Il tabù dei soldi rossi

Il tabu dei soldi rossi Il tabu dei soldi rossi Cernè morto il «sensadelpm%i2$®>> LA STORIA I COMUNISTI EI QUATTRINI CROMA. HISSA' dove sono adesso i quattro pidiessini che giusto un anno fa hanno vinto un giro del mondo a spese della Quercia. Chissà come si vivono questo momento i vincitori del concorso-tesseramento lanciato nel 1991 che aveva come slogan «Per la politica pulita». Chissà pure quelli che avevano beccato i premi di consolazione, viaggi a Parigi e a Londra. «Questa prima sottoscrizione - commentava Vincenzo Marini, il coordinatore - ha ottenuto un risultato soddisfacente sia sotto il profilo delle entrate, sia dal punto di vista politico: migliaia di cittadini hanno risposto al nostro appello». Acquistando la carta oro, la carta rossa e la carta azzurra. E vabbè. Adesso non è per partire con le cose che oggi sembrano più strambe e crudeli, tipo il giro del mondo a spese del partito, però tra un Carnevale e un Caporali c'è anche da dire che nel pds non esiste più un'idea univoca sul denaro, un atteggiamento di comune ripulsa, un codice di sobrio distacco. Bastava entrare in una normale casa del più onesto fra i dirigenti post-comunisti e poi in quella specie di cella monacale dove viveva Pajetta - il letto, la libreria, il tavolo, un minuscolo disegnino («a Nullo») - per essere comunque investiti dalla mutazione antropologica. Le correnti, le scissioni. Erano sfumati ormai vecchi parametri; il disprezzo con cui Berlinguer definiva Craxi «un giocatore di poker» cedeva il passo alle slot machines, alla roulette e al Black Jack nelle feste dell'Unità. Da un bel pezzo i soldi, per i post-comunisti, non erano più peccato. La lotteria, la pubblicità, la Borsa (o la vita): ed eccoteli lì, apprendisti stregoni, sopraffatti dall'ex tabù. Quando poi in due grandi e simboliche federazioni come Milano e Napoli si prendono i soldi - e anche da quelli che si potrebbero, si dovrebbero com• battere - non si capisce solo perché le lotte erano limitate, deboli e senza grande fantasia, ma si comprende anche che il terreno era davvero ben arato e fertilizzato.. E a quel punto non bastava Occhetto in lacrime per la seconda Bolognina che chiedeva scusa, prometteva «mai più»; non bastavano neanche quei poveri operai romani della Contraves che restituivano le 50 mila a Cervetti, il migliorista avvisato di reato per Tangento- poh, perché incerti della loro provenienza. Il denaro puzzava come sempre, era solo cambiato il naso del pds. Perché il paradosso è tutto qui: i comunisti, quelli veri, i soldi li prendevano dai sovietici. Tanti sòldi, in dollari oltre tutto. Valigette, cassaforte passaggi avventurosi, antichi tecnici della' clandestinità come Willy Schiapparelli, eroi del partito, forgiati con il ferro, che alla fine sembravano vecchietti, a vederli non gli avresti dato, come si dice, due lire e invece continuavano a funzionare come corrieri del finanziamento più o meno illegale. Ecco, i comunisti beccavano quattrini dai nemici della patria. Però i quattri non li amavano e dei quattrini non parlavano. Fervente, il comunista tipo, e squattrinato. Casto e distaccato, distratto rispetto a quella materia un po' losca anche se indispensabile. Senza una lira e senza un pensiero su chi avesse contribuito, per dire, alla costruzione del palazzo delle Botteghe Oscure («Palazzo Dongo» dicevano gli avversari con limpida allusione a un certo oro fascista che non si trovò più). Onestissimi sul piano personale e del tutto ignari di problemi finanziari, i capi comunisti della galera o dell'emigrazione. Di Togliatti si raccontava addirittura la storia parigina di certi soldi finiti per sbaglio nella stufa (con rassegnazione si attribuì l'errore al piccolo Aldino, o Aldolino Togliatti). Secchia aveva una certa abilità conta¬ bile-organizzativa, ma non dava proprio l'idea di essersi arricchito, anzi vestiva davvero scombinato, oggi si direbbe grunge. Di Vittorio fu fregato da investimenti sbagliati. A un certo punto ci fu pure un Seniga che scappò con «il bagaglio che scotta». Per anni e anni, un po' come avveniva nella Chiesa, il partito delegò questa cura a figure che potevano contaminarsi in nome dell'ideale. Uno era sicura¬ mente, per forza di cose il grande manager dell'editoria rossa, Amerigo Terenzi. Per il resto i magri stipendi, quinto livello dei contratto dei metallurgici; le detrazioni ai parlamentàri, con tutte le distinzioni