Il vino in ostaggio

Ricasoli in crisi, i dipendenti lo «sequestrano» come garanzia Ricasoli in crisi, i dipendenti lo «sequestrano» come garanzia Il vino in ostaggio AL castello di Brolio, nel cuore del Chianti classico, è scoppiata la guerra del vino. Ed è battaglia legale per le prestigiose etichette Ricasoli fra gli eredi del barone Bettino, il gruppo australiano Thomas Hardy (già socio di maggioranza) e le distillerie Moccia di Ferrara, ben intenzionate a succedere nella proprietà dell'azienda. Nel mezzo della contestazione, i 64 dipendenti della Vinicola che per tre giorni hanno occupato l'azienda di Gaiole in Chianti e «sequestrato» 6 miliardi in valore di vino, unica garanzia economica per un futuro occupazionale con molte incertezze. E oggi, dopo un incontro con i consulenti della casa Ricasoli, in assemblea decideranno se continuare la loro protesta. E' in pericolo il futuro della più antica azienda vinicola italiana, le cui origini risalgono al 1141, uno dei marchi di maggiore tradizione del nostro vino: quello di Bettino Ricasoli, il «barone di ferro», che siglò come primo ministro anche l'Unità d'Italia, il primo a dar vita ad una moderna enologia. E' già da qualche tempo che gli affari alla Ricasoli non andavano più a gonfie vele: bottiglie di vino invendute continuavano a rimpinguare le cantine e aumentavano i debiti dell'azienda fino all'insostenibile livello di 20 miliardi di lire. Le previsioni della Thomas Hardy & Sons, azienda leader nella produzione vinicola australiana che nell'89 era subentrata nella conduzione della Ricasoli rilevando il 51% della proprietà della United Wine Producer, non avevano dato negli anni i risultati sperati (la famiglia Ricasoli aveva una quota di minoranza). Con l'arrivo del nuovo partner australiano, gli obiettivi erano ambiziosi: quelli della scalata del mercato nazionale e internazionale. Soprattutto, si sperava che la Hardy's fosse la chiave vincente per una massiccia penetrazione nel mercato australiano, della Nuova Zelanda e del Regno Unito dove gli australiani possedevano la Whiclar and Gordon specializzata nella distribuzione di vino. E inizialmente i programmi sembravano aver individuato una buona strategia. Le bottiglie commercializzate - con il Chianti, anche il nobile Brunello ed altre etichette - raggiunsero quota 6 milioni; il fatturato in pochi anni raddoppiò superando quota 30 miliardi. Ma questa escalation non ha avuto lunga vita sia per la crisi del mercato vinicolo sia per l'insuccesso di certe scelte. La situazione ha finito per deteriorarsi tanto da indurre la Hardy's a porre in vendita la proprietà chiantigiana. L'affare sembrava andare in porto con la Zabov Moccia, ma improvvisamente il contratto andò in fumo. E si .irriva al concordato preventivo, una mossa considerata «speculativa» dai sindacati e anche dalle distillerie Moccia che hanno avviato una procedura arbitrale nei confronti della Thomas Hardy. Antonella Leoncini

Luoghi citati: Ferrara, Gaiole In Chianti, Italia, Nuova Zelanda, Regno Unito