Con Pietro l'intransigente anche gli apostoli in fuga

IL CASO Con Pietro l'intransigente anche gli apostoli in fuga IL CASO L'INGRAISMO NELLA SINISTRA m .ROMA H primi ingraiani è da, un pezI zo che hanno fatto i capelli bianchi. Incassano l'aggettivo con orgogliosa malinconia, però oggi, sePietro rimane o lascia il pds, insomma, va bene o va male lp-stesso. Pazienza. Forse dipende proprio da 'quell'antica definizione, ingraiani, che ha sempre voluto dire troppe cose, e nessuna. Troppe individualità, in definitiva, e nessuna vera appartenenza. Reichlin, Magri, Trentin, Bertinotti, Minucci, Petruccioli, Pintor... e viene da tirare il respiro. Poi Rossanda, Barcellona, Mussi, Jacoviello, Bassolino, Vacca, Garavini... E Aresta (Giancarlo) che resta. Traiettorie indefinibili, in un sottofondo di «non possiamo non dirci ingraiani». Ingraismo alla rinfusa, stratificazioni e biforcazioni politicogenerazionali temperate da considerazioni dal sapore perfino ecclesiastico: «Semel ingraianus, semper ingraianus», basta esserlo stati una volta per ritrovarsi appiccicato il marchio per sempre. Con il risultato che ogni direttore di settimanale che si rispetti ha chiesto, almeno una volta, l'albero genealogico dell'ingraismo. Ottenutolo, l'ha rimirato con soddisfazione senza rendersi conto che nel frattempo lassù, in cima, erano già germogliate nuove foglioline - Rasinielli, per dire, marciatore-pacifista - così come su quell'altro ramo in basso, sì, quello di derivazione ecologico-femminista, s'era innestato un sotto-fenomeno ingraian-neoterzomondista... Insomma, ammesso che l'esercizio avesse una qualche legittimità, l'albero continuava a crescere e il vecchio Pietro ad accumulare sconfitte e ad affabulare spezzoni di una sinistra vecchia e nuova che sempre lì finiva per ritrovarsi, o rispecchiarsi, in un perenne moto di sorprese sempre più culturali che politiche. Ingrao meravigliao. Che poi è il titolo di uno degli ultimi sonetti del suo amico Antonello Trombadori. Così, per non smentire la fama di stupore che si tira dietro, gli ultimi ingraiani sono donne. Ed è relativo, è secondario, a questo punto, sapere se Fulvia Bandoli, ravennate nerovestita, abbandonerà anche lei l'ufficetto in cima alle Botteghe Oscure. Se Rina Gagliardi, la giornalista del manifesto che di Ingrao ha sempre scritto le cose più acute, e paradossali, si troverà un punto di riferimento po- litico in meno (o in più). Se la stessa Chiara Ingrao, ingraiana figlia, ingraiana biologica, potrà continuare a votare in dissenso dal pds. Il punto interessante è che almeno in quest'ultima fase la purezza del tutto transitoria, l'eredità precaria di questa specie di dottrina che non è una dottrina è in mani femminili. Qui Ingrao sembra averle deposte con dolce ostinazione e brusca tenerezza. Per il resto, occorre anche dire che tra una lirica descrizione del mar Tirreno e una riflessione su Gandhi, tra la prefazione alle strisce, nevrotiche e dolenti, di Bobo e un'allegra spontaneità che l'ha portato, di recente, a definire «un casino» la situazione del pds, ecco, ad Occhetto Ingrao ha fatto davvero vedere i sorci verdi. Non gli ha dato tregua, non gli ha concesso un attimo di re¬ spiro, non gli ha fatto passare nulla, non si è smosso di un millimetro. E anche se presentato con il massimo della dignità perché nessuno, mai, ha potuto anche solo mettere in forse la nobiltà d'animo del personaggio - l'abbandono è comunque l'ultima, terribile e definitiva prova d'intransigenza d'Ingrao. Che Occhetto se la sia andata a cercare è un'altra questione; che non ne potesse davvero più, lo stesso. Quel che al momento vale la pena di osservare è l'inadattabilità deU'ingraismo a un certo andazzo psicologico, perfino esistenziale che vige alle Botteghe Oscure. La sua incompatibilità, in una parola, alle giravolte pidiessine. E tuttavia il già richiamato «casino» (oltretutto richiamato quando ancora la questione morale non aveva investito la