Per l'esercito della mafia una stagione di sconfitte

Per l'esercito della mafia una stagione di sconfitte Per l'esercito della mafia una stagione di sconfitte IIÌiìÌmEBHhmHN LA CADUTA DEGLI DEI DEL MALE CATANIA DAL NOSTRO INVIATO Antonio Manganelli, capo del servizio centrale operativo della polizia, non riesce a trattenere l'impulso. «Mi è venuto - dice - un riflesso condizionato, quello di chiamare al telefono il giudice Falcone per dirgli: "Sai Giovanni, abbiamo preso anche Santapaola". Che peccato non avere più Giovanni Falcone e Paolo Borsellino». E' difficile per questi poliziotti reprimere il gesto di dedicare i successi alla memoria delle vittime della violenza mafiosa. Per Falcone, poi, c'è una doppia occasione: il primo anniversario della strage e il compleanno.del giudice. Ieri il magistrato avrebbe compiuto 54 anni, era nato il 18 maggio del 1939. Una coincidenza curiosa, la cattura di Santapaola alla vigilia della conclusione del primo anno senza Giovanni Falcone. Ne sono accadute di cose, in questi ultimi dodici mesi. Cose buone e cose meno buone. Il bilancio complessivo, tuttavia, sembra far sperare bene. Dopo Capaci e dopo via D'Amelio, qualcosa sembra che cominci a muoversi. Prima la cattura di Giuseppe «Piddu» Madonia, capo della mafia del «Vallone». E' stato preso lontano dalle sue contrade, il boss. Credeva di stare al sicuro in un anonimo paesino del Veneto. Non sospettava di essere stato da tempo agganciato dagli investigatori, che anche in quell'occasione erano gli uomini di Antonio Manganelli ed Alessandro Pansa. Era settembre e don Piddu si abbandonava a un'intensa attività di pendolare tra la Sicilia e il Veneto. Qualche settimana dopo un aereo continentale riportò nelle galere italiane i fratelli Cuntrera di Siculiana, famosi nel mondo per essere i titolari del più grosso business legato al traffico internazionale degli stupefacenti. Ma il colpo più importante arrivò il 15 gennaio di quest'anno, quando i carabinieri misero le mani sul numero uno: Totò Riina, latitante da un ventennio insieme con la moglie e quattro figli. Fu la caduta degli dei, anche allora i carabinieri si chiesero se la soddisfazione per quel successo poteva bastare a riempire il vuoto lasciato da Falcone e Borsellino. Fu tanto il clamore, che passò inosservata persino la cattura di uno dei Montalto, altra famiglia della cupola mafiosa. E che dire del proliferare dei pentiti? Il capo della polizia dice che sono quasi 400. Hanno provocato un putiferio con la decisione di cominciare a parlare del legame tra mafia e politica. Alcuni avevano accennato qualcosa anche a Falcone e Borsellino, ma i magistrati non hanno fatto in tempo a vivere la straordinaria stagione inaugurata dai collaboratori. Sono in tanti a chiedersi cosa sarebbe stato, in termini di esperienza, il contributo che i due avrebbero potuto aggiungere al grande impegno con cui i giudici di Palermo stanno portando avanti inchieste delicatissime. E' vinta la battaglia? Bisogna resistere alla tentazione di abbassare la guardia. Lo hanno detto il ministro Mancino e il capo della polizia, lo dicono gli osservatori più attenti. «Se vanno in carcere alcuni membri del consiglio d'amministrazione - suggerisce il ministro non è detto che l'azienda sia al fallimento». E' vero, come dimostra l'attentato compiuto ai Parioli. La mafia è certamente in difficoltà, ma non alla resa. Fuori dalle galere c'è tanta gente in grado di prendere le redini di Cosa Nostra: il ricambio - dimostra la storia recente avviene in modo repentino. E poi non tutta la struttura della cupola mafiosa è stata messa in condizione di non nuocere. Il numero dei latitanti diminui- sce, ma la lista c'è ancora. Che ne è di Bernardo Provenzano, braccio destro di Riina? E dov'è finito Leoluca Bagarella, cognato del padrino indicato come imo dei probabili nuovi capi? E continuano a rimanere latitanti mafiosi che hanno creato più di un problema agli investigatori. Personaggi emergenti e dalla pistola facile come il palermitano Pietro Aglieri, carismatici e iispettati come quel Mariano Tullio Troia, scomparso (ma vivo) in coincidenza con l'assassinio dell'eurodeputato Salvo Lima. Per non parlare, infine, di quel Giovanni Brusca, figlio primogenito di don Bernardo di San Giuseppe Jato, l'uomo con cui entrò in conflitto Baldassarre Di Maggio, il picciotto che, per timore di essere ucciso, accettò di collaborare contribuendo alla cattura di Salvatore Rima. [f. 1.1.1 Ma Cosa nostra ha già scelto i nuovi padrini la mafia sconfitte Totò Riina. E' considerato il re di Cosa nostra. Viene arrestato il 15 gennaio di quest'anno. Bernardo Provenzano. Cresciuto all'ombra del Padrino Luciano Liggio, latitante da venti anni. Pietro Vemengo. Condannato all'ergastolo per un omicidio, evaso in vestaglia dall'ospedale di Palermo, catturato il 16 marzo del 1992. Giuseppe Illuni Madonia. Capostipite di una famiglia di «uomini d'onore», è stato arrestato il 6 settembre del 1992. Pietro Agi ieri. Latitante dall'89, è considerato il killer delle cosche, responsabile di almeno 20 delitti, tra cui quello di Salvo Lima. A sinistra il boss Nitto Santapaola attorniato dagli agenti al suo arrivo in questura Totò Riina. E' considerato il re di Cosa nostra. Viene arrestato il 15 gennaio di quest'anno. Pietro Vemengo. Condannato all'ergastolo per un omicidio, evaso in vestaglia dall'ospedale di Palermo, catturato il 16 marzo del 1992. Giuseppe Illuni Madonia. Capostipite di una famiglia di «uomini d'onore», è stato arrestato il 6 settembre del 1992. Pietro Agi ieri. Latitante dall'89, è considerato il killer delle cosche, responsabile di almeno 20 delitti, tra cui quello di Salvo Lima. Bernardo Provenzano. Cresciuto all'ombra del Padrino Luciano Liggio, latitante da venti anni.

Luoghi citati: Catania, Falcone, Palermo, San Giuseppe Jato, Sicilia, Siculiana, Veneto