Una destra che non c'è di Antonio Lubrano

Una destra che non c'è Una destra che non c'è La «cosa nera»: Segni ci ha traditi I NUOVI ri-qov .flafiótfliif CROMA ERCASI Destra disperatamente. O almeno CentroDestra o comunque la si voglia definire quell'alleanza, quell'unione, quella Cosa che nell'Italia prossima ventura della simmetria maggioritaria - uno schieramento di qua, e un altro di là dovrà pure rappresentare il polo moderato il cui cuore non batte a sinistra. Di qui, nel variegato territorio della sinistra, tutto un pullulare di Alleanze democratiche, movimenti Età Beta, Cose bianche alla Rosy Bindi, reti, rifondazioni e riaggregazioni. Ora il trasversalismo arriva nel campo opposto, tra proclami ed euforìe frammiste a malinconie e velleitarismi. Con un Giscard che non si trova e tanto rancore per chi, come Mario Segni, ha deciso di veleggiare altrove. «Ampio spazio perla destra politica, nel prossimo scenario», annuncia il segretario del msi Gianfranco Fini. Tempo fa i missini terrorizzati dal maggioritario e smaniosi di oltrepassare i confini del recinto neo-fascista hanno suggerito di costruire un'Alleanza nazionale, rifugio di tutti i destri d'Italia, casa comune dell'antisinistra militante. Avevano chiesto aiuto al piccone di Cossiga, ma l'ex presidente, maestro malizioso nell'arte di illudere gli interlocutori, prima è apparso lusingato dal corteggiamento ma alla fine ha risposto picche. Stop da Alessandra Mussolini e dai nostalgici del gagliardetto e della memoria del nonno. Freddezza tra gli intellettuali, con le parziali eccezioni dello storico Franco Cardini, del politologo Domenico Fisichella e del composito gruppo che si stringe attorno all'Italia settimanale di Marcello Veneziani. Per i più che vedrebbero con favore il costituirsi di un polo moderato la Cosa Nera fa paura, semina confusione, risveglia fantasmi, pone problemi di presentabilità. Senza considerare, come suggerisce il leghista Marcello Staglieno, «che sarà ben difficile innalzare il vessillo dell'antistatalismo per chi, come il msi, ha fondato le sue fortune elettorali sull'appoggio della burocrazia o pubblica». Apre ai missini, purché «rinuncino ai rigurgiti fascisti», Raffaele Costa, il nemico numero uno degli statali assenteisti, il Don Chisciotte della lotta agli sprechi assistenziali. Domenica ha radunato le sue truppe piemontesi a Torino. Il pli agonizza sotto i colpi di Tangentopoli e rischia di asfissiare nelle comoda nicchietta garantita dal sistema proporzionale, Zanone dichiara di non starci al progetto di «una grande destra», l'area laica si è dissolta ma Costa, galvanizzato dall'applauso dei entusiasti supporters, confortato dalla presenza dell'economista liberista Sergio Ricossa, del «difensore dei cittadini» Antonio Lubrano, dell'avvocato Raffaele Della Valle e di Alfredo Biondi sferza «i moderati e i conservatori che si sono mossi in modo scoordinato e conflittuale», chiama i liberali alla riscossa e lancia anatemi contro il . Mastodonte Burocratico, lo Stato pigliatutto, l'eccesso di «pubblico» nell'economia. Più mercato e meno Stato, liberismo puro, Reagan più Thatcher, deregulation. Ecco gli ingredienti che per Costa dovranno dare sapore al «polo liberal-democratico», al «centro-destra moderato» pronto a incrociare le armi con la sinistra nell'Italia del maggioritario. Il tutto con gli spezzoni dell'area liberale, ma anche con l'apporto idea delle «Leghe, dei cattolici e dei missini» ripuliti. E qui cominciano i guai. Perché la destra «che non c'è» sono almeno due: una radical-populista e piazzatola, quella del msi, e una liberale, democratica, liberista e moderata che oggi si sente tradita e messa in un cantone dall'uomo che avrebbe potuto aspirare al ruolo di Giscard italiano, il de