Gli ultimi giochi con Marco e i contributi nella voragine di Maria Antonietta Macciocchi

Con U 740 meglio non scherzare AL GIORNALE Gli ultimi giochi con Marco e i contributi nella voragine Una carezza nel tunnel Distruttivo e doloroso, il cancro non risparmia i bambini, alcuni si salvano, altri come Marco, che 10 avevo chiamato il mio Marchino, no. Tutti però sono costretti a percorrere un lungo tunnel di buio e di dolore. Quando Marco si è presentato in direzione con la madre per chiedermi se per venire a scuola poteva passare dall'entrata degli uffici in quanto i bambini lo prendevano in giro, perché era pelato, è sorto in me un terribile senso di strazio e impotenza. Contemporaneamente è scattato spontaneo un senso di solidarietà reciproco: due esseri disperati si erano trovati. Nei bambini la dimensione emotiva è importantissima, insieme ci siamo presentati ai compagni mostrando la nostra testa pelata e spiegando il perché. E' stato un momento di intensa commozione. In tale situazione non bisogna tradire la fiducia del bambino, ma spiegargli semplicemente cosa lo aspetta e cosa gli verrà fatto e come. Una persona amica è rassicurante, e l'amicizia si mostra attraverso il contatto fisico, magari facendo una carezza o mettendo una mano sulla spalla e nel contempo bisogna parlare perché il silenzio favorisce la paura. Così Marco quando doveva affrontare qualche cura veniva in direzione e mi diceva: «Dai, direttrice, fammi una magia». Io mi sedevo di fronte a lui, ci stringevamo le mani e con la mente pensavamo intensamente alla nostra malattia; le dicevamo che il nostro corpo non era sede per lei e che avrebbe dovuto andarsene. Quando si era rilassati e sorridenti, grazie alle nostre sciocchezze, ci lasciavamo e Marco tornava in classe. Anche 11 gioco che facevamo spesso «a cosa somiglia il tuo male?» da cui emergevano tratti di animali incredibili, ma non sempre orridi, aveva lo scopo di normalizzare la malattia che da finestra aperta sul buio si tramutava in un tran- tran di quotidianità spiacevole sì, ma conosciuto. Rosa Alma Santoni Pecetto (Torino) Economia a pezzi colpa della de Dal lontano 1948 la de ha governato con la maggioranza dei voti procurati con una politica clientelare sfacciata. Regalando centinaia di migliaia di pensioni a chi non ne aveva diritto e talvolta neanche bisogno attingendo dalle casse dell'Inps e assottigliando i contributi di una vita dei lavoratori. Tutti i maggiori Enti statali, causa le assunzioni sproporzionate e gli stipendi-liquidazioni d'oro, hanno creato una voragine di miliardi. Morale: anche se strada facendo sono saliti sul carro della de altri partiti minori, le maggiori responsabilità non sono di Tangentopoli ma della de, in ragione dei suoi 13-14 milioni di voti. Se non si tagliano queste pensioni abusive, dando una regolata agli Enti mangiamiliardi, il debito statale diventerà insanabile. Rolando Parodi Finale Ligure (Savona) La «palatina» erudita e infelice Elisabetta Carlotta, principessa palatina, detta più semplicemente «La palatina» o familiarmente «Liselotte», era moglie di Filippo d'Orléans, fratello di Luigi XIV. Su La Stampa del 28 aprile appare invece che la principessa palatina fu «bella sorella» di Luigi XIV. Fu una donna non bella, intelligente, erudita, infelice nel matrimonio, anche intrigante, ma personaggio storico così simpatico e importante da non doversi lasciare involto in un errore banale, dovuto ad una traduzione affrettata: belle soeur = cognata. Fu madre del Reggente e da lei discesero gli Orléans. Sebastiano Trincheri, Genova Qual è la posizione dell'Italia sull'Istria? Il vostro giornale del 26 aprile '93, pubblica in prima pagina mi articolo di Furio Colombo intitolato «La grande Serbia» vista da Manhattan. Sul tema: confronto fra telegiornale americano e quello francese. Jacques Merlino direttore di France 2, mostra