Com'è triste vivere da socialisti «Per la gente siamo appestati»

Com'è triste vivere da socialisti «Perla gente siamo appestati» Com'è triste vivere da socialisti «Perla gente siamo appestati» IL GAROFANO SBEFFEGGIATO TROMA RISTE è la vita del Socialista. Insultato. Deriso. Depresso. Forse spaventato, anche se non lo dirà mai. «Se provano a linciarmi, faccio come il Pannella schiaffeggiato dai fascisti. Mi butto nella mischia. Mica sono uno che scappa, io», promette da Napoli l'ex vicesegretario Giulio Di Donato. Per ora gli è andata bene, anche se ieri mattina un gruppo di giovanotti ha versato un po' di parolacce davanti alla sede locale del suo Psi. «Ormai è una moda», ammette sconsolato. Una moda che fa paura. Se oltre ad essere socialista, ti chiami pure Bettino Craxi, vivi giorni blindati, con ragazzini sempre pronti ad agitarti un cappio più o meno simbolico sotto il naso durante l'ora d'aria. Ma la sorte non cambia troppo se sei Ugo Intuii sbeffeggiato in via del Corso mentre con sprezzo del pericolo concedeva un'intervista - oppure Enrico Manca, che ieri ha raccontato ai suoi compagni di segreteria di esser stato lapidato a parole per le vie della città. Era un partito. «Adesso siamo un problema di ordine pubblico», dice Giuseppe Garesio. Ammette: «Sono traumatizzato». E racconta che a Torino, durante la sfilata del primo maggio, lo striscione dei socialisti è stato lasciato a casa, su consiglio della questura. Non si sa mai. «Non siamo degli appestati», è il lamento di un ribelle, Gabriele Salerno. Mentre Francesco Forte si appoggia speranzoso all'immutata bonomia del barista della stazione di Porta Susa: «Anche stamattina, come altre volte, mi ha offerto il caffè». Non solo. «Il primo maggio l'ho passato nel mio collegio elettorale in Valtellina. Nessun problema. Forse sarà perché ormai la gente sa distinguere fra socialismo e socialisti, fra Turati e il Garofano. Anche se poi persino i commessi del Senato hanno smesso di chiamarmi senatore. Professore, mi chiamano. Un modo garbato per dirmi che siamo stati degradati sul campo». Salerno, da tempo in rotta col partito, ha cercato consolazione fra i suoi vecchietti. «Presiedo una fondazione di anziani. Loro non mi mancano mai di rispetto. Ormai hanno imparato a guardare la persona che sono, non la casacca che indosso e che forse adesso cambierò». Voglia di fuga, di nuove sfide o di vecchie sicurezze. E' l'università, ad esempio, la coperta di Linus dell'ex ministro Salvo Andò: «Provo nostalgia e rimpianto per il mio antico mondo di studio, così protettivo. Qui si abbattono i monumenti, il clima è pesante. Gli amici mi dicono di restare in politica, di rico- minciare da zero, ma io sono stanco». E Francesco Forte, anche se per strada invece di insulti rimedia caffè, si trova alle prese con un contestatore che non è facile ridurre al silenzio: «L'angoscia. La sensazione di aver sprecato molti anni della mia vita dietro qualcosa che adesso non serve più. Articoli, relazioni, convegni: potrei buttare via tutto. E' stato inutile». Su col morale, verrebbe da dirgli. Ma come dimenticare la voce mogia di Di Donato, mentre inanella parole come «amarezza», «disagio», «inquietudine», gettonatissime nel nuovo vocabolario socialista, che ha sostituito la versione arrogante degli Anni Ottanta. «A Napoli dice - la gente mi vuole ancora bene. Mi chiedono cosa farò in futuro. E io spiego che tutto cambierà: che il psi, questi partiti, non ci saranno più. E che io non sarò più fra i candidati. Devo prenderne atto, anche se è una cosa ingiusta. In democrazia, la maggioranza non può mai avere torto». Prima di cedere allo sconforto, urge una telefonata a Laura Fincato. L'ottimismo craxiano sopravvive nelle donne del Garofano. Onorevole, come va? «Benissimo. Sento odor di battaglia e quindi mi gaso molto». E la gente non si gasa contro di lei? «Ci sono le persone incazzatissime, quelle che ti considerano colpevole due volte: perché sei un politico e perché sei socialista. Ma c'è anche chi mi dice: "Tieni duro, passerà. Però dovete cambiare"». E voi cambierete? «Cambieremo. Questione di ore». Massimo Gramolimi

Luoghi citati: Napoli, Salerno, Torino