Ilva, la sciabolata del samurai di Roberto Ippolito
Ilvo, la sciabolata del samurai Ilvo, la sciabolata del samurai Nakamura striglia i suoi: «Imparate a lavorare!» QUANTO SCÒTTA IL SOL LEVANTE PROMA OTEVA stupire. E lo fa senza effetti speciali. Una volta a Hayao Nakamura è bastato un piatto di pasta e ceci per sorprendere tutti. E' successo a febbraio: da pochi giorni amministratore delegato dell'Uva, va in visita allo stabilimento di Taranto e all'ora di pranzo si mette in fila alla mensa come qualsiasi operaio o impiegato. Sotto gli sguardi increduli dei dipendenti, riempie il vassoio e si va a sedere accanto a loro. In effetti Nakamura cerca sempre di essere uno di loro, un compagno di lavoro. Ma con un requisito, particolare: senza peli sulla lingua. Tanto che appena sente il bisogno di criticare i quasi 50 mila addetti dell'Uva, non ci gira intorno. Prende carta e penna e scrive una severa lettera aperta: «Mi sono accorto che non sempre il lavoro è svolto con sufficiente scrupolo». E giù una sfilza di rimproveri: «Mi è capitato di scoprire episodi di trascuratezza che mi hanno amareggiato e che mortificano chi ne è coinvolto». E poi: «Ho l'impressione che, tecnicamente, la gestione non sia stata curata a sufficienza nel recente passato». Parole un po' retoriche che mirano al cuore: «Voglio che la nostra casa sia in ordine, la nostra coscienza soddisfatta e la nostra mente sveglia». La lettera di Nakamura viene pubblicata sul bollettino aziendale «Ilvà informazioni». E affissa nelle bacheche degli stabilimenti. Fannulloni e negligenti sono così additati al pubblico disprezzo. Il gesto è controcorrente, ma trattandosi di Nakamura l'insolita schiettezza e la mancanza di diplomazia non provocano rivoluzioni. Il predecessore, il rude Giovanni Gambardella, ben difficilmente si poteva permettere di elencare i difetti dei dipendenti. Nakamura usa invece le lettere come uno strumento per governare meglio il popolo Uva, fiaccato dai 2400 miliardi di perdite nel solo 1992 e dalla spirale di debiti. Ne sanno qualcosa i dirigenti del gruppo, destinatari del messagio numero imo. E' l'occasione in cui Nakamura, 55 anni trenta dei quali passati in Italia alla guida della filiale della Nippon Steel, mette le mani avanti. Fa presente di avere le sue idee, ma dice: «Voglio ascoi tare le vostre». E così in una volta sola ricorda i ruoli diversi di ognuno, ma anche l'esigenza del lavoro di squadra. Chi lo ascolta sente parlare da lui un italiano appreso bene ma un po' troppo essenziale; chi legge le sue frasi non deve fare i salti mortali per capirne il significato. A fine marzo lo verificano i sindacati che ricevono una lettera in cui il manager venuto dall'Oriente si dice «sorpreso e addolorato» per gli scioperi che provocano danni all'azienda anche se indetti per motivi «lodevoli» come la difesa dell'occupazione. Nakamura fa due conti e li manda ai sindacati: una volta sette ore di sciopero sono costate 4 miliardi, un'altra ventiquattr'ore sono costate dodici miliardi. E così, si lamenta, si perdono quote di mercato. Il suo credo è riassunto nell'ultima lettera-rimprovero: l'azien¬ da «va accudita come si fa con la propria abitazione». Nakamura si preoccupa di ogni ambiente: oltre che a Taranto, va negli stabilimenti di Terni, Dalmine, Genova e Novi Ligure dove insiste sulle premure che bisogna avere per i clienti, a cominciare dal rispetto dei tempi delle consegne. Ripete sempre: «Se noi facciamo un prodotto molto buono possiamo chiedere un prezzo più alto». Lascia di stucco i senatori quando, ascoltato in commissione, ipotizza l'impiego dei duemila cassintegrati di Taranto in lavori socialmente utili come prevede la legge, dall'asfaltatura delle strade alla verniciatura di un ponte. Sogna di far diventare più bella Taranto, città che considera un po' sua; vi ha lavorato a lungo come consulente per il raddoppio del centro siderurgico. Roberto Ippolito Tazebao per rimproverare cinquantamila dipendenti A destra Hayao Nakamura Sopra Giovanni Gambardella A sinistra un operaio Uva al lavoro
Luoghi citati: Genova, Italia, Novi Ligure, Taranto
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