«Il suo onore in pasto ai cani» di Enrico Benedetto

A Nevers l'addio all'ex premier suicida. Il Canard Enchaìné: era ossessionato dall'idea di essere arrestato A Nevers l'addio all'ex premier suicida. Il Canard Enchaìné: era ossessionato dall'idea di essere arrestato «Il suo onore in pasto ai cani» L'ira di Mitterrand ai funerali di Bérégovoy NEVERS DAL NOSTRO INVIATO «Hanno gettato ai cani l'onore di un uomo e, in definitiva, la sua vita». Con una piccola, veemente frase, Francois Mitterrand trasforma in j'accuse l'orazione funebre per Bérégovoy. La bara con le spoglie dell'ex premier ps morto suicida il 1° maggio è a qualche metro, avvolta nel tricolore. La spoglia Place de la Republique trabocca di folla. Sui visi, rabbia e dolore. Nella cattedrale, impietose telecamere avevano zoomato sugli occhi umidi di Francois Mitterrand, in prima fila a sorreggere la vedova Gilberte. Una messa interminabile, conclusa fuori protocollo dallo struggente «Tema di Lara» nel «Dottor Zivago», musica nella quale Bére ritrovava commosso le sue origini russe. Mitterrand lascia che il vescovo di Nevers pronunci il sermone d'addio a «fratello Pierre» e trovi nobili parole per riconciliare a Dio l'umana sofferenza. Ma la vera omelia la pronuncerà, fuori dalle mura consacrate, il Presidente. E non all'insegna del perdono. «Ha preferito morire piuttosto che subire l'affronto del dubbio», scandisce Mitterrand. «I suoi accusatori hanno mancato alle leggi fondamentali della nostra Repubblica, quelle che proteggono la dignità e la libertà di ogni cittadino» rincara. La formulazione abbraccia un ampio spettro, in modo che ciascuno possa riconoscervisi: giornalisti, avversari politici, magistrati. Mitterrand - si direbbe - ha deciso che i colpevoli esistono e vanno ricercati in quelle tre categorie. Sembra dunque condividere - complice l'estrema emozione dell'ora - la tesi, che fa di Bérégovoy una vittima sacrificale, se non il protomartire del mitterrandismo. In mvaltro passaggio Bére «uomo integro e buono» si ritrova «fragile» dinnanzi a una battaglia politica che «devia, cambia natura e punta al cuore». Qualcuno vi legge una du¬ rissima sentenza su giudici come Jean-Pierre (che indagava sul prestito di Roger-Patrice Pelat a Bérégovoy) i quali, spalleggiati dai media, manipolerebbero per fini diffamatori o narcisistici la pubblica opinione favorendo interessi partigiani. Chi manovri chi nel triangolo infernale non è dato sapere. Ma ecco, le accuse sono lì sul tavolo. Per Mitterrand quel suicidio eccellente cela «un grave avvertimento». «Ne faccio giudici i francesi» prosegue severo, auspicando «nuove forme» in cui «il rispetto» prevalga sulla cieca animosità. Il fervorino finale non attenua la durezza dei propositi espressi alcune righe sopra, un verdetto senza appello (né prove ultimative). Perlomeno il «Canard enchaìné», che primo rivelò l'affaire Bérégovoy, rifiuta ogni «mea culpa». Nel numero in edicola stamane rimbecca con determinazione estrema i suoi pubblici accusatori di lunedì (Fabius e Léotard) e offre una nuova luce sul suicidio dell'ex premier. Ossessionato dalla vicenda Pelat, Bére era convinto fosse imminente un avviso di garanzia o, persino, l'arresto. «Le responsabilità, che assumo, nella sconfitta alle Politiche» (lettera del 24 aprile), i rimorsi, la solitudine non meno della guerra civile in seno al ps (temeva di ritrovarsi capro espiatorio) l'avevano spinto ancor più verso l'abisso. Ora, in suo nome, rue Solferino annuncerà l'unione e l'orgoglio ps ritrovati. Ieri, in chiesa, gli acerrimi nemici Fabius e Rocard sedevano fianco a fianco, Edith Cresson riemerge dal suo rancoroso esilio, le correnti vacillano. Uccidendosi, Bérégovoy sembra favorire il rimarginarsi della ferita elettorale e del masochismo ps. E dal Cielo addita la via. Lucida immolazione per la salvezza collettiva? Andiamoci piano, ma gli intimi non escludono che l'idea lo tentasse, offrendogli forse l'unico riscatto ormai possibile. Enrico Benedetto La moglie dell'ex premier suicida, Gilberte [FOTO REUTER)

Luoghi citati: Bérégovoy, Nevers