dalla faccia pulita, il moderato che nell'Italia di Tangentopoli ha indossato suo malgrado i panni del rivoluzionario: Mario Segni, insomma, che invece è approdato nel porto di Alleanza democratica. «Mentre si assiste a una forsennata corsa a sinistra, sarebbe impensabile che i liberali rinun¬ ciassero all'idea di dar vita a un polo moderato», lamenta Biondi con esplicita allusione a Segni. Livio Caputo, editorialista del Giornale, attivissimo fautore di un «polo di centro-destra», dà fondo alla sua amarezza: «Segni è la tipica espressione dell'Italia moderata, nella de ha condotto una coraggiosa campagna contro il con- sociativismo e l'apertura a sinistra. Adesso passa dall'altra parte e apre al pds: secondo me commette una grande sciocchezza». «Il convitato di pietra», come Caputo malinconicamente definisce il polo moderato che non c'è, stenta a decollare, dilaniato da antiche diffidenze, costretto a un'esistenza grama e minoritaria. A Milano un gruppo di destri anomali, tra cui Tomaso Staiti di Cuddia, ha messo su un comitato di «Italiani per la riforma» che ha chiesto udienza alla Lega, poi negata dai seguaci di Bossi. Sconforto di Staiti malgrado gli incoraggiamenti di Vittorio Feltri, direttore dell'Indipendente. Indro Montanelli non mitiga le espressioni del suo pessimismo: «Apparteniamo a mia famiglia che, all'ingrosso, si può chiamare liberal-conservatrice. E' una famiglia di orfani, perché non ha più né babbo, né mamma». Ernesto Galli della Loggia prevede che in mancanza di un polo di riferimento, «l'elettoratro moderato-conservatore si frantumi localisticamente» e lasci senza rappresentanza «i ben presenti e corposi» interessi «moderati». Sergio Ricossa- sottolinea 1'«urgenza di un contrappeso al social-cattolicesimo che arriva sino al pds: qualcosa che comprenda le frange più moderate della de, dei radicali, dei repubblicani, dei liberali e anche, perché no, dei social-liberali alla Amato». Ma ggiunge di provare un certo scetticismo sulla realizzabilità del progetto. E allora, non resta altro che affidarsi alle ruvide maniere di Umberto Bossi? Il politologo Angelo Panebianco ha auspicato che nella Lega MilastrizIl se«No prevalga l'anima «liberista» a scapito degli eccessi di localismo etnico e di folklore nordista che pure circolano nel Carroccio e nelle esuberanze di Gianfranco Miglio. Il termine «liberismo», un tempo considerato tabù dagli stessi liberali, oggi sembra incontrare una nuova fortuna, rivendicato da economisti come Ricossa e Antonio Martino, accarezzato da Silvio Berlusconi, fatto proprio da un editore come Mario Spagnol che appunto nei tratti «liberisti» del Carroccio ha trovato ragioni di simpatia per la Lega. Niente da fare, «la Lega ha le porte sbarrate, vive della sua autosufficienza», spiega Caputo. «E' vero», conferma il leghista Staglieno, «noi rifiutiamo l'etichetta di destra, siamo un movimento liberista di popolo, federalista e anticentralista che non ha e non vuole avere nessun rapporto con un liberalismo che sa di vecchio e di elitario, di simpatiche ma innocue vecchiette che fanno l'uncinetto, di generali in pensione, di circoli dove si gioca a whist». Il polo, quelli del popolo del Carroccio, ce l'hanno già. «Non siamo moderati, non siamo di destra», ripetono i seguaci della Lega. Sfuma la Cosa Nera, si squaglia prima di nascere il «polo liberale». Tempi duri, per la destra che non c'è. Pierluigi Battista Il ministro Costa apre ai missini «Ma prima rinuncino ai rigurgiti fascisti» Milano, Staiti di Cuddia strizza l'occhio alla Lega Il senatur lo respinge «Non siamo moderati» «Mariotto poteva essere il Giscard italiano» A sinistra, il ministro del Trasporti il liberale Raffaele Costa Sopra: il leader del msi, Gianfranco Fini A destra: Antonio Lubrano