I nipotini indegni di Cicerone

discussioni. C'è ancora una grande oratoria politica? A Torino un convegno di classicisti discussioni. C'è ancora una grande oratoria politica? A Torino un convegno di classicisti I nipotini indegni di Cicerone Occhetto &C:o tempora o mores V* Ini TORINO ARO Leoluca Catilina, a mai più rivederci. Firmato: Giulio Cicerone Junior. Andreotti, presidente del Centro studi ciceroniani, si è ricordato del grande oratore anche nei momenti più diffìcili. E ha fatto appello alla sua eloquenza, alla sua «vis polemica», per rintuzzare gli attacchi dell'avversario più accanito. Quanti dei nostri politici, oggi, ricalcano le orme dell'avvocato di Arpino? Esistono ancora oratori come Lisia, Isocrate e Demostene? Se lo chiederanno oggi pomeriggio (Salone Congressi del San Paolo) Giovanna Garbarino, Emanuele Narducci, Adriano Fennacini, Giancarlo Mazzoli e Giuseppe Cambiano, nel convegno «Cicerone, politica, eloquenza, filosofia» organizzato dall'Associazione italiana di cultura classica. Oggi l'arte di parlare bene sembra in declino. I politici si affidano alla frase a effetto, alla battuta bruciante, al volantino. Una comparsata al tg dura pochi secondi, bisogna lasciare il segno. Così, addio frasi raffinate, addio discorsi elaborati e eleganti: «ore rotundo», per dirla con l'in arrivabile sintesi latina. Lo «stile» di Bossi Un discorso retorico, oggi, è solo enfatico e artificioso. Dovremo accontentarci dei dubbi di Occhetto, del cipiglio di Martinazzoli, dell'eterno sorriso di Benvenuto, delle «once di verità» di Pannella? Dopo le strazianti pause di Craxi e i tic verbali di Goria, eccoci servito l'argomentare di Bossi («I democristiani? Lumache schifose, i soliti porci») e l'eterna lotta di Sgarbi con il ciuffo. Emanuele Narducci, docente di Letteratura latina a Firenze, cita Leopardi: di Demostene «s'ha e si legge dopo 2000 anni un'orazione per una causa di tre pecore: mentre le orazioni fatte oggi a' parlamenti o da ninno si leggono, o si dimenticano di là a due dì». Per Narducci, la citazione di «Marco Tullio Andreotti» è un'arma a doppio taglio: «Cicerone era un politico corrotto, aggrappato al potere e ai privilegi, incapace di rinnovarsi. La sua epoca assomiglia alla nostra: anche allora i processi politici sembravano l'unico strumento per regolare la vita pubblica. Ma Cicerone, e con lui tutta la classe politica, fu travolto dal crollo della Repubblica romana e dall'ecatombe delle guerre civili». Anche al latinista Italo Lana Cicerone non piace: «Era, come disse Concetto Marchesi, una natura bisognosa di sentire la sua voce». Per dissuadere i politici dall'unitario, Lana ricorda Montaigne: troppe «lungaggini preliminari», se si cerca il succo delle sue frasi il più delle volte non vi si trova che vento. «Questo vale - aggiunge - per tanti politici di oggi. Mi piace lo stile di Ciampi, come mi piaceva quello di De Gasperi e di Luigi Einaudi». La retorica antica imponeva all'oratore tre regole: essere bre- ve, chiaro e persuasivo. Sono ancora in voga? Secondo il linguista Tullio De Mauro «nel nostro Parlamento non mancano le persone in grado di tenere discorsi lucidi e brevi: Amato, ad esempio, non è un cattivo oratore. E' analitico, e formula discorsi efficaci anche a braccio. Anche di Ciampi mi piace la sobrietà dello stile, l'oratoria asciutta, lineare, tipicamente "attica". Martinazzoh? Le sue risposte sono sempre problematiche, ma non penso che cerchi di vendere fumo. Certo la gente chiede uno stile più diretto, più immediato. Ma questo implica ad esempio i costi dello sgarbismo. Allora alla linearità dell'insulto preferisco la complessità di Martinazzoli». Lo storico Luciano Canfora non è tenero con il pds: «Togliatti era molto eloquente, come Terracini e Pio XII. Longo non lo era. Occhetto ha una grandissima capacità di contraddirsi, lo fa quasi nello stesso discorso, mentre Napolitano ha su di me un effetto soporifero». Ma allora quali sono i retori moderni? Fini? Bossi? Leoluca Orlando? Pannella? «Per carità - dice Canfora - non confondiamo l'oratoria con gli "scarrucolanti". Pannella è come un venditore ambulante che piazza biro al mercato: grandissimo chiacchierone, violento, adulatore, ossessiona i passanti». Le oscurità democristiane Anche l'antichista Carlo Carena, per trovare esempi di grandi parlatori, si rifugia nel passato: «Lord Gladstone, Vittorio Emanuele Orlando. Anche Pannella e Spadolini sanno farsi ascoltare, mentre Bossi dovrebbe prima imparare la grammatica. Scali aro tornisce bene i periodi, ma è un po' ricercato». La retorica, arma della democrazia greca, troverà estimatori anche nella nostra nuova Repubblica? «Per noi - spiega Canfora la vera discriminante non è tra chi parla bene e chi parla male, ma tra chi parla chiaro e chi parla oscuro. La gente è stufa di non capire quel che dicono i politici. La palma dell'oscurità l'avevano i democristiani: le "convergenze parallele" sono im paradosso euclideo che ha fatto storia. Se ne sta accorgendo anche Martinazzoli, che cerca di ovviare al suo timbro di voce poco chiaro, alla pronuncia un po' infelice. Quando vuole sa essere chiarissimo, persino sferzante». Memore, forse, di una battuta latineggiarne, sentita di recente in tv: «Ubi Mario (Segni), Mino cessat». Carlo Grande Canfora: «Il leader delpds maestro nel contraddirsi Pannella, venditore ambulante che piazza biro al mercato» Pochi i promossi: Spadolini, Ciampi, (in parte) Scalfaro eMartinazzoli Nelle foto sopra Marco Pannella (sulla sua oratoria, giudizi discordanti) e Giulio Andreotti. Qui a lato Achille Occhetto Sopra Marco Tullio Cicerone: «Era un politico corrotto - dice il latinista Narducci -, la sua epoca assomiglia alla nostra». In arto a sinistra il linguista Tullio De Mauro

Luoghi citati: Firenze, San Paolo, Torino