Nobili più curato che cardinale

Dall'oratorio al maggior gruppo statale, lascia una marea di debiti Dall'oratorio al maggior gruppo statale, lascia una marea di debiti Nobili, più curato che cardinale Sempre un passo dietro l'amico Andreotti ASCESA E CADUTA DEL PRESIDENTE ROMA AI in tutta la storia di Tangentopoli arresto fu più annunciato di quello di Franco Nobili, quel signore alto e insulsamente curiale che Giulio Andreotti. - ma come si. è pentito! -• volle presidente del maggior conglomerato industriale d'Italia. Ai primi dell'agosto scorso sembrava questione di ore, poi, di mese in mese, l'onta di San Vittore è scivolata, fino a fare del presidente dell'Ili l'ultima raffica dell'andreottismo a piede libero. Tanto che, cadute nel ridicolo le accuse di Craxi al giudice Di Pietro, l'attesa di quest'evento divenne quasi un'ombra sull'integrità dei giudici del pool di Mani Pulite. Si raccontava nelle anticamere romane dei nomenclati inaciditi che il buon Nobili, noto non come un fulmine di guerra di managerialità ma come uno svelto maggiordomo del potere andreottiano, fosse riuscito a mettere all'incasso una cambialona del 1991, quando impose alla presidenza della Sme, finanziaria alimentare dell'Iri oggi in vendita, tale Giancarlo Elia Valori. Si dà il caso che questo Valori, ex piduista, agiografo di dittatori (si segnala come particolarmente entusiastica la sua opera su Ceausescu), abbia sempre avuto eccellenti relazioni con settori cospicui della magistratura, soprattutto quelli della Procura di Roma tradizionalmente legati al potere politico. Fino a diventare una sorta di lobbista dei palazzi di Giustizia. Possibile che avesse influenza anche presso i giudici di Mani Pulite e che l'avesse usata a favore di Nobili? L'arresto di ieri, vivaddio, spazza via la maliziosa leggenda serpeggiante e avvalora invece la tesi della terribile complessità dei giri finanziari che Nobili aveva costruito da presidente della Cogefar. Qualcosà*à quésto proposito era già emerso quando la .società di costruzioni fu vendu ta alla Fiat. Venne alla luce, ad esempio, un nome: St. Peter Trust Co. Ltd di St. Peter Port, nell'isola di Guernsey, un para diso fiscale della Manica. Quo sta società era nient'altro che una casella postale, ma incarna rava un 5 per cento di tutti gli appalti ottenuti dalla Cogefar all'estero, cioè alcune decine di miliardi. Una fabbrichetta di fondi neri. Allora pochi sapevano chi fosse Franco Nobili, tanto che, alla fine del 1989, la sua nomina inopinata a presidente dell'Ili fu quasi coralmente saluta ta come il segno di una svolta finalmente un manager privato al timone del più grande gruppo pubblico della nazione. Nessuno notò che il capo di una so cietà con poche centinaia di miliardi di fatturato, che costruiva strade e dighe, veniva catapultato alla testa di una holding complessa e superdiversificata da decine di migliaia di miliardi. Né che, se c'era un personaggio intrinseco alla de e legato da tempo immemorabile ad Andreotti, questi era proprio lui. Anzi, nella fauna andreottiana fatta di aristocratici neri decaduti, speculatori sulle aree, palazzinari, prelati affaristi, sindaci ladri, il posto di Nobili, così cardinalizio nei tratti e nei modi, era tra gli amici di gioventù. Come Franco Evangelisti, Mario Fornari (amministratore delegato dell'Ina), il cattocomunista Tonino Tato e pochi altri. «Andreotti - ci ha raccontato lo stesso Nobili quando già s'era installato nel palazzo umbertino dell'Ili, tra lo sbatter di tacchi degli uscieri ex corazzieri scelti un secolo fa da Giuseppe Petrilli e dal suo cerimoniere Franco Schepis - lo conobbi subito dopo la Liberazione. Avevo letto alcuni suoi scrìtti su Azione Fucina. Lui era il più adulto del nostro gruppo. A un certo punto, nùn si riusciva a decidere se il presidente dei giovani de dovesse essere lui o Giorgio Tupini (nominato anni dopo presidente della Finmeccanica e poi svanito all'improvviso in un Paese del Centroamerìca - ndr). Così spuntò il mio nome. Ma mi ritirai. Andreotti prevalse e io ne divenni il vice». Ecco un autoritratto perfetto: sempre un passo indietro, con un inchino, per la beatificazione del capo., Evocando «lo spiritò cristiano dell'umiltà», che lo faceva sentire più somigliante a un parroco di campagna che non a un cardinale, in quella stessa occasione il presidente dell'Ili ci illustrò i suoi cospicui meriti nell'imprenditoria privata e il suo distacco dalla politica, nonostante la rispettosa amicizia per Andreotti e i «fraterni rapporti» con l'adora presidente della Repubblica Cossiga: «Lui racconta sempre - si commosse - che quando sbarcò la prima volta in Continente dalla Sardegna, venne da me e mia madre gli diede la minestra». Tra gli ex corazzieri ormai un po' curvi e ingrigiti nei corridoi di via Veneto, il parroco di campagna ebbe subito modo di di¬ mostrare, vuoi l'indipendenza politica, vuoi la genialità manageriale. Si mise in testa che Italstat e Italimpianti - andassero • fuse in un unico gruppo. E sapete perché? Non solo perché così sarebbe