TUTTI A TAVOLA

TUTTI A TAVOLA TUTTI A TAVOLA Come la fame di soldi ha coinvolto e corroso i partiti PROMA ARLARE di soldi? Ohibò! Che volgarità». E invece, adesso che la «grande slavina» rischia di travolgere tutto e di seppellire con la sua gragnuola di massi assieme alla democrazia italiana il «povero villaggio che sta in attesa a valle», sembra proprio il caso di non far gli schizzinosi e di affondarlo, finalmente, il coltello nella «grande rimozione» nazionale. E allora che si parli di soldi, il grande buco nero che rischia di inghiottire la Prima Repubblica, il cancro che ha corroso le fibre della democrazia post-fascista. Senza ipocrisia, però. E senza scaricare tutti i peccati sul pirata numero uno, sul «Francis Drake del socialismo italiano»: su Bettino Craxi, protagonista mattatore della Grande slavina, il ruvido pamphlet storico-politico di Luciano Cafagna che Marsilio sta per mandare in libreria (pp. 192, L. 16.000) e che appunto alla storia parallela e «rimossa» dei soldi che hanno foraggiato e ora rischiano di sommergere la democrazia italiana dedica la sua polemica attenzione. Vale la pena segnalare che nella biografia politico-intellettuale di Cafagna non manca un periodo di stretti rapporti con Craxi-Drake. Che lo storico Luciano Cafagna, cui si deve la stesura materiale del «documento dei 101» intellettuali che nel '56 ruppero con il pei dopo i fatti d'Ungheria, è stato uno dei protagonisti, nella seconda metà degli Anni Settanta, di quel «nuovo corso» culturale socialista raccolto attorno alla rivista Mondoperaio che guardò con molte speranze all'astro nascente di Craxi. E ancora: che Cafagna è coautore di un libro, Duello a sinistra, scritto a quattro mani con l'amico del cuore Giuliano Amato per fissare le coordinate dell'offensiva culturale dei socialisti. E che nonostante tutto questo Cafagna, craxiano sconcertato dalle involuzioni del craxismo, nel corso degli Anni Ottanta, nel periodo dell'apoteosi di Francis Drake, ha preferito piuttosto appartarsi. Craxiano sofferente, se si vuole, testimone sgomento di un morbo che nel corso degli anni non ha cessato di dilatare il suo raggio malefico fino al botto finale, alla tempestosa caduta, al crollo, alla «slavina» che oggi sta brutalmente annientando quel Garofano così baldanzosamente esibito fino al giorno prima. DEPOSTO dal torrente c'è un macigno/ancora morso dalla furia/ della sua nascita di fuoco»; Unga I retti, Calitrì, la terzina iniziale. Due quartine completano il breve componimento, che (distrazione?) non compare nell'opera omnia mondadoriana. Un «quasi inedito», pubblicato una sola volta, nel '49, in pochissime copie, dalle Edizioni della Meridiana («antenate» del Saggiatore) insieme agli altri capitoli che compongono II povero nella città, ora in uscita da SE con un importante saggio di Carlo Ossola. Pagine scritte negli Anni Trenta, solo in apparenza di viaggio (viaggio mentale, dell'anima con Cervantes, Leopardi, la Bibbia; viaggio filosofico, «religioso», nell'ancestrale Egitto, nell'Italia greca); in realtà «poèmes en prose» perfettamente compiuti, «testi acuminati» come sottolinea lo studioso. Per spiegare l'assemblage compiuto dall'autore stesso nel primo dopoguerra «in opposizione al neorealismo, in nome dell'eredità dei Cecchi, dei Paulhan, di Morandi», Ossola ripercorre un itinerario affascinante e complesso: proprio la storia sotterranea del «poème en prose» nel 900 italiano. Forte aiuto per chi voglia entrare a fondo nel mondo ungarettiano, capire da quali profondità giunga e chi sia veramente il «Povero» per il poeta di II dolore, decrittarne correttamente il linguaggio. Non il mistero, certo: perché il Povero è il «faqir» arabo, «è un uomo di pena che ha preso su di sé il peso dell'esistenza altrui». Don Chisciotte, naturalmente. \ I piccioni: - C'è quel signora piccolo, mannnggiii