La «bufala d'acqua» incendia il campus

il caso. Epiteto yiddish o molestia razzista? Confronto-scontro alla Pennsylvania University il caso. Epiteto yiddish o molestia razzista? Confronto-scontro alla Pennsylvania University La «bufala d'acqua» incendia il campus WASHINGTON DAL NOSTRO CORRISPONDENTE A che razza appartiene una bufala? Anzi, la domanda precisa è: la bufala è di razza bianca o di razza nera? La risposta «razza bovina» non è quindi pertinente. Bisogna stare in tema, sapendo che è in gioco l'espulsione di un giovane di 18 anni dall'Università della Pennsylvania e che la discussione ha già provocato seri disordini nel campus. Inoltre il preside, candidato da Bill Clinton alla direzione del «National Endowment for Humanities», rischia di veder sfumare la nomina sotto il fuoco di feroci attacchi, esplosi da destra e da sinistra su New York Times, Washington Post, Wall Street Journal, Village Voice e televisioni varie. Hillary Clinton, che terrà oggi un discorso nell'aula magna dell'Università per la fine dell'anno accademico, si troverà nella scomoda posizione di chi deve tentare un tuffo in un pentolone di acqua bollente senza scottarsi. Arroventata dal fuoco del «politically correct», la bufala scotta. Attorno alla mezzanotte del 13 gennaio, il giovane Eden Jacobowitz, volonterosa matricola appena giunta da Lawrence, Long Island, stava lavorando sodo su un'esercitazione scritta di inglese nella sua stanza al sesto piano dell'ala High Rise North del campus. Da sotto, sempre più forti, provenivano urla, schiamazzi, strofe cantate a squarciagola, incitamenti tipo «woo, woo, woo». Un chiasso d'inferno. Eden regge una ventina di minuti poi va alla finestra e intima «Shut up», silenzio, a una dozzina di studentesse. Da altre finestre, altri studenti lanciano le loro proteste. Acqua sui vetri, la gazzarra continua, anzi si intensifica. Eden, allora, perde la pazienza, torna al davanzale e spara secco un: «Ma fatela finita, bufale d'acqua». E le ragazze, di rimando: «Ma non rompere, noi stiamo cercando una festa, andiamo a divertirci». E Eden: «Allora, se cercate una festa, c'è uno zoo a un miglio di qui». Fine della scena. Le ragazze, tutte di colore, rimuginano su quel «bufale d'acqua» l'intera notte. Il giorno dopo vanno alla polizia e denunciano di essere state oggetto di offese razziste. Dicono che alcuni studenti, dalle finestre, si sono spinti a urlare loro epiteti offensivi fino all'irripetibile «Fanc..., nere!». Ma, soprattutto, appaiono risentite per quell'inaccettabile «bufale d'acqua». Interrogati dalla polizia, tutti gli studenti sospettati negano di aver urlato alcunché alle ragazze. Eden no. Si fa avanti e rende la sua spontanea deposizione alla polizia. Eden è un ebreo ortodosso, nato in Israele, padrone della lingua dei suoi padri. «Sì, certo racconta -, ho urlato loro "bufa- Le raa gioE necorr le d'acqua". Ma che c'entra con il razzismo?». E spiega che, nella sua lingua, quell'espressione è un epiteto neppure tanto offensivo per dire «tonto, fesso». Una consultazione del diziona- rio yiddish conferma che «behayma» significa letteralmente «bufala» e, per traslato, sciocco, ottuso. Ma, alla Pennsylvania University, il «politicamente corretto» è stato codificato in termini molto severi e ogni più piccolo sospetto di indulgenza verso espressioni e comportamenti razzisti o sessisti viene punito con inflessibilità. Nonostante tutti i professori di colore dell'Università am¬ mettano che le «bufale» non hanno nulla che vedere con il razzismo, Eden viene deferito all'Ufficio Inchieste Giudiziarie del campus, che delibera in marzo: «Esiste il ragionevole sospetto che i codici di molestia razzista vigenti nell'Università siano stati violati». Il preside, Sheldon Hackney, di formazione culturale particolarmente «liberal» - noto per aver difeso, in nome della libertà d'espressione, una mostra fotografica di Robert Mapplethorpe nel campus, in cui comparivano immagini di fruste infilate nell'ano dell'artista - trova che, in questo caso, «è bene che le cose abbiano il loro corso». L'Ufficio di Indagine, nel frattempo, offre a Eden un compromesso: si scusi con le ragazze, ammettendo di averle offese con molestie razziste. Accetti anche che il mantenimento del suo posto letto nel campo sia legato al non ripetersi di simili episodi. Va da sé che future violazioni comporterebbero l'espulsione e il tutto rimarrebbe, beninteso, nel curriculum dello studente. Eden rifiuta «il compromesso». Viene allora fissata un'udienza per la determinazione di uno stato di colpa per la fine di aprile, il 26. Ma pochi giorni prima, il 15, le tensioni razziali che covano nel campus esplodono in una forma ancora più clamorosa. Un gruppo di studenti neri fa irruzione nella dede del Daily Penhsylyanian, il giornale del campus, e bruciano le 14 mila copie di cui si sono impadroniti. Sono schiumanti di rabbia perché il giornale ospita l'opinione di uno studente, Gregory Pavlik, che critica la politica delle «quote garantite per le minoranze» e la filosofia dell'«azione affermativa» appoggiata da Martin Luther King. E' un'opinione, quella di Pavlik, e Hackney riconosce che «non vi possono essere compromessi nella difesa del Primo Emendamento, che garantisce la libertà di espressione». Però, con salomonica equanimità che assomi¬ Ma l«Nonho illa lin glia molto all'esecrato compromesso, aggiunge che «allo stesso tempo non si può ignorare la pena che una libera espressione può causare». Anche se le indagini continuano, non vengono presi provvedimenti contro i giovani di colore rei dell'assalto al giornale. Eden, invece, che non era stato giudicato il 26 aprile proprio per i disordini esplosi il 15, è stato finalmente ascoltato venerdì scorso. Tra dieci giorni ci sarà il pronunciamento finale, ma Eden sostiene di aver avuto la netta impressione che, secondo l'Ufficio, il caso non potrà essere archiviato. Del resto, anche Eden preferisce un regolare processo. Cose del genere, anche molto più gravi, stanno succedendo in quasi tutte le università americane, dove la filosofia del «politicamente corretto» suggerisce di risarcire colpe passate, lo schiavismo e la discriminazione, con colpi di barra nella direzione diametralmente opposta. Se gli studenti neri rifiutano di accettare un bianco al loro tavolone «ricerca di identità». Se lo accusato spiega: è un'offesa, diritto di usare gua dei miei avi» fanno i bianchi è razzismo. Stephen Glass, redattore bianco del Daily Pennsylvanian, sostiene che il preside Hackney e quelli come lui «sono prontissimi a difendere la libertà d'espressione quando gli attacchi vengono da destra, mentre non reagiscono quando vengono da sinistra». Ma Glass ha torto: può esistere una libertà di destra e una di sinistra? Paolo Passarini Uno studente ebreo apostrofa le compagne di colore e finisce nei guai Le ragazze lo denunciano, a giorni il «processo». E nel nome del «politically correct» sale la tensione Ma l'accusato spiega: «Non è un'offesa, ho il diritto di usare la lingua dei miei avi» Uno studente di colore impegnato a studiare nella sua camera in un campus americano. In basso una ragazza nera con l'immagine di Martin Luther King sulla maglietta e la scritta «lo ho un sogno» Qui a lato Martin Luther King: uno studente della Pennsylvania University, sul giornale del campus, ha criticate la sua filosofia delibazione affermativa» e la politica delle «quote garantite per le minoranze». A destra Hillary Clinton: oggi, per la fine dell'anno accademico, parlerà nell'aula magna dell'università in fiamme

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