Appalti a Como Buzzi in manette

Il capogruppo pds alla Regione Lombardia avrebbe preso 40 milioni Il capogruppo pds alla Regione Lombardia avrebbe preso 40 milioni Appalti a Como, Buzzi in manette Calvi diede 150 miliardi a Ortolani MILANO. In via Volturno, nella sede della federazione provinciale del pds. Le tangenti le incassava lì, quando il partito si chiamava pei, Gianstefano Buzzi, fino a 48 ore fa capogruppo alla Regione Lombardia, da 24 ore cella singola a San Vittore. Il pidiessino è accusato di concussione per aver intascato 40 milioni sugli appalti per il teleriscaldamento a Como. Era nell'aria, questo arresto, che fa nuovamente tremare la Quercia. Tanto che Buzzi giovedì era stato interrogato, nella veste di indagato, dai magistrati comaschi che indagano sulle mazzette per il teleriscaldamento. Un colloquio di poche ore, sufficienti però a far capire a Buzzi che per lui tirava aria grama. Da qui la scelta di dimettersi dall'incarico. Ieri, poi, la mazzata. Bussano all'alba i carabinieri, in mano hanno il biglietto d'andata per il carcere. Niente Bassone a Como, però. San Vittore, dove da tempo c'è Primo Greganti. E poche celle più in là Renato Pollini. Secondo l'accusa Buzzi nell'88 ha intascato due bustarelle, con 20 milioni l'una, dall'imprenditore Ottavio Pisante e dalla azienda Comocalor. Buste prese addirittura nella sede provinciale del pei a Milano. Da qui l'operazione dei magistrati milanesi, competenti per territorio. Ma il difensore di Buzzi Gianfranco Maris protesta. «E'è la riprova che la magistratura milanese opera in chiave politica contro il pds dice -. La procura di Como aveva avviato già dal 1991 un'inchiesta sul teleriscaldamento. Quando Buzzi ha saputo che c'era il suo nome si è presentato dal procuratore di Como e ha dichiarato di non aver mai preso una lira. Contemporaneamente però a Milano si è aperta una indagine perchè il consulente del lavoro Sattin, notoriamente un uomo di Ottavio Pisante, dice di aver ricevuto del denaro da Pisante e di averlo portato a Como a un dirigente de e che questi gli avrebbe dato una busta per Buzzi. Ma Buzzi ha già negato tutto». Stesso carcere, altro «braccio», altra cella. L'ex re delle acque minerali e quasi ex presidente della Roma calcio Giuseppe Ciarrapico ha ieri avuto il suo primo faccia a faccia con i magistrati dopo il se- condo mandato di cattura che gli ha aperto le porte di San Vittore. Due ore, l'interrogatorio. Due ore in cui Ciarrapico ha dovuto difendersi dall'accusa di avere intascato dall'Asst (telefoni di Stato) un miliardo «in nero». Soldi poi dati alla de, secondo l'accusa. E per questo un avviso di garanzia è finito a Paolo Cirino Pomicino. Finisce alle 15 l'interrogatorio di Ciarrapico. Il suo legale, Carlo Taormina, fugge. Al telefonino, l'avvocato cambia idea ma non troppo. Dice: «Non intendiamo fare dichiarazioni, stiamo riflettendo sul complesso della situazione». Perché tanto mistero, avvocato? «Evidentemente questa volta la situazione è diversa». Ma che ha raccontato il Ciarra ai magistrati? Beh, la sua versione scardina completamente tutta l'inchiesta, 200 arrestati, 700 indagati. Imprenditori e politici. I primi pagavano, i secondi incassavano. Così facevan tutti. Non lui, Giuseppe Ciarrapico, l'ex re delle bollicine che sedeva alla destra di Giulio Andreotti. Ciarrapico vuole passare alla storia, quella di «Mani pulite», come il primo imprenditore che i soldi dai politici li incassava. Erano loro a dargli bustarelle e mazzette. Non lui a loro. Fa mettere tutto a verbale e spera che i magistrati gli credano. Primo: è vero che lui ha preso un miliardo tondo tondo dall'ex direttore generale dell'Asst, Giuseppe Parrella. Secondo: non è vero che quei soldi sono finiti alla de, come credono i magistrati. Terzo: c'è sì lo zampino di Paolo Cirino Pomicino, ma non come pensano i giudici. Ciarrapico racconta di essere andato da Cirino Pomicino, e di avere bussato cassa. Bisognoso di soldi, in crisi di liquidità con le sue aziende, chiedeva un sostegno economico generoso. E Cirino Pomicino: «Vai da Parrella dell'Asst. I soldi te li darà lui». Va e incassa il Ciarra. E i soldi se li tiene. Perché gli servivano. Infine, da domani nuovi interrogatori per l'ex presidente dell'Iri Franco Nobili, a San Vittore, e per Antonio Mosconi, manager Fiat, da ieri non più agli arresti domiciliari. Fabio Potetti E il «Ciarra» rivela «Io pagare tangenti? macché, le prendevo aiutato da Pomicino» Qui accanto Giuseppe Ciarrapico E' il primo imprenditore che incassava soldi dai politici? A sinistra Umberto Ortolani braccio destro di Licio Gelli