miseria, clic da tre giorni s'è 'mischialo a noi e ci frega indo il pane! Mosca. «Bertoldo», l'W Domanda: «Quando parla di una Sicilia che risale al Nord, lei cosa intende, quali sono le cose che conquistano il Nord? Sciascia: «Intendo la mancanza di spirito pubblico, il siciliano è cinico, l'essere cittadini e sentire lo Stato qui si riduce molto, qui si sente l'individuo. Naturalmente ci sono forme di associazione tra le persone che non sono esattamente quelle che la legge vorrebbe. Questo si va diffondendo nel mondo, non soltanto in Italia...». Racalmuto, 1985: sui problemi della sua terra, la cultura, l'europeizzazione, la condizione femminile, lo scrittore concede, alla tv francese, un'intervista rimasta sconosciuta. Sarà presentata per la prima volta e integralmente nel secondo numero di Dove sta Zazà, il nuovo bimestrale meridionalista voluto da Goffredo Fofi con un nutrito gruppo di studiosi. Dopo l'esordio con Napoli, l'obiettivo è ora sulla Sicilia (i prossimi numeri si occuperanno di Puglia e Lucania): 70 pagine con interventi di uomini di legge, saggisti e critici (Di Lello, Lupo, Giudice), narratori (Fiore, Mazzaglia), giovani poeti (Mazzone e Lucrezi). Un'indagine a tutto campo che vuole anche rimettere a fuoco l'immagine, a tratti turbata, di Sciascia. Il nervo del problema lo tocca il giudice De Cataldo: «Senza Sciascia, oggi i magistrati non sarebbero quello che sono». serve a tener su «centinaia di sedi in tutto il Paese» con tanto di costi di energia elettrica, telefonate e attrezzature minime, «migliaia di dipendenti a tempo pieno, oltre a quelli a tempo parziale». E poi «congressi, comizi, grandi raduni festaioli e non, luoghi di riunione, spostamenti e continui viaggi di personale, mezzi di trasporto» e ancora «stampa quotidiana, settimanale, mensile, manifesti, propaganda stampata, documentari» finché tutto non si complica quando compare pure la tv. La «grande rimozione» secondo Cafagna, è tutta qui. Già, ma Francis Drake? Eccolo, arriva con ingordigia e spregiudicatezza quando i socialisti-vogliono smetterla di fare la parte del «fratello povero» e subalterno di volta in volta ad uno dei due Leviatani. Colpo di reni, scatto d'orgoglio, autonomismo, polemica dura con il pei e poi con la de. L'ascesa di Craxir Drake si compie a passo di carica. Ma c'è qualcosa che per anni s'acquatta nelle pieghe della marcia trionfale, qualcosa che porterà alla tomba il socialismo italiano una volta svelata quella «Milano 2 dell'economia», quella fiscalità parallela che ha convenzionalmente preso il nome di Tangentopoli. Quel qualcosa, spiega Cafagna, è stata la perniciosa convinzione che nella «stanza dei bottoni» favoleggiata da Nenni ci fossero anche le chiavi della cassaforte e che l'autonomia del partito socialista su altro non potesse poggiare se non sul possesso «autonomo» di quelle chiavi. Con l'avidità dei nuovi arrivati, i più bisognosi, i rappresentanti del «partito dalla struttura finanziaria più instabile e più improvvisata» diventano la compagnia aggregante per chiunque coltivi «arroganti pretese» sulla società italiana. Accanto alla leadership carismatica del Capo si dilata «una classe politico-amministrativa» ramificata ed estesa che semplicemente fa dell'acquisizione di finanziamenti l'alfa e l'omega della propria attività. Con il che il cerchio si chiude e la crisi fiscale descritta da Cafagna si trasforma irrimediabilmente in «crisi morale» con tanto di «guerra civile tra i poteri dello Stato». Una valanga di soldi che porta alla «grande slavina». L'Italia che rischia di disfarsi e di fare bancarotta. Conviene pensarci su, prima di sbagliare una seconda volta. A desini: Luciano Cafagna Sotto: Enrico lierlinguer e Aldo Moro Pierluigi Battista // «sosia americano» di Raymond Roussel: Io, un dattilografo delle percezioni» Paola Decina Lombardi