I miei LIBRI da buttare

LIBRI Quali autori salvare riordinando la biblioteca negli Anni 90? Pollice verso su Pavese e Calvino LIBRI buttare OHE fate, vi mettete a buttar via i libri? Adesso persino Franco Fortini lo confessa: periodicamente fa riempire di «libri, libretti e riviste» sacchi grandi e néri della spazzatura «da trascinare sul pubblico marciapiede e affidare ai monatti municipali». Busi sogna di portare i propri scaffali al grado zero (la sindrome di Alessandria la sente al contrario), di restare solo con Proust, con Emily Dickinson, soprattutto con Rimbaud e rivela di aver precipitato giù dalla torre Pavese e Calvino, Vittorini e Pasolini insieme a Luzi e a Bertolucci per non dire di Buzzati, Deserto dei Tartari compreso, la Ginzburg, Tabucchi, Bermi... E Federico Zeri avrebbe una tentazione: liberarsi di almeno uno tra i capolavori che non sopporta, i Promessi sposi: «Detestabile, di una falsità enorme». Altrettanto vorrebbe fare con «certi tedeschi, certi poeti slavi, Mickiewicz fasullo...». Si tratta però di un'allergia che non arriverà mai alla guarigione per l'impossibilità del critico di separarsi finanche di un opuscolo: «Purtroppo tengo tutto, non so respingere». Necessità, narcisismi, giudizi veri. Ma li buttano o non li buttano, questi libri, i nostri uomini di penna e di pensiero? Si verifica una specie di identificazione da Auto da fé canettiana, beninteso senza il fuoco finale? O piuttosto urge il salutare bisogno di evadere dal canaio editoriale, scrollarsi di dosso come una crosta dolorosa gli pseudo libri, gli instant, i best e i longseller, le mode, le rivelazioni che non rivelano, gli incipit copiati, gli inediti universalmente noti? Mentre la marea avanza, c'è una sorta di «slittamento fobico» attorno al libro e Andrea Zanzotto lo avverte quasi con dolore: «Si arriva ad averne spavento. Il libro è un'attrazione fortissima, un amore ma anche un terrore perché la biblioteca è la prova lampante dell'inadeguatezza dell'individuo. Io non butterei nulla giù dalla torre, piuttosto mi getterei io, però un'autodafé si consuma egualmente, in fondo tutti vorremmo incendiare i libri per uccidere la nostra impotenza». Giuliano Ferrara è d'accordo con il poeta: «Anche a me la "biblioteca" fa orrore. Il mio modello è sempre stato e rimane la stanza di Pajetta: spoglia, priva di tutto, c'era soltanto fl libro che lui stava leggendo in quel momento». Un lusso enorme, a chiunque piacerebbe prenderse lo. Però, poi, si viene a patti, si cerca di liberarsi dall'assedio di carta salvando la «zona protet ta», dove abitano, nel caso di «Bretelle rosse»,- i filosofi, i Maestri. «La cosa per me più difficile è proprio "espellere", ma i libri che ho voglia di buttare ci sono: tutti quelli dei giornalisti, ibrido insopportabile, sbagliati nel genere. Compresi i miei, s'intende». Ricordiamocelo. Invece è «il disordine, la con fusione» ciò che tormenta Valen tino Parlato quando osserva i suoi scaffali. «Perché in questo caos vedo il mio disorientamento interno e sento il rammarico per tutto quello che non ho letto, che ho letto a metà o ho letto male». Confessa di avere alcuni ripiani «caldi», che tengono stretto non solo un Marx vivo, un Gramsci con il quale «il dialogo è ancora fortissimo» ma anche i vecchi romanzi dei Balzac, dei Dostoevskij, «quelli che faccio leggere a mia figlia... I libri sono, comunque, giudici severissimi: l'unica salvezza, talvolta, è la fuga». Anche Paolo Volponi è costretto alla diaspora, alla selezione, tra Milano e Urbino, ma