Zola e il mistero della carbonella; idee risparmiose per la sanità di A. S.

Fare la spia lettere AL GIORNALE Zola e il mistero della carbonella; idee risparmiose per la sanità Le antenne dell'anima vedono il futuro Quel titolo dato alla recensione pubblicata da «Tuttolibri» 850, «Uno Zola tutto in nero», mi dà l'opportunità di ricordare un caso misterioso che si collega alla morte dello scrittore francese, fatalmente causata dalle esalazioni di un braciere a carbonella. Non per nulla Vincenzo Gioberti, noto più come uomo di Stato, come cultore di occultismo ebbe a dire: «Ciò che distingue i fenomeni misteriosi dalla illusione è la regolarità di quelli e la stranezza di questa». Ma, nella fattispecie, la stranezza sta in questo: Umberto Fracchia, fondatore e direttore de La fiera letteraria, poi L'Italia letteraria, una sera d'inverno del 1930 discuteva a Roma con un amico critico letterario del suo romanzo La stella del Nord, dato alle stampe proprio allora, quando, inopinatamente, egli tirò in ballo Emile Zola a motivo di quella morte tragica. Come d'abitudine, quella sera, il Fracchia rimase a lavorare nel suo studio, riscaldato da una stufa a carbonella. All'alba fu trovato morto, appunto, per asfissia. A detta di Goethe, un altro personaggio che sapeva di spiritismo, noi possiamo estendere le antenne della nostra anima al di là dei limiti corporei e avere un presentimento, anzi una visione del futuro immediato. Angelo Giumento, Palermo :<E' la donna l'uomo mancato» Rispondo all'anonima lettrice ventitreenne di Torino, la quale ha affermato che l'uomo è una donna mancata. Direi piuttosto che è la donna un uomo mancato, dal momento che è l'uomo che si dimostra più bravo e più forte in quasi tutti i campi. Non è forse l'uomo l'artefice principale del progresso, ieri e oggi? Non a caso la sociologa femminista Camille Paglia ha scritto che «se la civilizzazione fosse lasciata in mano alla donna vivremmo ancora in capanne». Alberto Germani Sant'Albano Stura (Cuneo) Ammalati gratis solo 16 volte l'anno Ho letto sul giornale del 25/4/93 le affermazioni dell'ex ministro della Sanità Costa, che effettuò blitz negli ospedali e che «non potè» risolvere i mille problemi della sanità, bensì solo esercitare funzioni di «pungolo»! Ho sorriso di fronte a tanta demagogia: le sue, pur lecite, visite non servono a cambiare la scadente assistenza sanitaria. Il suo collega De Lorenzo (ora collezionista di avvisi di garanzia) ha quasi demolito la sanità pubblica, ha emarginato il ceto medio, i meno abbienti e i malati (quelli in regola con le tasse) autorizzandoli per legge ad ammalarsi solo 16 volte l'anno gratis, coi bollini, a pagare 85.000 lire, ecc.: ha rappresentato il più lampante esempio di stupidità politica, arroganza, cinismo e disprezzo per gli anziani e i più deboli. Il neoministro on. Garavaglia oggi dovrebbe rimediare alle troppe iniquità dei predecessori. Dovrebbe ad esempio subito abolire l'autocertificazione, le 85.000 lue per il medico, ed i vergognosi bollini, indegni di un Paese civile; poi (magari seguendo qualche umile suggerimento sindacale...) programmare più correttamente le risorse, garantendo efficienza e cortesia negli ospedali, con reali controlli sulla produttività, rinnovando gli organici col personale necessario, aggiornato e ben retribuito a tempo pieno, facendo funzionare ovunque, 7 giorni su 7, 24 ore su 24, tutte le strutture sanitarie, eliminando le costose ed inutili convenzioni coi privati, riducendo le spese superflue (non con assurdi tickets, ma togliendo dal Prontuario i farmaci inutili), introducendo i centri di costo, e premiando i dipendenti che for- mulano proposte risparmiose e utili, rinnovando i dirigenti. La Uil Sanità difenderà il diritto di tutti i cittadini ad avere una assistenza pubblica funzionale e senza sprechi, e si batterà contro il D.L. 438 e il D.L. 502, contro la privatizzazione selvaggia della sanità. Al nuovo ministro* diciamo di non perdere tempo con inutili