Bosnia un voto per rilanciare la guerra di Foto Reuter
Mentre i riflettori sono puntati sulle urne, le milizie serbe preparano una nuova offensiva Mentre i riflettori sono puntati sulle urne, le milizie serbe preparano una nuova offensiva Bosnia, un voto per rilanciare la guerra Abbattute le moschee di Banja Luka Nuova tregua tra federali e croati BELGRADO DAL NOSTRO INVIATO Fino a ieri, definendo un plebiscito condizionato da minacce e paura si usava dire «voto bulgaro»: da oggi si potrà tranquillamente parlare di «referendum bosniaco». Le urne si sono chiuse, come previsto, intomo alle 19, la vittoria del «no» al piano di pace è, come previsto, schiacciante. Ma ufficialmente, il referendum non si è ancora concluso: all'ultimo istante, l'irriducibile ridotta bosniaca ha deciso di aprire le consultazioni anche ai «fratelli» fuggiti altrove. Questa farsa prevede dunque oggi un'appendice in tre seggi aperti a Belgrado ed in altrettanti organizzati in fretta a Podgorica, Niksic ed Herceg Novi, in Montenegro. Forse, egualmente prevedibile era il fatto che mentre i riflettori si puntavano su seggi ed urne, i serbo-bosniaci profittassero dei coni d'ombra per preparare le condizioni di una nuova offensiva. Bisognava esser ciechi ieri, girando intorno alle foreste di Semberija e Majevica, per non accorgersi dei movimenti di truppe, per non immaginare quanto sta per verificarsi. Raccogliere nei villaggi di Bosnia le ultime eco di un rifiuto annunciato, ieri significava muoversi attraverso un continuo sferragliare di cingoli, un'ininterrotta «ridislocazione» di truppe speciali e un'eco di boati che può avere solo un significa- to: per i musulmani del «capitano Hairo» si preparano tempi cupi. Sono arrivate le «pantere» del «comandante Mauser». In questa catena di massacri organizzati, i nomi di battaglia dei capibanda possono far sorridere: eppure vi assicuriamo che non c'era nulla da ridere, ieri, nell'osservare armamento ed espressioni delle «pantere», reparto d'assalto del Corpo Bosniaco Orientale. Sono almeno mille gli uomini che hanno preso a convergere nella zona di Brcko, a ridosso della frontiera con la Serbia, «coperti»* da una sezione di carri armati T-55. Proprio lì, i musulmani sono tornati all'attacco ieri, bombardando i quar¬ tieri periferici di Disdaruca, Rjeke, Suljagika. Nell'area che, con quella di Mostar, sta vivendo i combattimenti più furiosi, i serbi di Bosnia si apprestano ad un'offensiva che dovrebbe mettere a tacere i «mujaheddin». Quando, fra due giorni almeno, lo pseudoparlamento di Pale renderà note al mondo le proporzioni del «no» al piano Vance-Owen, probabilmente noi staremo qui a raccontare di altre azioni di guerra, nuove avanzate, a descrivere l'ennesimo macello. Può sembrare un paradosso, ma anche le «azioni umanitarie» dell'Onu hanno favorito un nuovo divampare delle ostilità. E' un dato di fatto. Grazie al¬ l'intervento dei «caschi blu» a Zepa e Sebrenica, le fanterie serbobosniache e quelle musulmane hanno potuto recuperare ad altri impieghi unità preziose. La «smilitarizzazione» di due città è indirettamente servita aU'ipermilitarizzazione di altre. I giornali e la tv di Belgrado, ieri, relegavano le notizie sul referendum di Serbia in settima pagina, e i «servizi» quasi in chiusura dei telegiornali. Poche righe per far sapere che in Bosnia ed Erzegovina ha votato più dell'ottanta per cento degli aventi diritto (ma quanti erano, ad avere diritto al voto?) e che secondo le prime indiscrezioni il «no» si colloca fra il settanta e l'ottanta per cento del¬ le schede. Ammesso che davvero al referendum abbiano partecipato i 730 mila serbo-bosniaci che si sostiene restino nell'area, il rifiuto che rischia di innescare una guerra sanguinosa sarebbe stato espresso da poco più di mezzo milione di persone, la po¬ polazione di una città. Quanto alla regolarità delle operazioni, può bastare un dettaglio: ci sono serbo-bosniaci che hanno votato via fax da Stati Uniti ed Australia. A Banja Luka, dinanzi ad ogni seggio faceva bella mostra di sé un manifesto che mostrava un orri- do musulmano intento a calpestare un serbo, con tanto di babbuccia premuta sulla testa. Proprio da Banja Luka, giungono notizie che possono solo incendiare rabbia e frustrazione dei musulmani. Le moschee di Ferhad Pasha e di Arnàudja, quelle distrutte da cariche esplosive qualche settimana fa, non esistono più: nel senso che non esistono più neanche i ruderi. «Hanno portato via anche le pietre: avremmo voluto ricostruirle, e le autorità serbe dicono di voler spianare quelle aree per costruire dei parcheggi». Il lamento arriva da Ibrahim Halilovic, il «muftì» della città che era sacra ai musulmani di Bosnia. E' incredibile pensare, continua, che la moschea di Ferhad Pasha, già monumento protetto dall'Unesco, dopo aver resistito per 414 anni a invasioni e terremoti adesso possa essere annientata. Per i musulmani le cose non stanno mettendosi troppo bene. Ieri, poco dopo le sedici, alla presenza del comandante in Bosnia dei «caschi blu», Philippe Morillon, Ratko Mladic, comandante in capo dell'Armata serbo-bosniaca e Milivoj Petkovic, capo delle operazioni croate sul fronte, hanno siglato un «cessate il fuoco» che dovrebbe scattare dal mezzogiorno di domani, e questa volta ha qualche probabilità di venire rispettato- Giuseppe Zaccaria Miliziani serbi a Brcko con una bandiera strappata ai musulmani [FOTO REUTER]
Persone citate: Giuseppe Zaccaria, Ibrahim Halilovic, Mauser, Pasha, Petkovic, Philippe Morillon, Ratko Mladic
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