«Cari vescovi non fate politica» di Augusto Minzolini

Il segretario de prende le distanze dalla Cei dopo l'intervento del Papa Il segretario de prende le distanze dalla Cei dopo l'intervento del Papa «Cari vescovi non fato politica» Martinazzoli: Wojtyla non si intende di fatti italiani E a Rosy Bindi: la nostra Costituente è aperta a tutti ISEO DAL NOSTRO INVIATO «Guardi, io che ho visto il Papa due mesi fa, posso assicurarle, per discorsi fatti allora, che le sue parole di oggi sono dirette agli italiani e non, in particolare, alla de. A parte che questo è un Papa che pensa in termini planetari, non se ne intende, non ne capisce di cose italiane». Mino Martinazzoli, seduto al tavolino di un bar, di fronte al Lago d'Iseo, sorseggiando il suo aperitivo preferito (un Aperol con due fette di limone), s'interroga sui suoi dubbi. E che dubbi! Appena due giorni fa un discorso di Papa Wojtyla è stato interpretato da qualcuno come un addio all'unità dei cattolici in politica, cioè un abbandono della de. E lui, il segretario, sorprende tutti dichiarando la sua gratitudine al Pontefice. «Sì - dice - sono grato al Papa per il suo ultimo intervento, non per le esegesi che ho letto sui giornali che sono fatte in modo traslato. Io sono grato al Papa perché ha detto ai vescovi italiani che per la politica e per l'Italia debbono pregare. Ecco. Per la ragione che sono convinto che ciò che compete alla Chiesa, lo dico finalmente con sincerità, è di parlarci di Dio e non dell'etica dell'uninominale, piuttosto che di quella del proporzionale». Già, Martinazzoli lo scettico, Martinazzoli il fatalista non s'impressiona. E per quel che può, anche quando parla di questo delicato rapporto che lega la de alla Chiesa, si rassicura con la logica: «Il punto da cui bisogna partire è uno solo: è necessaria una presenza dei cattolici in politica? Se è necessaria, bisogna trarne le conseguenze e partire da quello che c'è, cioè dalla de, che ora, come ho già detto in passato, dato che non è più condannata a governare ad ogni costo, può essere più fedele e coerente alla sua ispirazione. Altrimenti ci sono le esperienze già fatte dai cattolici comunisti, dagli indipendenti di sinistra cattolici, dai socialisti cattolici. Si sono già viste. E per parlare dell'oggi mi pare difficile che si possa andare appresso a Segni e ai suoi alleati: non credo, infatti, che Mediobanca sia il regno dei cieli, o che il massimo per noi è andare a prendere il tè a casa di Ferdinando Adornato». Punge Martinazzoli. E' convinto, o almeno se ne convince, che la Chiesa, il Papa e i vescovi non l'hanno abbandonato. «Ci è stato detto, in realtà - spiega - che la de deve conquistarseli i voti dei cattolici. Ma è sempre stato così nel dopoguerra. Anche nel '48, se si va a ben vedere, la de fece la scelta occidentale e la Chiesa l'appoggiò perché per lei quella scelta era essenziale. Del resto noi abbiamo immaginato sempre il problema dell'unità dei cattolici, più come una persuasione che come una costrizione. Ogni cattolico, in politi¬ ca, deve decidere se sia più utile per lui essere in pochi o in tanti. Per noi non è stato mai un problema dogmatico. Ci fa piacere che i vescovi abbiano un'opinione, in politica, che assomigli alle nostre, ma niente di più. La verità è che sono i laici che da anni menano il torrone su questo terreno, facendo finta di non sapere che gli appelli della Cei, quando ci sono, non detenninano per nulla le decisioni dei cattolici nelle scelte elettorali». E il dibattito nella Cei, quel gruppo di vescovi che è freddo con la de? Altra patatina e altra risposta scettica1 da parte del segretario de: «Io ho un ottimo rapporto con Ruini e credo che lui sia un grande sostenitore dell'unità dei cattolici in politica. Né deve meravigliare il fatto che nella Cei ci siano delle sensibilità diverse. Casomai la vera novità è che i vescovi hanno pubblicizzato all'esterno la loro dialettica interna e, a ben vedere, le divisioni dei vescovi appassionano più i non cattolici che i cattolici. Senza pensare che vescovi come mons. Bettazzi, considerati freddi con la de, dicono la stessa cosa che dico io: la de deve conquistarsi la fiducia dei cattolici». Ma davvero quei segnali dalla Chiesa non preoccupano il segretario della de? Forse non è proprio così. Ieri, infatti, nel suo. discorso all'annuale convegno ad Iseo su Aldo Moro, il segretario de è stato quanto mai duro proprio con Segni, cioè con l'uomo che potrebbe diventare un insidioso concorrente nel rapporto con il mondo cattolico. Martinazzoli gli ha rimproverato di tutto, a cominciare dall'atteggiamento avuto nelle elezioni comunali di Milano: «Con le sue scelte ha favorito due radicalismi speculari (cioè la candidatura del retino Dalla Chiesa e del leghista Formentini, n. d. r.). Eppure noi abbiamo messo in pista la candidatura di Bassetti, che in passato a gente come me e Granelli forse ha fatto anche girare le..., cosa che, invece, non può di certo dire Segni, dato che Bassetti è stato sempre un pattista convinto. Non capisco come Segni possa spiegare questa decisione, o quella di aver fatto alleanza, per amor della novità, con il pds a Grosseto, un Comune che il pei governa da 40 anni». A Martinazzoli questo «nuovo» non piace proprio. Ieri lo ha dipinto a tinte fosche. Ha ricordato di quella volta che in una riunione all'Arel, prima del governo di unità nazionale, lo stesso Moro diede una rispostacela a Segni che proponeva addirittura di passare all'opposizione per non aver nessun rapporto all'epoca con i comunisti, mentre oggi cammina a braccetto con il pds. E il segretario della de si è addirittura superato quando ha ricordato, a proposito dell'assassinio dello statista de, che «quindici anni fa qualcuno uccise pretendendo esso di essere il nuovo». Un discorso duro concluso con un richiamo a chi, come Rosy Bindi, insegue troppo l'idea di un recupero di Segni. «Cara Rosy - le ha spiegato il segretario non è che non l'abbiamo inseguito abbastanza, in realtà abbiamo peccato di troppa comprensione con lui». Sì, forse per il segretario de è arrivato davvero il momento di tenere un po'- a freno anche i «pasdaran» del rinnovamento istantaneo. E ieri Martinazzoli, che due giorni fa aveva bacchettato i deputati ribelli, non è stato da meno con la de del cambiamento. Se nei corridoi del convegno la Bindi ha spiegato che alla fine del rinnovamento, nel nuovo partito non ci potrà più essere posto per i «vecchi», se padre Sorge ha paventato l'ineluttabilità di una «scissione», «perché non è possibile fare una costituente con Gava, Pomicino e Sbardella», Martinazzoli ha concluso il suo discorso con un fermo richiamo ad entrambi: «Alla costituente, cara Rosy, verranno dei democristiani tutti quelli che vogliono venire». Ma se la «scissione» ci fosse davvero a questo punto? «Non è che non tema questo rischio - ha risposto ieri Martinazzoli il fatalista -, non c'è niente di impossibile, mi auguro solo che non avvenga». Augusto Minzolini Il segretario della de Mino Martinazzoli

Luoghi citati: Grosseto, Italia, Milano, Segni