Quercia), l'addio al caos finiscono per ritorcersi addosso a quella scuola di comunismo che prende il nome di Ingrao. La inchioda ancora una volta a una sconfitta, oppure la spinge verso l'iperuranio delle idee astratte, irrealizzabili, a conferma dell'antico e perfido motto secondo cui «gli ingraiani hanno i ragni in testa». Ancora gli ingraiani, dunque. Ma quali, ormai? Tutti e nessuno, di nuovo. Quelli che puntavano sulla de invece che sul psi, decimati dopo il celebre XI congresso («Non sarei sincero, compagni, se dicessi che sono rimasto persuaso...»); gli eretici snob del manifesto; i sommersi e i salvati da Berlinguer, e poi spediti - figurarsi - «alla conquista del Sud»; quindi utilizzati contro la destra, mai ripagati, e via via fino ai ragazzi con il fazzolettone arabo intorno al collo. Poi l'ingraismo umbro-amministrativo dell'onorevole Provantini, quello giornalistico di Aniello Coppola, quello istituzionale di Peppino Cotturri, quello intellettuale di Di Giovanni, quello post-femminista di Maria Luisa Boccia e di una rivista che si chiamava (si chiama?) Reti, e chissà quanti altri ancora... Davvero difficili da definire nella loro frammentata unitarietà. Gianni Baget Bozzo, che un giorno ci si è provato, ha dovuto subire una risposta dello stesso Ingrao intitolata «Modesto contributo alla critica di me stesso». Disamina comunque impossibile senza involtolarsi in una terribile sarabanda di «anti» e di «ismi». Perciò: anticapitalismo, antiamericanismo, antisovietismo, ecologismo, femminismo, comunismo (libertario ed esigente), un po' di profetismo, un po' di pessimismo, un po' di sconfittismo (con languori e compiacimenti). Fascino dell'ignoto, infine, e febbre del nuovo. Poesia e sociologia. Charlie Chaplin e «mediazioni prismatiche», poi masse, orizzonti, pianeti, aggettivi forti («immensi», «feroci») a colorare un eloquio ispirato, sofferto, piacevolissimo da ascoltare, molto meno da leggere. Il «vivente non umano», d «grumo di vissuto», «quelle sagome scure sfreccianti nel cielo: gli aerei invisibili!»: espressioni che raccolgono e distribuiscono risatacce e fremiti di ammirazione. Il partito di Occhetto perde qualcosa di complesso, un corpo di idee morali, di curiosità. Un uomo mtegerrimo, un poeta sconfitto: «Pensammo una torre/ scavammo nella polvere». E quando piove la polvere diventa peggio che polvere. Filippo Cec carelli ROMA Pietro Ingrao decide oggi se lasciare il pds, nel corso dell'assemblea nazionale dei comunisti democratici convocata all'Istituto Palmiro Togliatti. Ieri, intanto, Achille Occhetto ha invitato Ingrao a restare nel pds. «E' semplice e schietto l'appello che gli rivolgo - scrive il segretario in una lettera aperta pubblicata oggi sull'Unità -. E lui sa bene la forza del linguaggio semplice e schietto può fondare qualcosa di nuovo e di grande. In questa fase occorre stare calmi». Anche Gavino Angius, ai microfoni di Italia Radio, ha rivolto un appello ad Ingrao. «Siamo in un momento difficile per la vita del nostro partito e per la sinistra - ha detto -. E credo che un contributo assolutamente Ubero come quello che il compagno Ingrao ha sempre dato, non debba interrompersi». [r. i.] // poeta sconfitto decide oggi lo strappo dal pds Occhetto eAngiusgli lanciano un appello: resta Una vignetta con Bobo il personaggio di Sergio Staino A destra Fausto Bertinotti Chariot Uno dei personaggi più citati nei discorsi diIngrao cie di dottrina che non è una dottrina è in mani femminili. Qui Ingrao sembra averle deposte con dolce ostinazione e brusca tenerezza. ne del pds, ecco, ad Occhetto Ingrao ha fatto davvero vedere i sorci verdi. Non gli ha dato tregua, non gli ha concesso un attimo di re¬ tima, terrd'intransiOcchetto care è unnon ne pstesso. Qule la penadattabilitàcerto andno esistenteghe Oscbilità, in volte pidiE tutta«casino» quando anrale nonQuercia), no per ritla scuolaprende il chioda anscoge le zab

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