«L'lri nel fango, che dolore»
«l/lri nel fango, che dolore» «l/lri nel fango, che dolore» Prodi: ma credo ancora nel settore pubblico PARLA IL I dispiace da morire. Mi dispiace pensare a domani, ai titoli dei giornali, al nome dell'Ili sulla prima pagina del «Financial Times» che dirà: decapitata la più grande azienda italiana...». Romano Prodi, l'economista bolognese che per sette anni, prima di Franco Nobili, ha presieduto Tiri nella dura fase della ristrutturazione, non cede alle cattive tentazioni. Il sistema dei partiti lo mandò via dall'Ili senza tanti complimenti, tre anni fa, e lui oggi potrebbe legittimamente abbandonarsi al gusto della rivincita. L'istituto è oppresso da ventimila miliardi di debiti, il suo successore in carcere. Ma non sarebbe da lui. Lo schiaffo dei partiti probabilmente brucia ancora, ma è ormai sbiadito dalle cronache che incalzano di eventi ben più gravi. Resta invece, acutissimo, il legame affettivo per un'impresa improba, colossale, e del resto parzialmente fallita anche da lui: il risanamento del più grande gruppo industriale-finanziario del Paese. Professor Prodi, cosa le dispiace, soprattutto: che Tiri risulti coinvolto in Tan- Jentopoli? Tiri c è tanta gente che lavora con dedizione, piena di im- pegno, di capacità, di intelligenza. Gente che considera Tiri un marchio di difendere, da onorare. E' per questa gente, per l'istituzione Iri, che soprattutto mi dispiace». L'Iri soffrirà molto di questo arresto? «Sul piano dell'immagine sì, senza dubbio. Ma sul piano operativo no. L'Ili è un gruppo molto decentrato, in questo c'è la sua principale differenza dall'Eni. Non si fermerà certo per la temporanea mancanza del presidente». Ma non le pare che questo ennesimo arresto nel mondo delle Partecipazioni statali segni la fine di un sistema ormai marcio e irrecuperabile? «Tangentopoli ha coinvolto l'intero sistema Paese, tutte le grande industrie, pubbliche e private». Ma la gente pensa che dire aziende pubbliche equivalga a dire tangenti: lei crede possibile smentire quest'equivalenza? «Ho sempre creduto di sì, sono sempre stato convinto che fosse possibile gestire l'economia pubblica in modo corretto. Credo, nel mio piccolo, di aver lottato in questa direzione». Lei dunque non crede che il male delle tangenti vada stroncato alla radice, privatizzando tutte le aziende pubbliche? «No, questo non lo credo. Finché la domanda è pubblica, in questo caso gli appalti per le opere civili, le centrali elettriche eccetera, anche se l'offerta è solo privata, il meccanismo delle tangenti può scattare ugualmente». • Sì, ma con meno Stato nell'economia potrebbe esserci più concorrenza e quindi meno disponibilità a pagare tangenti. «Questo sì: la chiave di volta è la concorrenza. Nei settori caratterizzati dalla domanda pubblica ce n'è sempre stata pochissima, finora. Ma il punto è la mancanza di trasparenza nell'apparato della domanda pubblica». Sta di fatto che anche lei ha incontrato i maggiori ostacoli proprio nel tentativo di privatizzare aziende pubbliche... «Be', è fuor di dubbio: le privatizzazioni non sono mai state volute dal mondo politico italiano. La verità è questa». Tre anni fa lei non venne confermato al vertice dell'Ili a dispetto dei buoni risultati ottenuti. Oggi il suo successore al vertice dell'Istituto viene arrestato. Che effetto le fa? E' una poltrona maledetta? «Ogni vicenda è diversa dalle altre. La mia storia è diversa da quella di Nobili. Su questo punto non chiedetemi altro». Sergio Luciano Romano Prodi, ex presidente dell'Iri
Persone citate: Franco Nobili, Professor Prodi, Romano Prodi, Sergio Luciano
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