Milosevic colpisce ancora di Giuseppe Zaccaria

«Macché referendum in Bosnia, tutti i serbi devono votare la pace» «Macché referendum in Bosnia, tutti i serbi devono votare la pace» Milosevic colpisce ancora Sconfessato il Parlamento di Pale «La decisione va presa a Belgrado» BELGRADO DAL NOSTRO INVIATO Il referendum sul piano di pace non si può fare. Non così, almeno: una scelta di tale portata non può essere affidata solo ai bosniaci. «Un documento così importante - sentenzia Slobpdan Milosevic - dev'essere votato dai parlamentari della nuova Federazione di Serbia e Montenegro, da quelli della Repubblica serbo-bosniaca e dalla Repubblica di Krajna». A quattro giorni appena dall'appuntamento che avrebbe potuto dare il via al disastro, con mossa sottile Belgrado riesce a guadagnare tempo e nello stesso momento a fare in modo che sui rissosi leader «fratelli» cominci ad allungarsi l'ombra della delegittimazione. L'ennesimo rovesciamento di prospettive viene affidato nel tardo pomeriggio a una dichiarazione diffusa attraverso l'agenzia «Tanjug». Parla Slob.odan Milosevic, presidente serbo, ma col supporto di quello della Federazione, Cosic, del montenegrino Bulatovic, del presidente della repubblichetta di Krajna. L'appello utilizza abilmente tutti gli strumenti ancora a disposizione della politica. Belgrado invita i leader bosniaci a una riunione fissata per venerdì, ribadendo così la centralità di quanto resta della Federazione, ma non lascia certo cadere gli appelli all'unità, anzi solletica abilmente la componente nazionalista. E' vero, le vicende dei serbi sono così intimamente legate che sarebbe folle pensare di far dipendere i destini di tutto un popolo dalla decisione di una minoranza. E non solo: come dimenticare i fratelli di Krajna, i primi e più eroici difensori dell'identità comune, asserragliati da due anni in un'«enclave» che il mondo ha dimenticato? Il messaggio è chiaro: un referendum organizzato dal go¬ verno di Pale non avrebbe valore, qualsiasi rinnovato «no» al piano di suddivisione della Bosnia-Erzegovina sarebbe sconfessato in poche ore. Bisognerà discuterne ancora, i parlamenti torneranno a riunirsi in nuove, storiche sedute. Si prenderà tempo, insomma, e anche la Casa Bianca avrà maggior agio di valutare rischi, tempi e implicazioni di un intervento militare sempre più discusso. Questo il messaggio al mondo. Quanto ai serbo-bosniaci, altri tipi di segnali fanno capire quanto duro potrebbe farsi l'atteggiamento del regime se capi¬ popolo e infiltrati pensassero di fomentare l'opposizione interna, spingendo i gruppi più radicali a ima contestazione aperta a Milosevic. Ieri, la svolta ha colto i serbobosniaci nel bel mezzo di una riunione a «villa Bòsanka». A presiederla c'era Biljana Plavsic, la «zarina nera», per nulla imbarazzata dalla posizione di clandestina in patria. A creare problemi, però, non è stata solo la prospettiva di un referendum che di colpo appare svuotato, quanto la minaccia che ai bosniaci pare di cogliere in certe improvvise curiosità di stampa e tv serbe. L'atteggiamento non è nuo1 vo, in qualche misura riflette anzi vecchi automatismi, ma cominciano ad accadere fatti imbarazzanti: d'improvviso, agli eroici capi dei serbi di Bosnia accade di vedersi dipinti dal grande fratello come una banda di gaudenti che se la spassa mentre la gente muore. L'attacco è improvviso, ma stereofonico. Di colpo, una riga qui, un commento là, alla radio la battuta di un conduttore, la lettera di «un ascoltatore indignato» per far sapere che all'hotel Intercontinental di Bel- grado (prezzo di una notte: quattro stipendi medi) Sonia e Sasha Karadzic, figli di Radovan, presidente a Pale, avrebbero due stanze perennemente a disposizione. Fonti governative rigorosamente anonime definiscono «intollerabile che i dirigenti bosniaci vivano in modo comodo e per nulla modesto, mentre al loro popolo continuano a offrire solo la politica dei morti e della rinuncia». Già si comincia a favoleggiare di fuoruscite raccolte in harem e notti di depravazione. La manovra è chiara, ma non deve apparire priva di rischi se da Pale scomoda addirittura il portavoce del presidente, Draghisha Jokic, per una penosa precisazione. I figli di Karadcic - comunicano dalla Bosnia - vivono sì nel centro di Belgrado, ma in appartamento. Quanto alla condotta dei leader oltre il fiume Drina, «dovrebbe far fede lo stile austero della signora Plavsic». Ancora lei, la «zarina». Non fosse per il truce miliziano che, di guardia al cancello, affida alla bocca del fucile il messaggio «da qui non si passa», villa Bòsanka avrebbe quasi un aspetto leggiadro. Dietro una verde cortina d'ippocastani, s'intuiscono saloni di qualche pretesa. Eccessiva, si direbbe adesso. Lì dentro, adesso i serbo-bosniaci discutono se piegarsi al diktat di Belgrado o esporsi agli imprevedibili rigori dell'inchiesta «mitra pulito». Giuseppe Zaccaria Anche stampa e tv jugoslave sparano sui leader cetnici «Sono corrotti e irresponsabili» Un soldato musulmano punta • un mortaio a Travnik [FOTO REUTER] In alto Milosevic