«Affabulazione» poi «Pilade» e «Calderon»
Debutto il 18 maggio al Carignano con Umberto Orsini e la Quattrini «Affabulazione», poi «Pilade» e «Calderon» TORINO. Sembrava disperso Luca Ronconi, emigrato altrove. Le note difficoltà finanziarie in cui annaspa il Teatro Stabile avevano costretto al silenzio una delle voci più vigorosamente creative che questa città può ancora vantare. Ma ecco, a fine stagione, una raffica di tre spettacoli pasoliniani: «Affabulazione» con Umberto Orsini e Paola Quattrini (al Carignano il 18 maggio con un'anteprima ad inviti il 17); «Calderon» e «Pilade» al Castello di Rivoli l'uno e il due giugno, interpreti gli allievi della scuola teatrale dello Stabile. Un'alzata di testa molto densa e poco costosa (ma per «Affabulazione» è stato necessario il concorso produttivo del Teatro di Roma); un'impresa artistica che richiede fiato lungo e nervi d'acciaio. Soprattutto se pensiamo alla fama di irrappresentabilità che accompagna il teatro pasoliniano. Che significa questo exploit? «Una scommessa». Viene in mente la seconda metà degli Anni Settanta, quando al Fabbricone di Prato era possibile vedere Ronconi impegnato su più fronti. Nel '77-'78, lavorando su «La vita è sogno» di Calderon de la Barca e per mostrare tutte le gemmazioni di un mito teatrale, mise in scena anche «La torre» di Hofmannsthal e il «Calderon» di Pasolini. Fu il primo approccio a uno scrittore che, pur diffidando del teatro e più- deprezzando gli attori, aveva voluto rinnovare la scena con un «Manifesto» che fece clamore. L'incontro di Pasolini con la drammaturgia fu folgorante e polemico. Scrisse le sue sei tragedie «in pochissimo tempo», dal '65 al '66, accettando di mettere in scena «Orgia» alla fine del '68 per lo Stabile di Torino. Nello stesso periodo Ronconi preparava qui il «Riccardo III». Si conobbero in quell'occasione, ma senza particolare interesse. «Non avevamo molti punti in comune, praticavamo due forme di teatro molto distanti, non potevamo intenderci. Tornammo a vederci a Roma, quando provavo "Il candelaio" con Laura Betti e Ninetto Davoli. All'epoca esisteva ancora un significativo cerchio di cinema e letteratura, non c'era l'attuale dispersione». Che impressione le lasciò Pasolini? «Nessuna in particolare. Non mi impressionava la sua diffidenza per i teatranti: era la diffidenza di tutti i letterati, per i quali il teatro era un fatto letterario e, al massimo, tolleravano un genere di rappresentazione degradata, volutamente miserabile sul pia no estetico. Da sempre l'intellighenzia detesta il teatro, rifiuta l'attore professionista. Perché Pasolini doveva essere diverso?». Lei conosceva già il suo tea tro? ((All'epoca avevo letto una sua commedia. Credo s'intitolasse "Nel '45". E' rimasta inedita L'avevo trovata curiosa, niente di più. Ma poi, ripensandoci, vi ho riconosciuto i temi che attraverseranno tutta la produzione successiva: lo sdoppiamento del personaggio, il sogno. La scoper ta portò al laboratorio sul "Cai deron"». La marcia di avvicinamento conduce ora a questa trilogia, che è la metà esatta dell'intero teatro pasoliniano Perché tre opere? «Per una scommessa forte e piena di sfumature. Io non sono mai stato d'accordo con il "Manifesto per un nuovo teatro" non condivido l'idea di un teatro declamato. Ho scoperto che in Pasolini c'è una possibilità di teatro molto diretta». E sul piano storico? «In questi anni ho sentito il fastidio e la sofferenza che Pasolini ha suscitato intorno a sé, la sgradevolezza che hanno tutti i profeti di sventura. Ho anche capito che i profeti di sventura hanno sempre ragione. Ma ci ricordiamo ancora delle profezie di Pasolini? Dubito. E proprio perché non ce ne ricordiamo ho deciso di affidare "Calderon" e"Pilade" ai ragazzi, che non hanno memoria storica di ciò che è successo. Mi è sembrato curioso farli scontrare con una materia così lontana da loro. La memoria è importante per gli attori e gli spettatori. Abbiamo memoria di Shakespeare, ma non abbiamo memoria di Pasolini, dei suoi tempi, di quel tipo di passione. E poi, a differenza di Shakespeare, non c'è alcuna tradizione di spettacolo che colmi il vuoto». Che cosa ha scoperto rileggendo «Affabulazione», «Calderon» e «Pilade»? «Che sono tre testi autobiografici. Il carattere autobiografico' di "Affabulazione" non è nella pas¬ sione erotica. E' nel riconoscimento che tutte le tappe della vita e dell'ideologia sono state le coperture di un'oscenità nascosta in noi. Di Pasolini resta un'immagine tragica, di martirio, di autodistruzione. Anche se queste opere sono tutte stazioni di una via crucis, cerchiamo di non presentarle con un segno truce, come sarebbe spontaneo vederle attraverso il mito di Pasolini». Che vuol dire? Che bisogna dimenticare Pasolini? «Non si tratta di dimenticarlo, ma di restituirgli qualche tratto di felicità che pure aveva e che è presente nella sua opera». Ecco allora ((Affabulazione» nel segno della concretezza, senza deformazioni, senza travestimenti. Anche il personaggio chiamato L'ombra di Sofocle, il più sfuggente e immateriale, non sarà un'apparizione alla Savinio o alla Giraudoux, ma avrà l'aspetto di un visitatore. E così gli altri, il Padre, la Madre, tutti colti nella materialità della loro natura. Oltre al ((virtuosismo d'attore», Orsini possiede per Ronconi un tratto giovanile essenziale alla definizione del personaggio: un industriale lombardo che uccide il figlio per l'impossibilità di rinnovarsi in lui. «Se al suo posto ci fosse un cinquantenne dall'aspetto paterno, "Affabulazione" si ridurrebbe a un conflitto di generazione». Invece deve mostrare «la tensione al tragico e l'impossibilità di rifare la tragedia». Che equivale a respirare una robusta boccata d'ossigeno. Dice Ronconi: «Siamo appena usciti da una stagione di minimalismo forsennato. Proporre testi pieni di carica civile forse è anacronistico, forse è una provocazione necessaria, comunque è un fatto inconsueto». Si ferma. Chiede: «Sono pedante?». Risponde: «Sarò pedante, ma tutto questo ha una sua necessità». Osvaldo Guerrieri Debutto il 18 maggio al Carignano con Umberto Orsini e la Quattrini «Dobbiamo ricordarne le cupe profezie Ma voglio farvi scoprire la sua felicità nascosta» Ronconi, Montagna, Fabbri (in piedi); Orsini e Quattrini (seduti) Qui a sinistra i giovani della scuola di Ronconi. Nella foto grande il regista
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