con più serenità, senza ansia: «Forse perché non sono uno studioso e scelgo da tradizionalista. I libri degli esordienti in genere mi toccano per la loro bravura; ma, per la gran parte elei tempo, ormai, rileggo: Dante, Don Chisciotte, i russi... specie quando non sto bene e devo trovare un motivo per restare al mondo». Tuttavia nelle zone «nobili» delle sue librerie restano ben saldi anche Gadda e Landolfi, Calvino, Cassola di certi racconti. Un appannamento avvolge invece Vittorini e il Pa- vese romanziere: «Non lo sento più legato a me come sento il Pavese poeta con la sua capacità di innovazione, nella sua lotta contro l'ermetismo». «Io farei a meno di tutto il Calvino che viene dopo La giornata dello scrutatore - dice Domenico Rea aggrappato ai classici e ai suoi 40 vocabolari -, non è più leggibile; e neanche Sciascia è più uh buon narratore dopo Gli zìi di Sicilia, si sente lo sforzo di fare il maitre à penser. La verità è che getterei via dalla mia biblioteca il 40% dei contemporanei. Se non lo faccio è per rispetto del lavoro altrui e perché detesto la scortesia: in tutta mia vita anche a chi mi ha dato del cornu¬ to ho sempre risposto scrivendo su un biglietto "pr", per ringraziamento. Figuriamoci con dei colleghi, pur se tromboni...». Quando i libri straripano nell'enorme stanzone preso in affitto, Bevilacqua li regala agli amici («Ucciderli mi da fastidio») e soprattutto alla Lisa, la sua governante che si va facendo una bella biblioteca. Non ha avuto sinora il coraggio di esiliare D'Annunzio ma l'insofferenza verso il Vate è grande: «Passandogli accanto non gli dico ormai più nemmeno "buonasera"». Accanto agli inamovibili Celine e Delfìni, e al posto del «noioso» Pessoa e del Calvino poco amato del Viaggiatore, sono entrati da tem¬ po nella hit parade dell'autore dei Sensi incantati non soltanto i Consolo e i Conte, anche, per esempio, un Guido Nobili per onorare il quale ha tolto il Moravia ài Io e lui: «Voglio rendere giustizia a quei narratori che non hanno avuto ciò che meritavano nella nostra storia letteraria». Angelo Guglielmi e Grazia Cherchi, due critici di forte temperamento, si fronteggiano. Guglielmi elimina di primo acchito la narrativa: «Tengo solo quello che leggo per recensirlo mentre la cosa non mi capita per i libri che non ho l'impegno di leggere e questi sono consultatissimi»; la Cherchi «pur con quel senso di colpa che accompagna sempre la separazione da un libro», ha un metodo: si alleggerisce, fisicamente, degli instant book, della libellistica saggistica e, psicologicamente, «della stragrande maggioranza dei libri in classifica». «Butto via, ma soprattutto cambio; Gide, che non rileggo più, posso mandarlo ai piani alti. Certo, non allontanerò mai i Diari di Kafka da me postillati anni fa, né un'edizione del Giovane Holden ancora intitolata Vita da uomo, né i libri di marxismo: restano all'altezza dei miei occhi». Hugo Pratt con i suoi 30 mila volumi fa, dalla Svizzera, una buona concorrenza a Pontiggia e alla sua famosa biblioteca: u padre di Corto Maltese conserva tutto perché il segreto è «scegliere con la massima attenzione»; e da cosmopolita quale è può attingere a edizioni rare e lontane (il Borges argentino degli Anni 50, i Dumas illustrati da Gustavino, rarissimi Rimbaud, tutta una serie di atlanti di fine 800). Un po' come Gavino Sanna «lettore avido, però con tempi lunghi» che si dispera per l'invadenza dei suoi libri, tale da indurlo addirittura a cambiar casa. Ma poi i nomi che saltano fuori, quelli del