Spettatore emozionato non rende al supermercato di Stefania MirettiGiuliano Ferrara

Le aziende temono un contagio malevolo tra le «trasmissioni a forte impatto emotivo» e gli sponsor Le aziende temono un contagio malevolo tra le «trasmissioni a forte impatto emotivo» e gli sponsor Spettatore emozionato non rende al supermercato AI miei clienti dò un consiglio: non posizionare spot all'interno o nelle immediate vicinanze di trasmissioni televisive a forte impatto emotivo. Alla larga dalla tv spazzatura e dai film violenti. Alla larga da sangue, grida, aggressività». Bum, una sassata colpisce alle spalle l'esercito, in ritirata, dei tele-urlatori. A lanciarlo è Mario Mele della M&CS, agenzia media specializzata nell'acquisto e nella pianificazione di spazi pubblicitari, che gestisce 600 miliardi all'anno per conto di aziende come Barilla, Averna, Johnson &• Johnson, Colgate, Seleco, Zamberletti, Toyota. Mele è convinto che «un telespettatore teso ed emozionato non raccoglie alcun messaggio pubblicitario». Un esempio? «Dell'audience che Sgarbi può portare, gl'inserzionisti non sanno che farsene». E' vero? Sollecitati dalle aziende, gli Utenti Pubblicità Associati hanno commissionato al sociologo Gian Paolo Fabris una ricerca per stabilire se possano verificarsi episodi di «contagio malevolo» fra le trasmissioni di bassa qualità e i marchi che vi vengono associati. La risposta la conosceremo in settembre. Quali trasmissioni siano state prese in considerazione dagli esperti dell'Istituto Europeo di Comunicazione di Cà Foscari, invece, non lo sapremo mai: «Non ci interessa creare inutili polemiche con questa o quella rete», spiega il direttore generale dell'Upa, Felice Lioy, «vogliamo invece verificare un'impressione». Nata come, quando e perché? «Sfogliando le riviste periodiche di basso livello: su quei giornali c'è poca pubblicità, e più che altro si tratta di reclame di prodotti miracolosi per eliminare i brufoli o per essere più felici in amore. Così ci siamo domandati: perché su un certo tipo di giornali no, e su un certo tipo di tv sì?». Nessun pregiudizio morale, dunque, ma solo un problema di costi e benefici: «Può anche darsi che si scopra che il prodotto reclamizzato all'interno di una trasmissione di bassa qualità acquisti notorietà pur perdendo d'immagine», ipotizza Lioy, «e che ciò non dispiaccia ad alcune aziende. Ma perlomeno saranno avvertite». Anche il pubblicitario Marco Testa pensa che «troppa morbosità non faccia bene allo spot». Tanto più che «il fenomeno della tv spazzatura è in calo», dice, «e la fase di denuncia generale sembra esaurita: andiamo verso la ricostruzione, e pur se ogni campagna è un caso a sé, scegliendo di dare un messaggio più cauto e tranquillo si rischia di fare la cosa giusta». E, d'altra parte, il dietrofront dei creativi era iniziato da un pezzo. Gli albori della tvspazzatura avevano coinciso, in Italia come in America, con una stagione di spot duri, paurosi o violenti (celebre quello americano del bambino che gioca in mezzo alla strada e verrebbe senz'altro investito dall'automobilista, se il pneumatico «giusto» non consentisse una provvidenziale frenata), accompagnati da colonne sonore angoscianti e ossessive. Difficile dire se sia la pubblicità a imitare la televisione, o viceversa. Ma la tesi che per arrivare a un pubblico sempre più viziato da forti emozioni bisognasse infastidirne i sentimenti, con ogni mezzo, anche sostituendo i vecchi jingles con il «Dies Irae» o con la colonna sonora di «Baghdad Café», sembra decisamente tramontata. E forse non è un caso se alla recente selezione dei dieci migliori spot trasmessi in tv nell'ultimo anno sono stati bocciati i tre «incubi», pur molto belli, realizzati da Fellini per la Banca di Roma. «Personalmente non ho amato quel periodo - afferma Mario Mele -; penso che la pubblicità debba essere leggera, positiva, mai angosciosa». E Testa ricorda che «se una trasmissione può far discutere, o irritare, lo spot deve invece mirare a farsi accettare: la pubblicità è obbligata a suscitare un po' più di simpatia e d'ironia». E' dunque merito, o colpa, degli inserzionisti se la tv gridata emette gli ultimi, sgraziati strilli? Se Mosca appare sempre meno in tv, se Ferrara ha deciso di votarsi prevalentemente a «buone» cause? Dobbiamo ai produttori di detersivi e dentifrici il generale abbassamento di tono di alcuni tele-urlatori? Sia in Fininvest che in Rai abbozzano: «Non è mai successo che un investitore rifiutasse un programma», commentano alla Sipra, società che raccoglie le inserzioni pubblicitarie per conto della Rai, «anche se si cerca sempre di trovare per ogni marchio la trasmissione che abbia il target giusto». Meno categorici alla Publitalia di Berlusconi, dove in attesa di verificare un fenomeno, gli hanno comunque già trovato un nome: «La tv spazzatura e i film violenti vampirizzano lo spot? Per il momento non ci sono prove», afferma Carlo Momigliano, «e personalmente penso che nel caso della fiction il problema non sussista, essendo molto forte lo stacco tra la vicenda narrata e l'interruzione pubblicitaria. Diverso è il caso delle sponsorizzazioni. Abbiamo effettivamente avuto problemi, anche in passato, a trovare marchi da ab- binare ad alcuni programmi, come "Colpo Grosso", o quel "Linea diretta" che ricalcava un po' il "Chi l'ha visto?" della Rai». E più recentemente? ((Attraversiamo un momento di crisi dell'investimento pubblicitario, ed è ovvio che in questa fase le aziende siano più attente a dove vanno a finire i loro quattrini. Tutto qui». Eppure la ricerca dell'Upa potrebbe avere un'influenza determinante sui palinsesti autunnali, visto che Rai, Fininvest e Fieg sono direttamente coinvolte nel progetto. La speranza è che non si scopra che solo lo spettatore annoiato e coi sensi intorpiditi è in grado di recepire pienamente il messaggio pubblicitario. Stefania Miretti Sotto accusa anche i film violenti «Se c'è ansia la promozione fatica a passare» to io Vittorio Sgarbi, protagonista di un incidente con la «Barilla» Per Giuliano Ferrara un nuovo corso

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