diventato lui il papa delle opere pubbliche e delle costruzioni, ma soprattutto perché avrebbe silurato il suo avversario Ettore Bernabei, che ne era praticamente la divinità. Bernabei si era compromesso un po' troppo col demitismo e, caduto De Mita, tanta gente voleva fargliela pagare, a cominciare dai tre leader del Caf, dove la A sta per Andreotti, ormai febee mandarino a palazzo Chigi. L'Iritecna, nata dalla fusione di Italstat e Italimpianti, naufraga nel ridicolo in pochi mesi, tra le risse da cortile dei componenti del vertice societario più grande del mondo: presidente de, amministratore delegato de, amministratore delegato psi, vicepresidente pli, direttore generale de. A rallegrare la com$SSÉ8i3fne semb^itu* pollaio, perlomeno, c'è u presidente Carlo Lavezzari, un signore ultrasettantenne simpaticissimo e un po' svanito, che è un altro antico famiglio cui Andreotti non ha potuto dire di no. Ci resta sulle spalle, di quell'avventura, un buco di qualche migliaio di miliardi. Un po' meno costosa, ma non meno comica, la storia di Meridiana, che avrebbe dovuto diventare la Mediobanca del Sud. Sì, perché dovete sapere che se •c'è uno che Nobili non può proprio soffrire è il presidente onorario di Mediobanca Enrico Cuccia, una specie di diavolo laico per chi, come lui, fin da bambino ha respirato l'odore delle sacrestie. «Per il cristiano il pettegolezzo è peccato», ama dire Nobili alle sue cinque fighe come ai banchieri internazionali. E- da pettegolezzo liquidò le critiche che ebbe' quando nel consiglio d'amministrazione del Credito italiano sostituì Gianni Agnelli, nominato senatore a vita, con Gianmario Roveraro, campione finanziario dell'Opus Dei. Vi risparmieremo la storia di tre anni di nomine nelle società dell'Ili, comprese quelle del generale dei carabinieri Jucci e dell'assessore democristiano Renzo Eligio Filippi all'Italcable; o quelle alla Sip, che, a torto o a ragione, fecero esclamare al professor Bruno Visentini: «Con questi qui i telefoni non : funzioneranno, mai1 più»,1 JNé v'intratterremo sulla pasticciata vendita della Cementir. 0 sul teatrino in Comitato di presi denza tra il curiale Nobili e l'ag gressivo e scapigliato plenipo tenziario craxiano Massimo Pi' ni, famoso per la profezia: «Non facciamo adesso regali ai capitalisti che ci attaccano con i lo ro giornali. Tanto le privatizza zioni le farà il prossimo gover no Craxi». Per questo vi riman- diamo a un aureo libretto dell'ex vicepresidente dell'Ili repubblicano (per pochi mesi) Riccardo Gallo. Dobbiamo dirvi, però, di quando lo stesso Andreotti cominciò a non poterne più del suo amico di giovinezza cattolica. Finché si trattava di far passare le nomine decise dal Principale (come Andreotti è chiamato da Ciarrapico, che affibbiò all'Ili un bel contratto per l'uso dei suoi aerei) andava tutto Uscio, ma quando Nobili progettava granai disegni diventava un vero assillo per il mandarino di Palazzo Chigi. «Ha voluto la bicicletta...», disse una volta al povero sottosegretario Nino Cristofori, che non sapeva più come far muro. E un'altra volta: «Dai nemici mi guardo io...». Finché in una riunione che presiedeva come ministro ad interim delle Partecipazioni Statali borbottò insofferente: «Se tu pensi di curare il cancro con l'Alcaselzer...». Più Andreotti mostrava insofferenza, più Cirino Pomicino diventava cordiale, supponiamo non gratuitamente, col parroco di campagna diventato cardinale. Lo insufflava, gli diceva che c'era un complotto del grande capitale privato e dei giornali contro di lui e contro l'impresa pubblica. Fu per spezzare quell'assedio malvagio, che nel 1991 Nobili fu insignito del premio Galileo, e proclamato manager dell'anno (chissà chi s'inventò quel premio). Di certo, il presidente dell'Ili ricambiò la benevolenza di Pomicino, per esempio dando una mano all'Ida, l'impresa di costruzioni napoletana vicina al cuore (ma soltanto a quello?) dell'ex ministro del Bilancio, che non solo ha scalato le classifiche di fatturato del settore, ma s'è portata via l'intero gruppo diligente della Cogefar dell'era Nobili. : ' ,V1U Ciarrapico, Leone, Pomicino, Sbardella... lo stesso Andreotti. E1 adesso Nubili-'"CòSti .r¥sta più di quell'esercito pittoresco e al tempo stesso inquietante, che tanto potere ha gestito a Sezze come a Roma, a Sora come a Zurigo, a Fiuggi come a Washington? Resta una valle di ' macerie e un K2 di debiti, che Nobili si lascia alle spalle varcando il portone di San Vittore. C'era una volta l'Ili.... Alberto Staterà Ma i suoi progetti diventarono un vero assillo per il senatore L'amicizia con Cossiga nata per un piatto di minestra Franco Nobili e Giulio Andreotti, sono amici di gioventù A sinistra il grande nemico di Nobili il presidente onorario di Mediobanca Enrico Cuccia Nobili con l'ex presidente dell'Eni Gabriele Cagliari e sopra Ettore Bernabei altro avversario di Nobili Sotto, l'ex ministro Paolo Cirino Pomicino Convinse Nobili che i privati lo osteggiavano

Luoghi citati: Fiuggi, Guernsey, Italia, Roma, Sardegna, Sezze, Sora, Washington, Zurigo