Javali, che gli dice: «O Rama, sii saggio. Non esiste altro mondo che questo, è cosa c'erta! Godi del presente e abbandona ciò che è spiacevole dietro di te». Hanuman re delle scimmie Uno dei leader politici indù descrive la demolizione .della moschea con reverenza, come «la mazza di Hanuman al lavoro», riferendosi al re delle scimmie Hanuman che nel Ramayana è un alleato di Rama. Nessun dubbio che questa fosse la sua opinione, ma nel dirla non poteva non rendersi conto che Hanuman non è molto riverito dai milioni di indù sparsi in altre parti dell'India, o che in certi Paesi, come appunto nel Bengala rurale, Hanuman è un personaggio comico, affabile e divertente, ma certo non molto santo. Certo, nella sua Storia delle visioni dell'India, Rabindranath Tagore sottolinea che l'epopea di Rama è particolamente da apprezzare proprio perché Rama «appariva divino alle tribù primitive, alcune delle quali hanno il totem della scimmia, altre dell'orso». Dunque le differenze religio¬ se fra indù e musulmani non possono essere dissociate da quelle che esistono, fra varie sette indù e fra varie regioni dell'India. Queste variazioni regionali si applicano altrettanto bene alla politica. Anche nelle elezioni la forza del partito indù, il Bharatiya Janata Party (Bjp), è largamente confinata al Nord e all'Ovest dell'India, con poco appoggio dagli Stati del Sud e dell'Est. Se le distinzioni religiose nel Paese sono notevoli così lo sono anche quelle territoriali. Più del 90 per cento dei membri del Parlamento appartenenti al Bjp proviene da otto Stati del Nord e Ovest dell'India (più del 40% da uno Stato solo, l'Uttar Pradesh) per un totale di 32 Stati (20 dei quali non votano del tutto il Bjp). Per spiegare questi contrasti regionali, si citano molti fattori. Per esempio il fatto che neanche l'impero del Mogol non era mai arrivato fino a Sud ed era relativamente debole ad Est, e anche che c'è più di una storia di battaglie contro l'impero Mogol combattute da re indù nel Nord (i Rajputs) e nell'Ovest (i Marathas). Ma una spiegazione adeguata deve tener conto di molti altri fattori sociali e culturali. Dati i contrasti e le differenze interne, non c'è, nel Paese, molta alternativa alla secolarizzazione come parte essenziale di un generale pluralismo. Questo non significa che l'approccio laico sia senza problemi. Anche il laicismo può prendere moltissime forme e bisognerebbe discutere quale sia la migliore. Uno dei problemi del laicismo indiano è che riflette la somma delle intolleranze delle diverse comunità religiose e non combina invece le loro capacità di tolleranza. Ogni affermazione o azione che irrita una qualsiasi delle comunità maggiori dell'India, viene considerata da bandire. Questo modo di utilizzare la censura si concilia difficilmente con l'altra principale caratteristica dell'India, ossia la grande libertà di espressione. Per esempio, l'India è stato il primo Paese a bandire la distribuzione dei Versi satanici di Salman Rushdie, assai prima che le autorità religiose iraniane si accorgessero del libro e lanciassero il loro avvertimento mortale. Ma potrebbero essere citati altri esempi di zelo da parte delle autorità, nel fare azione repressiva quando una comunità religiosa crede di essere stata offesa. Questo non porta a una società tollerante. La situazione può essere paragonata a come i viene trattata la bestemmia ■ in Gran Bretagna, che rimane formalmente uno Stato cristiano per il fatto che la legge vieta la bestemmia solo nei confronti della religione cristiana. Ci sono richieste perché la legge venga estesa anche ad altre religioni: sarebbe un modo per avere una posizione simmetrica nei confronti di tutte le religioni. Ma un altro modo sarebbe abolire del tutto la legge. Uno Stato laico può prendere entrambe le strade, ma chi è convinto che una società moderna rispettosa della libertà di dialogo dovrebbe preferire liberarsi in generale dalle leggi antiblasfeme piuttosto che appli¬ carle a tutte le religioni, deve basare le sue richieste su qualcosa di più che sulla semplice simmetria. Eppure è la simmetria che conta maggiormente in India e, oserei aggiungere, anche in Gran Bretagna. Una seconda questione concerne il fatto che l'interpretazione indiana del laicismo include alcune differenze fra le varie comunità, differenze che hanno a che fare con le diverse leggi interne. Per esempio, mentre un indù può essere denunciato per poligamia, un musulmano può avere fino a quattro mogli, perché la legge indiana rispetta l'usanza religiosa islamica (sebbene in pratica molto raramente gli indiani musulmani siano poligami). Ci sono anche altre differenze, per esempio negli alimenti in caso di divorzio: le mogli musulmane (appunto a causa della tradizione islamica) sono trattate I peggio delle mogli indù. Queste differenze sono state citate molte volte dagli attivisti per dimostrare che gli indù, come comunità di maggioranza in India, sono ingiustamente discriminati. Questa è naturalmente un'accusa ridicola perché la discriminazione, se di ciò si vuol parlare, è verso le donne musulmane e non certo verso gli uomini indù: in queste proteste è scritto chiaro il punto di vista assai maschilista di certi indù. Né c'è alcuna seria base empirica alla protesta spesso ripetuta che la poligamia permette ai musulmani di riprodursi più rapidamente degli indù. Ma la generale sensazione di un comportamento legislativo asimmetrico è importante, e non ci sarebbe nulla di non laico o settario se si cercasse di rendere la legge civile indiana applicabile a tutti i membri di ogni comunità. Amartya Sen i W« . : « IIIHIIMM I I I III Qui accanto l'economista indiano Amartya Sen A sinistra, poliziotti durante i disordini causati dagli estremisti indù ad Ayodhya nel dicembre