cuore, non sono molti: il Bianciardi di Corrias tra i più recenti, Longanesi tra gli «immortali». Anche De Crescenzo i libri li «trattiene», anzi si dichiara affetto da una forma di «libridine»: «Nella vita ho perso quasi tutto quello che ho posseduto, ma non uno solo dei miei libri». Nei suoi due appartamenti-biblioteca con segretaria e computer, c'è tutto: la Napoli di Maretta e La Capria; i libri di forma¬ zione da Russell a Popper, a Borges a Dostoevskij; naturalmente ì filosofi. Solo i romanzi scarseggiano: scelta come minimo curiosa per il neoautore di Croce e delizia. «Dei romanzi in genere leggo gli indici. Se ho tempo preferisco aprire il Simposio, il libro che mi ha insegnato la vita». Ma allora: sono così pochi gli intellettuali italiani capaci di vigorose amputazioni in tema di carta stampata? Nei confronti del libro resiste, nonostante tutto, un complesso di inferiorità? Antonio Ricci «collezionista di paccottiglia» ci scherza su, naturalmente, e dichiara un tale rispetto per i suoi libri che spesso non li toghe neppure dal cellophane: «Mi sembra giusto, è anche contro l'Aids...». Il suo bene più prezioso sarebbe la raccolta di Capital, «l'unica rivista comica italiana», ma anche lui sembra alle soglie di un ciclopico trasferimento: «Dovrò mettere in ordine e al sicuro tutti i miei delicati manuali, tipo Come ottenere uno sguardo magnetico ecc., ecc.; trovare al più presto grandi ufficioni, spazi adatti per opuscoli, reclame, Divina Commedia, gadget e similari o finirò bruciato con loro come Giovanna d'Arco...». Giampaolo Rugarli, invece, non disdegna enfatizzare il suo ruolo di Minosse della nostra narrativa e confessa di non aver grandi problemi: «Possiedo due camini e una disperata ricerca di carta...». Livece conserva, conserva. Ma, perfido più di sempre e, come noto, appassionato di classifiche, ne confeziona, lì per lì, un paio ad hoc. «Cinque libri da far entrare per la porta principale: Don Chisciotte, Tristram Shandy, Madame Bovary, Il giocatore, Catullo. Cinque libri buoni per la porta di servizio: I misteri della giungla nera, Signorsì di Liala, I miserabili, Conan Doyle, Ipotesi su Gesù di Messori». Contenti? Il poeta Fortini confermereb be, citando Noventa: «Se non trovate interlocutori tra i vivi, cercateli tra i morti...», ma è Zanzotto, un altro poeta, che ci consola: «A una grande bouffe preferisco l'incontro di una fra se. I libri sono un brulichio di fosfemi, fiammelle, vortici che si possono formare e mai sapremo se erano nutrienti o velenosi». Mirella Appiotti Zeri: odio i Promessi sposi Busi: lasciatemi Proust Sauna: io mi tengo tutto Guglielmi: via la narrativa Ricci: salvo solo Capital Rea: caro Sciascia addio Ferrara: detesto i giornalisti essi sposi mi Proust ngo tutto narrativa LIBRI zione da Russell a Popper, a Borges a Dostoevskij; naturalmentì filosofi. Solo i romanzi scarseggiano: scelta come minimo curiosa per il neoautore di Croce delizia. «Dei romanzi in genere leggo gli indici. Se ho tempo preferisco aprire il Simposio, il librche mi ha insegnato la vita». Ma allora: sono così pochi gintellettuali italiani capaci di vgorose amputazioni in tema dcarta stampata? Nei confrondel libro resiste, nonostante tuto, un complesso di inferioritàAntonio Ricci «collezionista dpaccottiglia» ci scherza su, naturalmente, e dichiara un tale rispetto per i suoi libri che spess Paolo Volponi: «Non sento più legato a me il Pavese romanziere: salvo solo il poeta»

Luoghi citati: Alessandria, Ferrara, Milano, Sicilia, Svizzera, Urbino