alcuni spezzoni dei suoi telegiornali con il generale Morillon a Srebrenica, e le immagini pietose di corpi di donne e bambini straziati dai bombardamenti serbi. Appare inoltre sullo schermo un militare che il giornalista francese definisce «un serbo signore della guerra». Ma fra il numeroso pubblico presente nell'aula della Columbia University, ci sono molti giovani di origine serba che contestano quanto visto e sentito, facendo presente che il militare in questione porta un distintivo croato sulla giacca. Furio Colombo che ha orga¬ nizzato questo confronto si alza per intervenire ma i giovani serbi non lo lasciano parlare chiedendogli ad alta voce: «Qual è la posizione dell'Italia sull'Istria?», chiedono in molti incalzando: «Qual è? Risponda». Ebbene siccome a questa domanda non c'è stata risposta, noi esuli giuliani dalmati che leggiamo ì giornali anche con la speranza di trovare qualche rigo in nostro favore chiediamo, e non è la prima volta: qual è la posizione dell'Italia nei confronti dell'Istria? Sergio Fantasma, Vigevano L'autore della lettera ha visto Siusto. Ho cercato di non risponere durante il dibattito che racconto nella rubrica «Intanto in America» di alcuni giorni fa. Ho cercato di non rispondere nell'articolo. Non rispondo neppure ora. La ragione è che non saprei che cosa rispondere. Non ho notizie, su questo punto cruciale. E come tanti italiani le aspetto con ansia. Furio Colombo «Non ero nella cerchia di Bettino» Non sono affatto grato dell'interesse che il signor Ceciarelli porta alla mia persona, citata ogni tanto nei suoi «pezzi» politici di colore, sempre a sproposito. Questa volta trovo offensivo il suo riferimento a me, nell'articolo scritto per La Stampa (7/5/93) sotto il titolo: «L'esule Craxi: Parigi o cara. L'ex leader potrebbe rifugiarsi in Francia». Ceccarelli scrive testualmente questo: «Soprattutto dopo la sua misteriosa trasferta a Parigi, è difficile non pensare all'asilo di libertà per antonomasia, Parigi. Qui Craxi, francofilo, qualcuno conosce di certo (e vengono subito in testa il pittore Recalcati, il regista Squitieri, la Macciocchi, forse anche l'Abbó Pierre)». E perché, di grazia, io vengo in testa subito a Ceccarelli e senza dubbi? Non faccio parte dell'entourage di Craxi né a Roma, dove abito, né a Parigi, dove ho in affìtto uno studio. Né ho mai incontrato nella capitale francese l'ex leader del psi, così come nemmeno a Roma l'ho frequentato. Ben altra era la corte avida e corrotta, servile e sciocca, che gli stava attorno, compreso, ahimè, qualche giornalista. Queste cose Ceccarelli le sa bene. Ma vorrei notare quanto segue: se avessi fatto parte della sua cerchia è probabile che all'atto del crollo di «Bettino sei tutti noi!» - sotto il peso inoppugnabile delle imputazioni della magnifica magistratura milanese - forse avrei agito in modo meno disinvolto e sbrigativo di quegli opportunisti, e trasformisti «all'italiana», insommergibili nella loro bulimia di potere, e che comunque sembrano essere diventati i nostri ridicoli «eroi» (compreso il Topolino di Età Beta, già primo ministro socialista, tale voluto da Craxi...). Ma occorre parlare di tutto questo? Il problema è un altro. Anche se in Ceccarelli non c'è volontà malevola, egli raggiunge tuttavia lo stesso effetto: quello di insinuare il dubbio sulla vita di quei pochi probi intellettuali che la partitocrazia ha tenuto lontani da ogni incarico in Italia in forza di una omertà vergognosa, che poi è stato il mastice vero dell'egemonia dei miserandi partiti. Tutti compresi. Sotto altra forma l'esclusione continua, e per questo trovo la citazione molto offensiva, inserita in un vecchio metodo. Credo nel giornalismo con un'etica, come ha scritto Barbara Spinelli, nell'articolo apparso sabato 8 maggio su La Stampa dal titolo «Indignati per contratto». on. Maria Antonietta Macciocchi, Roma