blitz, ma di difendere con forza il Servizio sanitario nazionale per tutti i cittadini, dal Nord al Sud, dimostrando nei fatti umanità, rispetto e solidarietà, valori in cui crede fortunatamente anche l'on. Garavaglia. Luciano Bora Segr. Uil Sanità prov. di Biella Morire non è peccato ma viviamo con dignità La gentile lettrice Maria Ferro è autrice di un toccante elogio alla morte che per lei è «il più gran bene». Deve essere indicibilmente triste guardare alla vita desiderando di trasformarla in un cimitero nel quale «scampare» alle delusioni ed amarezze della quotidianità! Morire non è peccato in quanto è la fine naturale che sin dalla nascita, ma è diabolico rifiutare il vivere che è senz'altro sofferenza temperata, però, da esaltazione, sfida e competizione. Lo spirito di conservazione che la lettrice definisce animalesco appare tale solo a chi è preda di primordiale sconforto, mentre è ferrea volontà per i miliardi di individui che lottano per sopravvivere. Le ragioni che inducono le persone a desiderare la morte sono da considerare con il massimo rispetto perché rispecchiano autentico travaglio interiore, tuttavia l'atto del suicidio è resa e sconfitta totale. Per questo motivo respingo al mittente l'inno all'autodistruzione elevato da Ferro in quanto stonato, poco esemplare e anche perché è il canto dei perdenti per scelta. Se destino vuole che la morte ghermisca, ineluttabilmente, questo nostro corpo, che ciò avvenga mai concedendo ad essa alcuna opportunità perché al suo strapotere noi altro non possiamo opporre che la dignità dell'essere che proviene dal conservarci vivi e reattivi sino all'ultimo istante che ci viene concesso. Emilio Barbini, Torino E 68 anni di Carlo Lavezzari Leggo con sorpresa e incredulità le affermazioni e i giudizi sul mio conto di Alberto Staterà, nell'articolo «Nobili, più curato che cardinale». A parte il tono e la mancanza di rispetto verso le sofferenze di chi finisce in carcere (non mi pare abbiate usato lo stesso «trattamento» per i manager Fiat entrati a San Vittore...) voglio precisare: 1) Io non sono andato «a rallegrare la compagnia, che sembra un pollaio». Nel periodo della mia presidenza delTlritecna ri¬ petuti, accesi.e sostanziali sono stati gli scontri e i motivi di contrasto con Mario Lupo vicepresidente operativo con pieni poteri (Piano strategico operativo da lui ideato) e con Massimo Pini comitatista Iri. 2) Non sono ultrasettantenne ma, essendo nato il 2 agosto 1924 ho «soltanto» 68 anni. 3) Il fatto che non sia «un po' svanito» è dimostrato, ad esempio, dai ripetuti contatti con me del dr. Cesare Romiti, con il quale fino ad un paio di anni fa c'era un rapporto di amicizia, che ha inutilmente cercato di convincermi negli anni scorsi, direttamente o attraverso altre persone, a rivedere la mia posizione contraria al sistema ferroviario ad alta velocità. 4) La mia attività imprenditoriale e l'esattezza del mio comportamento, oltreché la coerenza del mio impegno professionale, sono dimostrate dal fatto che ho lasciato l'Iritecna, dimettendomi, piuttosto che condividere scelte che ritengo sbagliate e assurde. Voglio infine ricordare la grande fortuna che ho avuto nella mia vita: essere nato poverissimo. La mia esistenza è stata costellata di difficoltà e da grandi tragedie, come quella di veder uccidere durante la guerra da quattro partigiani di formazione comunista mia madre, tre fratelli, la nonna e di avere il nonno fucilato dalle SS. Io riportai terribili ferite, certo più dolorose di quelle procurate dalle vostre ironiche insinuazioni. Chiudo con una notizia: sarà mia premura inviare copia della presente al Procuratore capo di Milano, dr. Francesco Saverio Borrelli, e fornire allo stesso spontaneamente e compiutamente ogni informazione relative al periodo della mia presidenza all'Iritecna. Carlo Lavezzari, Milano Prendo atto volentieri che il cavaliere del lavoro Carlo Lavezzari ha soltanto 68 anni. [a. s.]

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