Ravenna pds contro Alleanza
I repubblicani si uniscono ai pattisti ma la Quercia ha già rotto il fronte I repubblicani si uniscono ai pattisti ma la Quercia ha già rotto il fronte Ravenna, pds contro Alleanza Sfuma il sogno di un «polo progressista» RAVENNA DAL NOSTRO INVIATO Uno è Pierpaolo D'Attorre. Docente di lettere a Bologna, capogruppo del pds in Consiglio Comunale, una carriera all'ombra della Quercia. L'altro si chiama Ezio Brini, 46 anni, ingegnere per la prima volta prestato alla politica, senza tessere «se non quelle delle associazioni culturali». Il primo è candidato del pds alla poltrona di sindaco: «un uomo dell'apparato», accusano i rivali. L'altro è il candidato di Alleanza per Ravenna, raggruppamento che mette insieme referendari e pri, oltre a pli e psdi. Da queste parti, il patto tra Segni e Veltroni è come se non esistesse. Non cercate qui, il polo progressista. Non cercatelo nella terra dei padroni dalle brache bianche, delle lotte operaie, dei contadini con il fazzoletto rosso al collo, delle grandi cooperative, non cercatelo nella terra dei braccianti che hanno bonificato le valli e le lagune, degli scariolanti che sfilavano contro gli agrari. E non cercatelo nella terra dei repubblicani che hanno fatto la Resistenza assieme ai comunisti, e poi gli scioperi e le lotte contadine, fianco a fianco. A dispetto della storia, il polo progressista - il nuovo polo -, qui, si divide. E che strano, oggi, questo silenzio. Anche il prete con la tunica nera ha sprangato il portone della chiesa e s'è fermato sotto il lampione, come per sentire il respiro della sera. Tira un venticello che viene dal mare e in piazza della Repubblica c'è la folla del sabato sera. Sul palco parla Walter Veltroni, e sotto qualche compagno con la camicia aperta ascolta appoggiato alla bicicletta. Poche bandiere, cartelli sparsi, le solite parole d'ordine. «Con il pds fiducia nel futuro». E poi: «Uniti si vince». Ma nella Romagna rossa, si comincia con «un paradosso», come dice D'Attorre. Per le elezioni del sindaco, si parte così: 4 Uste progressiste. Rifondazione, Rete e verdi presentano Giuseppe Capra. Il psi, Enrico Tabanelli, odontotecnico, vicepresidente del Messaggero Volley, anche lui un nome nuovo. Il pds, D'Attorre. Pri e referendari, Brini. Proprio qui, dove la sinistra governa da quasi 50 anni, il sogno di una grande alleanza progressista non si realizza. Certo, adesso si può dire quel che si vuole. Che non s'è messa insieme, «perché c'è chi si è ritirato dalle sue responsabilità di governo. E poi il pri ha avuto paura che la Lega erodesse il suo elettorato», come dice D'Attorre. Oppure, che non è servito a mente discutere, tentare di costruire qualcosa: «Abbiamo avuto contatti, abbiamo trattato a lungo. Però jl pds non voleva rinunciare al suo simbolo», dice Paolo Gambi, segretario repubblicano. «Il fatto è che il pds non ha ancora scelto se stare con il nuovo in tutti i sensi, e. cerca di ricostruire solo attorno a sé il polo progressista». Ma, nel silenzio della sera, in questa piazza dove la gente del partito non scandisce più gli slogan come se avesse timore di risvegliare ricordi e conflitti, il paradosso che colpisce è un altro. Ed è che le nuove elezioni all'americana che costringono i candidati a passeggiare nel mercato per cercare consensi o a bussare àlle'portéi'C^ per casa;per trovare i voti, nascono nella scia di un passato solo apparentemente conchiuso, finito. Nella Romagna degli scariolanti e della coo¬ perazione, i referendari stanno comunque stretti fra due realtà popolari non ancora inquinate da tangentopoli e restie a cedere il loro