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Quei veti del Vaticano alla de Quei veti del Vaticano alla de Dal no al centro-sinistra ai richiami all'unità UNA STORIA LUNGA ROMA ON c'è più religione, non c'è più gratitudine. Dopo averla spremuta come un limone, la'Chiesa getta via la de. Nel momento del bisogno. Partito ridotto a guscio vuoto, rotto. Inservibile. E' stato bello, ma arrivederci e grazie. Troppo comodo (e troppo semplice). Una croce nera e via, tutto dimenticato: le invasioni di campo di Gedda, i baschi blu, l'Azione cattolica con 2 milioni e 400 mila iscritti (la de ad appena 920 mila); quella volta che padre Lombardi andò a far «opera di convinzione» dalla signora De Gasperi; gli esercizi spirituali nei ministeri; le continue minacce del secondo partito cattolico; i prefetti della Repubblica spediti a far la guerra ai costumi da bagno succinti; le pressioni tremende contro il centrosinistra; le spiate, sì anche quelle, e sia detto con rispetto anche qualcosa che assomigliava ai ricatti. Accettati perfino con garbo, a Piazza del Gesù. Senza contare le discriminazioni preelettorali dei vescovi: quello sì, quello no, quello la prossima volta se fa il buono (De Mita e i basisti milanesi ne sanno qualcosa). L'incitamento un po' fanatico a ingaggiare battaglie su questioni perse in partenza: la pillola e il divorzio. E come se non bastasse quella stramba e suicida campagna referendaria. Tutto eseguito con convinzione, però anche per amore della Chiesa. Tutto: i fondi per il clero, le detrazioni fiscali, la trincea del carattere sacro di Roma, il monopolio dell'assistenza e la difesa intransigente della scuola privata, anche a costo di far cadere il primo, faticatissimo governo di centro-sinistra. Pensare che c'è stato un tempo - i laicisti lo chiamavano «regime clericale» - in cui il Sifar, cioè il controspionaggio militare italiano si è messo a raccogliere informazioni piccanti e scandalistiche su leader de come Bo e Ferrari Aggradi, poveracci, per passarle a chi? Ecco, al presidente della Cei cardinal Giuseppe Siri. E adesso? Adesso, pluralismo. Chi s'è visto s'è visto. • Anche a costo di esagerare, la tentazione di presentarla in questo modo - non si uccidono così anche i partiti - è forte assai. Così come, a vederla con occhi democristiani, occhi sempre più spaventati, quegli accenni papali, la linea Ruini sull'unità politica ridimensionata, ormai vana, superata, e Famiglia Cristiana che proprio ieri si produceva in una entusiastica biografia della famiglia Segni: «Un anno dopo le nozze - pubblicano i padri paolini - Vicky si ammalò gravemente. "Molta della forza per superare quei momenti ce l'ha data la fede", dice». Questi tre segnali che giungono insieme non è che debbano essere risultati così appaganti e nobili per un de. Se non altro perché, oltre a conoscersi piuttosto bene, preti e de hanno per forza di cose codici d'interpretazione e diffidenze opportunistiche che non escludono virtù in qualche modo profetiche. Così, anche da un osservatorio tutt'altro che democristiano viene da chiedersi ancora di che si tratta: se è il fatale benservito (tante, troppe volte annunciato), o l'ennesimo ammonimento, o un semplice passaggio verso qualcosa che ancora non si capisce. Quel che si capisce è che oggi la Chiesa ha sempre meno bisogno della de. Da questo squilibrio così evidente una sensazione postuma di usa-e-getta, un riaffiorare di antichi prezzi pagati dalla de alla Chiesa. Negli anni lontani, ma non troppo, dell'onnipotenza. Vero è anche che glielo avevano detto e ridetto, alla de: siate buoni, rinnovatevi, attenti al quinto comandamento, attenti al settimo. Però, senza riandare a certe disavventure finanziarie non è che Prandini, per dire, non fosse stato invitato alla festa del cardinal Ruini al Vicariato. E magari avrà legittimamente gustato le tartine. Del presidente della Cei, del