Bancarotta culturale ? Cerchiamo il colpevole di Marco Neirotti
discussioni. La denuncia di Romano: intervengono Strada, Luzi, Branca, Volponi discussioni. La denuncia di Romano: intervengono Strada, Luzi, Branca, Volponi Bancarotta culturale? Cerchiamo il colpevole EHE succede quando si applicano alla cultura le regole rigorose dell'economia? quando si interpretano letteratura, cinema, teatro, arte, architettura e i loro ruoli sulla base di «profitti» e «perdite», anche se più morali che pratici? Sergio Romano l'ha fatto ieri sulla prima pagina della Stampa. E il bilancio del nostro import-export culturale è tragico: salvo qualche «voce attiva» - eccezioni come Eco, Pavarotti o Piano -, la presenza italiana all'estero si è appiattita. Di chi la colpa? «Credo - rispondeva Romano - che sia dei partiti e che tale constatazione rafforzi la tesi di Giuliano Amato sulla continuità tra lo Stato fascista e i partiti-Stato». Da un committente unico - il partito di Mussolini - a una frammentazione di committenti circondati da cortigiani pronti a ricevere risorse distribuite a «pioggia». E precisava: «Tutta colpa della partitocrazia? No, la colpa è anche dell' "intendenza" intellettuale che essa ha reclutato e alimentato». Per concludere: «Se usciran-, no di scena i cattivi prìncipi, dovranno andarsene anche i loro mediocri cortigiani intellettuali. E la bilancia culturale tornerà "in nero"». L'accusa è grave, la discussione inevitabile. Vittore Branca, uno degli italianisti più stimati all'estero, si ripromette di rispondere più ampiamente nei prossimi giorni. Ma anticipa una perplessità: «Non condivido il criterio: non si può misurare il bilancio attivo di una cultura come quella italiana soltanto in termini economici. Pensiamo all'influenza che ha avuto Croce nel mondo: non è misurabile così. Pensiamo anche a fatti recenti, come la nomina di Settis a direttore del Ghetty's Center di Los Angeles, al moltiplicarsi di cattedre di italianistica nel mondo». Ma il male denunciato da Romano è un dato di fatto. Lo slavista Vittorio Strada, direttore dell'Istituto di Cultura italiana a Mosca, non ha dubbi: «E' vero, la nostra cultura non ha un ruolo centrale, una presenza e un'influenza pari a quella di altri Paesi, come in questo momento Francia e Germania. La cortigianeria, più che la causa di questa secondarietà, è la manifestazione». E rilegge la situazione attuale d'Italia attraverso la sua storia politica, sociale e culturale: «Questo è l'effetto di una situazione precisa: una democrazia anomala, con una corruzione ben più forte di quella intrinseca in ogni democrazia, con una corruzione etico-intellettuale soprattutto verso una sinistra egemone. Da qui viene la nostra povertà nel panorama delle culture europee. Insomma, una demo- crazia inceppata, con in più il peso dell'eredità fascista». «Il Fascio ci aveva chiusi in una provincia», gli fa eco Paolo Volponi. Ma secondo lo scrittore il bilancio non è così cupo: «La nostra presenza è scarna, certamente, ma non moltissimo. Ci sono negli Usa, in molte università, pregevoli corsi di italiano tenuti da docenti prim'ordine anche americani e di altre nazionalità. Esiste anche un'associazione di docenti d'italiano forte, vivace, che ha rapporti con riviste, scrittori». Volponi concorda con Romano sulle colpe pubbliche di oggi: «La Repubblica non ha fatto molto per i problemi culturali, dentro e fuori dell'Italia». E chiama in causa anche la diplomazia: «Romano è stato un ambasciatore importante e conosce quell'ambiente. Quanto i suoi colleghi si sono adoperati per andare al di là della rappresentanza?» Politica della valorizzazione assente, appoggio alla forza naturale di una cultura: in questo manca lo Stato secondo il poeta Mario Luzi, che è però prudente sulla promozione dei nostri talenti. «In effetti il nome italiano non è di grande clamore - ammette Luzi -. Ma in realtà una presenza seria nei vari campi possiamo averla. D'altra parte l'irradiazione di una cultura ha bisogno, oltre che della forza propulsiva propria, anche di questi mezzi intermedi, dei messaggeri, che di sicuro il mondo politico non dà, o dà male. Posso citare serenamente, senza polemiche, iniziative bloccate dalla burocrazia, dal grigiore politico, amministrativo, dai clientelismi. In questo Romano ha perfettamente ragione. E lui conoscerà senz'altro i limiti delle facoltà di manovra nelle relazioni con l'estero». Ma il poeta spezza una lancia a favore di almeno una faccia del silenzio: «Il misconoscimento è un conto, vengono fuori ruggini, malumori, ma la "mancanza di scena" non è negativa. Abbiamo esempi di gonfiamenti, ne abbiamo vicini a noi, qui in casa, fuochi di paglia, cose stagionali, bufale. Teniamoci cari i campi del nostro conoscere che contano, che sono riconosciuti anche se non enfatizzati». Marco Neirotti Prigionieri di una democrazia inceppata "M Sergio Romano e nell'incisione un monumento di Roma antica. A sinistra il poeta Mario Luzi Lo scrittore Paolo Volponi. A sinistra lo slavista Vittorio Strada direttore dell'Istituto italiano di cultura a Mosca
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