piccolo o grande potere accumulato negli armi. «Il fatto è che la Romagna è prigioniera di un' apparato», osserva' Brini. «Dobbiamo, smontare il mecca-, riismo priiflèrui schierarci insieme». Poi, è vero in parte, come dice Gambi, che «qui c'è sempre stata molta passione per la politica. Nei paesi, i luoghi di ritrovo erano le sezioni del pei e de] pri. Tutto questo, nella storia, divideva i paesi. Le cose cambiano. Gli steccati cadono. Però gli ideali restano». Ma è anche vero che può essere più difficile, quasi impossibile, rinunciare a due egemonie. Solo per presentarsi senza simbolo, il pri ha dovuto affrontare un lungo travaglio interno, come testimonia Mauro Mazzotta, capogruppo in Consiglio comunale: «Perché la legge elettorale non è facilmente digeribile dalla base. E noi qui siamo un partito di massa che ha significato qualcosa per la storia anche personale di tanti. Guardi, non ho vergogna di dire che ero innamorato dell'edera». Forse, l'altro passo,'quello di scomparire dietro una nuova alleanza, doveva costare troppo a tutti. Così, proprio qui, alla fine la sinistra può davvero rischiare di perdere. I sondaggi dicono che al primo turno il sindaco del pds dovrebbe raggiungere il 26 per cento dei consensi; quello di Alleanza per Ravenna il 21 o il 22; Sergio Guerra, ex allenatore della Teodoro, candidato de, 1' 11. E poi, via via, gii altri. Ma, dopo, al ballottaggio? «Abbiamo il 50% di probabilità», sorride il repubblicano Gambi. «Siamo alla pari». E D'Attorre, pds: «Non possiamo perdere. Questa città ha bisogno di ricostruire prima di tutto l'autonomia del soggetto pubblico che guarda agli interessi generali della comunità. Nello stesso tempo c'è spazio per costruire assieme progetti di sviluppo. Ognuno deve fare il suo ruolo. Imprenditori sani, anuninistratori corretti». Gli altri, tutti gli altri, per ora. stanno alla finestra. Come ammette Guerra, de: «Non credo di avere tante chancès. Credo però in un reale mutamento delle cose ed è quello che più mi sta a cuore. Nella persona che fa crescere il partito o il movimento, e non viceversa». Nel vento del rinnovamento, che tutto sospinge e schiaccia, oggi c'è ancora posto per le speranze e le illusioni. D'altro canto, negli anni dei partiti, tutto è cambiato, qui intorno. Pure il paesaggio. I filari di viti, che limitavano le biolche e trattenevano il vento, sono scomparsi. E anche l'olmo, i pioppi e i gelsi, li hanno tirati giù. Oggi, la piana è tutta scoperta fin dove arriva l'occhio e finisce il cielo, non ci sono neppure più le case coloniche affogate in mezzo al grantuco e alla canapa. Al loro posto ci sono le cimimele. E nelle campagne, solo l'aria è rimasta ferma, sotto il sole, come se si fosse impigliata tra i rami nudi delle gaggie. Domani, forse cambierà tutto, di nuovo. «Ma state attenti - ammonisce mons. Ersilio Tonini, arcivescovo emerito - tutto il nuovo ha i suoi rischi. Noi siamo in un banco di nebbia dove biso gna camminare a vista. E quan do sarà domani, la passione non basterà. Ci vorrà saggezza, tanta saggezza, e ci sarà bisogno di un popolo di filosofi, come diceva Platone. Ricordiamocelo». Pierangelo Sa pegno «La Romagna è prigioniera di un apparato: bisogna smontarlo prima di schierarci insieme» L'arcivescovo: siamo in un banco di nebbia dove bisogna camminare a vista LA SFIDA i DEL 6 GIUGNO «età |||gffi A destra Con. Gianni Ravaglia, leader del partito repubblicano nella città Nella foto a sinistra monsignor Ersilio Tonini, arcivescovo emerito di Ravenna Raul Gardini uno dei protagonisti della vita industriale a Ravenna
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