resto, si diceva che a suo tempo supervisionava i documenti della corrente forlaniana dell'Emilia, supervisore del plurìawisato Bonferroni. E allo stesso modo, alle ultime (ripristinate) Setti¬ mane sociali era stato invitato Goria, mica Girolamo Savonarola, a dar conto delle Res Novae. Splendidi rapporti, quelli di Gava con il cardinale di Napoli. Perfetta la politica internazionale di Andreotti, dalle guerre stellari alla guerra del Golfo passando per il Medio Oriente, così perfetta che si diceva fosse quella della Santa Sede, più che quella italiana. E adesso i valori, la dimensione etica, il pluralismo... Insomma, detta con una certa brutalità: fino a quando c'era una qualche minima speranza di tenuta de, la Chiesa questo problema dell'unità politica non lo faceva arrivare nei con¬ sigli della Cei. Così come il pluralismo, nel senso che i cattolici possono anche votare un partito che non sia la de, lo si rintracciava solo in qualche saggio storico a proposito del cardinal Tardini. Cioè, di colui che nell'immediato dopoguerra e in antitesi al suo «collega» di Segreteria di Stato Montini, aveva auspicato che i cattolici potessero distribuirsi tra vari partiti. Vinse l'idea montiniana. E adesso è difficile stabilire con il bilancino chi abbia dato di più a chi. La Chiesa, tanto per cominciare, viaggia e giudica sull'arco dei duemila anni; la de, che arriva a stento ai 50, è «eterna» nell'enfasi giornalistica. Il rap¬ porto tra le due entità nasce del tutto squilibrato. L'obbedienza è un dato pacifico. Quando Pio XII s'è convinto (1952) che l'amministrazione di Roma sta per cadere in mano ai marxisti atei e non si fida di De Gasperi usa Sturzo per fare una Usta con i monarchici e i fascisti, la de riesce a evitarlo, ma l'allora presidente del Consiglio confida alla figlia Maria Romana: «Se mi verrà imposto spezzerò la mia vita e la mia opera, ma non potrò non chinare il capo». Non che la de non lo abbia chinato. Anzi, negli Anni Cinquanta, non solo sul piano della difesa della moralità, ma anche - come ha scritto Jemolo - per quel che riguarda certe poco simpatiche attenzioni nei confronti degli altri culti, ci furono probabilmente delle tentazioni, per così dire, «spagnole». Eppure, la sensazione è che quel chinare il capo e quelle tentazioni avessero come scopo proprio quello di compiacere le gerarchie. Per ingraziarsele, oppure per placarle. Si va un po' oltre ai diktat sessuofobici del padre Galletto, del Centro cattolico cinematografico, o alle intimidazioni per nascondere le cosce delle gemelle Kessler alla tv. Rilette oggi, fanno impressione le lettere e gli appunti che il cardinal Siri spedisce al vescovo di Bari Nicodemo perché lavori ai fianchi - e in che modo, con quali parole - Aldo Moro, leader del futuro centro-sinistra. Nell'Italia di quegli anni con la massima naturalezza il cardinale di Palermo Ruffini tira in ballo la fede per invalidare il congresso de di Napoli. Il cardinal Ottaviani, quello che definisce i de di sinistra «comunistelli di sacrestia», prende di petto il presidente della Repubblica Segni che va a Mosca. Una domenica del 1960, durante una crisi di governo, il presidente incaricato Segni è prelevato dalla sua parrocchia e portato in Vaticano. Il giorno dopo rinuncia. Non ha mai scherzato con la de, la Chiesa. Quando il divorzio diviene operativo, il presidente del Consiglio Rumor si dimette. Fino a ieri, fino a tutti quei segretari che promettevano l'eterno rinnovamento e la perpetua penitenza de e agognavano l'incontro con un Papa che magari proprio quel giorno aveva da sistemare il Messico. Filippo Cecca rolli De Gasperi evitò un diktat ma confessò: «Se me lo impongono spezzo la mia vita e chino il capo» A sinistra, Alcide De Gasperi con Cavazzoni e don Sturzo A sinistra, mons. Siri Ir alto Aldo Moro A destra Luigi Gedda e le gemelle Kessler E i prelati pretesero il referendum-divorzio