L'utopia del mensile che aveva in Rosai la sua guida spirituale di Oreste Del Buono

L'utopia del mensile che aveva in Rosai la sua guida spirituale L'utopia del mensile che aveva in Rosai la sua guida spirituale go al risentimento antiborghese. Nel riassumere il fascismo come rivoluzione nazionale, operava un distinguo severo tra fascismo imborghesito, il regime che si andava di giorno in giorno sempre più consolidando, e il fascismo ancora non corrotto dalla pigrizia e dalla sazietà, in grado forse di reagire ancora. C'era un'indubbia concordanza superficiale tra lo sfogo di Berto Ricci e la becera contemporanea campagna di Mino Maccari scatenato a risalire alle origini contro il dilagare nel Paese dell'americanismo, l'ihfrollimento dei gerarchi, la superfluità dei parlamentari, la mancanza di un vero stile fascista nella vita e nella stampa che lo riproduceva, senza una protesta, un richiamo all'ordine. Un'indubbia concordanza ma solo superficiale: nel profondo, infatti, Berto Ricci andava per conto suo, e si ritrovava solo con anime inquiete come la sua. La scelta di Ottone Rosai come esempio, maestro, oracolo di riferimento era stata dettata da ammirazione per la sua arte tragica e solenne, la sua grandezza di pittore d'altri tempi e del futuro e l'affetto per la sua solitudine, la sua diversità umana, la sua sensibilità a rischio, ma non era stata del tutto sincera. In realtà, la figura ideale che Berto Ricci sognava era quella di Giosuè Carducci, l'ultimo poeta civile italiano, ma anche il professore che aveva aperto il suo interesse alla cultura contemporanea, alla cultura non solo dell'Italia, ma dell'Europa e oltre. Non è facile stabilire anche qualche possibilità di confronto tra Giosuè Carducci e Ottone Rosai, ma Berto Ricci era coerentissimo nelle sue contraddizioni, anche quando non riscuoteva il consenso di chi aveva più vicino. A esempio, Dino Garrone che insieme con Edoardo Persico aveva collaborato attivamente al catalogo della mostra di Ottone Rosai a Milano nel 1930, Dino Garrone scriveva da Parigi a Luigi Bartolini: «Ricci si è intestato sulla polemica politica. Egli non approderà a nulla, mangerà dei rospi, e dovrà convincersi di aver sprecato il tempo. Poi, io non amo Carducci e tanto meno la polemica carducciana...». Ma Berto Ricci non si scoraggiava facilmente neppure quando incappava nella diffidenza del regime. Figurarsi se avrebbe potuto fargli cambiare idea un amico. Racconta Romano Bilenchi che L'Universale era restato subito sullo stomaco del questore per poche righe: «Mentre nella nuova Italia alcuni, non sappiamo con quanto senso di responsabilità e di opportunità, smerciano le solite vecchie noiose dicerie sul conto della nuova Russia, la nave rompighiaccio sovietica Malyghin cerca gli avanzi del dirigibile di Nobile. Un po' di cavalleria da parte italiana non guasterebbe...». . Poi il ministero dell'Interno incaricò il questore di diffidare Berto Ricci dallo schernire economica che toccava il mondo intero, la crisi contemporanea dei tre pilastri della civiltà occidentale, nazionalismo, capitalismo e cristianesimo, ma anche l'attesa e la proclamazione intemperante del fascismo come soluzione estrema in grado di guidare un moto cosmopolita. Il Manifesto realista, nel suo megalomane e candido slancio verso una nuova società basata sulla limitazione qualitativa e quantitativa del diritto di proprietà e una ferrea subordinazione degli interessi privati all'interesse dello Stato, allarmò maggiormente la questura di Firenze e Berto Ricci e qualcuno dei suoi sognatori di un fascismo più giusto, illuminato e responsabile furono convocati dal prefetto Maggioni che s'informò, a nome di «personalità ben più importanti di lui», se, dopo quel Manifesto che suscitava tante polemiche, avessero intenzione di fondare un partito. Se fosse possibile, «dichiarò il professore di matematica con calma e determinazione, lo Berlo Ricci; a sinistra «Il Selvaggio» la rivista di Maccari; sotto, «Via San Leonurdo» di Rosai (1942) l'accademico d'Italia Ugo Ojetti, altrimenti detto Ugo Senza Sugo, o gli altri che si lamentavano per le polemiche dell'Universale e due poliziotti presero l'abitudine di soggiornare nella tipografia «La Poligrafica», dove veniva stampato il periodico e nell'altra tipografia in cui successivamente venne stampato. Tutto il giorno erano intenti a frugare tra i manoscritti, a leggere le bozze e a vigilare che Berto Ricci non includesse nel numero in stampa un qualche articolo scritto all'ultimo momento. E poi tutto peggiorò quando sul numero del 10 gennaio 1933 Berto Ricci pubblicò il suo Manifesto realista. Il più organico tentativo compiuto