su chi aveva uno, due, tre figli, uno o due genitori a carico, erano un valore di per sè.'Un rifiuto pregiudiziale, un pauperismo etico che s'intrecciava con il contromondo comunista. A cosa servivano, in fondo, i soldi se il partito provvedeva a tutto? Casa, asilo, clinica di Spallone, befana dell'Unità, cinema in sezione, vacanze sulla nave Ivan Franco, sport con l'Arci Uisp. Al Bottegone, fino a qualche anno, fa c'era addirittura un compagno che si occupava dei funerali. E al cimitero del Verano, pure una specie di mausoleo possedeva, il pei. C'erano anche i compagni ricchi, certo. I palazzinari Marchini, ad esempio, oppure gli artisti. Di Guttuso si favoleggiava che avesse l'autista («in livrea», scriveva lo Specchio!) e il cameriere. Di Luchino Visconti lo stesso. Ma gli artisti erano, appunto, artisti. E a riequilibrare gli eccessi c'era la povertà decorosa delle sezioni descritte nella «Vita violenta» di Pasolini, i vestiti-fagotto dei dirigenti, l'eterno doppiopetto blu di Togliatti, gli sforzi dei giornalisti dell'Unità in trasferta, l'assistenza ai detenuti politici, i periodici fatti in economia, la solidarietà ai licenziati. O quelle meticolosissime circolari del responsabile organizzativo Berlinguer a proposito di tessere e bollini. Lunghi testi di amministrazione partitica che si potevano leggere così: «Come spremere i compagni e snellire ed elevare il tono politico dell'attività». E se nei primi Anni Settanta era Cossutta a rappresentare lo stile tradizionale, un po' misterioso, degli uomini che si occupavano di «quelle cose» (l'Armando accumulò potere «senza peraltro abusarne», il che gli costò l'allontanamento dall'ufficio di segreteria), comunque fu proprio Berlinguer l'ultimo comunista della sobrietà, alfiere di una anticonsumismo con ripercussioni pubbliche e private. La televisione in bianco e nero - come ebbe a notare Craxi e il lancio di quell'austerità che veniva caricaturizzata come una sorta di ascetismo. La ricchezza come indice di volgarità, forse anche prova della corruzione, resistette ancora per un po', un occhio alla Thatcher e uno a Berlusconi. Poi, lentamente ma non troppo, il mito e il tabù del denaro si presero un pezzo di cuore dell'ex pei. Partito come tutti gli altri. Filippo Cecca redi Addio alla cella monacale di Pajetta Le slot machines alle Feste dell'Unità A sin. Enrico Berlinguer con due figlie. A destra Pietro Secchia tra Giorgio Amendola e Luigi Longo Una ricerca medica dice sì alla liquirizia ((Uno studio italiano smentisce assurdi preconcetti: il principale, che faccia satire la pressione arteriosa, anche in minime dosi. ...la liquirizia è da qualche tempo al centro di molte polemiche. Il motivo? Il suo consumo provocherebbe un innalzamento della pressione arteriosa. "È vero? Il quesito interessa, nel nostro paese, ben 13 milioni di consumatori più o meno abituali di liquirizia pura. ...la Società Italiana di nutrizione umana... ha cercato di rispondere con due studi scientifici presentati a Bologna in un recente convegno... ... "La ricerca che abbiamo condotto su soggetti sani per approfondire gli effetti dell'assunzione prolungata di liquirizia - risponde il professor Giovanni Gasbarrini, ordinario di medicina interna nell'ateneo felsineo e autore di uno dei due studi - ha dimostrato con molta chiarezza che il con- da un articolo apparso su "Il sumo moderato del prodotto puro non dà luogo a effetti clinici documentabili. " Un 'assoluzione con formula piena, dunque, con la sola avvertenza - peraltro valida per qualsiasi prodotto - di non abbandonarsi a eccessi. E con l'invito a non cadere nell'errore di confondere la liquirizia pura con la miriade di prodotti che, pur presentandosi in seducenti vesti nere, contengono solo il 2-3% di estratto della pianta, oltre a zucchero e altri ingredienti... ...l'allarme, dunque, sembra riguardare solo marginalmente la popolare "nera" e, cosa che più conta, non ne inficia le riconosciute qualità spasmolitiche, emollienti, espettoranti, antibatteriche, anoressizzanti solo per citarne qualcuna. La liquirizia passa quindi l'esame della Sinu, con sollievo dei suoi tantissimi estimatori che devono solo preoccuparsi di non abusarne. E di sincerarsi che si tratti di liquirizia pura, e non di qualcosa che si limita ad assomigliarle. M Messaggero" del 19/12/1992. SAILA liquirizia purissima

Luoghi citati: Aldino, Bologna, Dongo, Londra, Milano, Napoli, Parigi