per raccogliere e sintetizzare in un'esauriente stesura le emozioni e le conclusioni di due anni di speculazione politica a mezzo stampa: non solo una identificazione del cambiamento dell'Italia da Paese agricolo a Paese industriale nel contesto della crisi faremmo volentieri». Così un giorno a tutti quelli che scrivevano sull'Universale arrivò l'invito, diciamo pure la convocazione, a Roma da Mussolini che voleva conoscerli. A tutti e tredici i collaboratori, tranne che a Ottone Rosai. Berto Ricci non sapeva capire quella mancata convocazione, toccò a Galeazzo Ciano spiegare a quelli dell' Universale che non era stata una dimenticanza, era stato Mussolini stesso a non voler Ottone Rosai che non gli era simpatico per più d'una ragione: era stato un valoroso combattente, ma aveva scritto poi un libro contro la guerra, si era comportato come il più fanatico antifascista dopo il delitto Matteotti, si era fatto ritirare la tessera del partito, e la sua pittura era protestataria e anarchica. Per protesta Berto Ricci e Romano Bilenchi non avrebbero voluto rispondere alla convocazione. Ma fu Ottone Rosai stesso a dissuaderli. «Fareste del male anche a me - disse -, e non poco». A lui non interessava più parlare con Mussolini che, prima aveva tradito i socialisti, poi i fascisti. A Roma Mussolini li lodò, dicendo che la rivoluzione avrebbe dovuto proseguire a sinistra come loro desideravano. Ma Romano Bilenchi non si lasciò tanto convincere, cominciava a sospettare di essere caduto in una trappola. Aveva firmato, anche se in disaccordo con Berto Ricci su più punti, il Manifesto realista, insieme con Giorgio Bertolini, Diano Brocchi, Gioacchino Contri, Alfio Del Guercio, Alberto Luchini, Roberto Pavese, Icilio Petrone, Edgardo Sulis, Mario Tinti, Edoardo Persico, ma gli pareva di perder tempo e che, a forza di parlare della questione dei giovani, di come avrebbero dovuto comportarsi loro, da giovani, stessero rovinando anche il minimo straccio di gioventù. Del resto, erano ancora giovani? Lui era del 1905 come Berto Ricci, Gioacchino Contri era del 1902, Edoardo Persico era del 1900, non dovevano ormai esser giudicati della generazione di mezzo? Dino Garrone, del 1904, se n'era già morto a Parigi- Sopravvenne la guerra d'Etiopia. Berto Ricci partì frettolosamente volontario. «Cominciavo, pur rimanendo intatta la nostra amicizia, a non essere d'accordo con lui su troppi problemi politici», racconta Romano Bilenchi in Amici. «Nonostante questo aveva voluto affidarmi L'Universale e gli avevo promesso che l'avrei portato avanti con le sue idee, come se lui fosse sempre a Firenze e che non ci avrei messo nulla di mio...». Anche se avesse voluto, non avrebbe potuto metterci nulla di suo. Romano Bilenchi seppe presto che il giornale doveva chiudere. Quegli anni prima dello scoppio della seconda guerra mondiale sono tutta una successione di paradossi sconcertanti. Mussolini, ascendendo al culmine del consenso, si trovava a fronteggiare quella che gli informatori della polizia definivano una «strana agitazione». Come in passato aveva favorito e protetto l'apertura ai gio-. vani, lasciandogli un certo margine di eresia, ora decise di dare una stretta di freni. La stretta di freni che segnò la fine de L'Universale, non riguardò solo i giovani e il fascismo di sinistra, ma colpì con imparzialità anche gruppi di anziani e il fascismo per così dire delle origini. Insieme con il consenso arrivava la paura di perderli. «In un momento in cui molti fascisti - convinti di essere dei precursori che, in un periodo di transizione tendevano a creare un ordine nuovo nel mondo dello spirito e nella concreta realtà politica, economica e sociale - erano pronti alla lotta purché questa ne valesse veramente la pena, cioè potesse condurre a un rinnovamento del fascismo e della società italiana, ed erano convinti di essere pienamente in grado di realizzare da veri fascisti la propria disci plina nella propria libertà, ma - al tempo stesso - si ribellava no nel proprio intimo (un po' consapevolmente, un po' esteticamente) ai formalismi, alla grettezza del fascismo e all'im periosità e alla sicumera della sua propaganda, in questo momento così delicato, la decisio ne di Mussolini di bloccare ogni discussione e di ridurre tutto al "credere, obbedire e combattere" provocò nella maggioranza di questi giovani una crisi gravissima...», scrive Renzo De Felice in Mussolini il duce. Gli anni del consenso 1929-1936, editore Einaudi, 1974. Berto Ricci, reduce dalla guerra d'Etiopia, sarebbe sopravvissuto sino al momento di riprender la via dell'Africa, volontario a perdere, nella se conda guerra mondiale. Oreste del Buono